Il testo di Isaia, che oggi ci viene offerto all’inizio della Liturgia della Parola, potrebbe essere tranquillamente iscritto tra i brani del Nuovo Testamento, per il suo profondo afflato universalistico. Eppure siamo ancora qualche secolo prima della nascita di Gesù. Ma la forza dello Spirito, che animava le visioni del Terzo Isaia, gli fa intravvedere la Gloria di JHWH, che da Gerusalemme attira a sé tutti i popoli indistintamente. Le loro differenze reciproche sono praticamente dissolte. Ciò che conta è che tutti riconoscano il rivelarsi di JHWH sul Santo Monte di Gerusalemme.
L’evangelista Giovanni, memore di questa visione, contemplerà in Gesù crocifisso la sua piena realizzazione: la Parola fatta carne, fattasi umanità, proietta la forza della Misericordia del Padre e diventa polo irresistibile di attrazione per tutte le genti.
La Chiesa dalle genti, che pone al centro ed al di sopra di tutto l’unico Signore Gesù, è questa Gloria del Signore, è “segno e strumento di Salvezza” per ogni donna ed ogni uomo, che nascerà sulla Terra. Qui sta tutta la sua forza e la sua debolezza ad un tempo. Infatti, nella misura in cui noi, membra della Chiesa, ci lasciamo attrarre dall’Uomo Nuovo, Gesù di Nazareth, e relativizziamo nella luce del Crocifisso le nostre peculiarità etniche, sessuali, economiche, ecco che la luce del Crocifisso, attraverso di noi, irradierà ed attirerà tutti a sé.
Quando invece ci lasciamo travolgere dalle peculiarità della nostra “carne”, ovvero accogliamo e selezioniamo la Parola, a partire dalle nostre peculiarità etniche, sessuali ed economiche, ecco che immediatamente il cristianesimo ritorna ad essere una religione tra le tante; uno dei tanti tentativi umani di arrivare a Dio.
È dentro questa dialettica e questa tensione continua, che si realizzano le parole di Gesù del Vangelo di oggi. L’importanza di questo tesoro e questa perla emerge dal coraggio e dalla determinazione, con le quali questi soggetti lasciano il resto per acquistarle. Loro non parlano, né pregano per ottenere queste ricchezze. Fanno delle scelte, mettono in atto degli atteggiamenti per conquistarle: così ne affermano inequivocabilmente l’importanza.
Al tempo stesso, però, le loro scelte divengono significative, provocanti, per certi versi inquietanti; certamente seducenti ed affascinanti. Ed è così che funziona l’evangelizzazione cristiana; ben diversa dal proselitismo mondano.
Purtroppo, mi sembra, che questo radicalismo cristiano sia stato quasi espulso dalle nostre chiese. Si parla sì di Gesù e della bontà della sua proposta di vita. D’altro canto ci si guarda bene dalmettere in luce il suo carattere assoluto e totalizzante. Fingiamo di non ricordarcene e non ci aiutiamo comunitariamente nel fare le scelte più radicali e laceranti, quando la vita ce le pone dinnanzi. Prevale la ricerca ad oltranza di vie d’uscita che, innanzitutto, non disturbino nessuna delle parti in gioco, soprattutto se sono autorità, o qualche potente di turno. La preziosità e l’unicità del tesoro-Gesù è un po’ sempre relegato all’intimità dei cuori. Difficilmente si erge come riferimento chiaro ed indiscutibile dei cristiani, di fronte al quale qualsiasi altra opzione è chiaramente relativa.
Questo inguaribile intimismo è la causa principale dell’idolatria dilagante tra i battezzati, perché molto spesso il dio con il quale ci illudiamo di confrontarci non è altro che la proiezione del nostro io. Prova ne è il fatto che stiamo assistendo ad una frammentazione e ad una contraddizione nelle scelte dei battezzati che, in teoria, dovrebbero tutte ispirarsi all’unico Gesù di Nazareth. Risultato: “la luce sul monte”, “il segno e lo strumento della Salvezza”, che dovrebbe essere la Chiesa, tende a divenire una nebulosa, nella quale è difficile identificare la fonte e l’origine della sua luce.
Certamente questo discernimento comunitario, per riconoscere quali posizioni prendere riguardo ai principali problemi che ci attorniamo, non è certamente facile, né immediato. Anzi, è proprio la sua complessità che ha fatto sì che la Chiesa lo abbia sostanzialmente abbandonato lungo la storia. È rimasto solo qualche rimasuglio in qualche congregazione religiosa. Ma questa nostra epoca ci costringe a recuperare questa dimensione del nostro essere Chiesa; pena la nostra inesorabile ed inarrestabile irrilevanza. Certamente l’insistenza del Papa nel voler recuperare la dimensione sinodale nella Chiesa è la strada feconda sulla quale la Chiesa potrà recuperare il suo essere “segno e strumento di Salvezza” per tutto il genere umano.
Pe. Marco