Prima di entrare nel merito della riflessione sulle letture di questa domenica, vorrei avvisarvi che la prossima settimana, precisamente il giorno 20 giugno, inizierò il mio cammino verso Santiago, fino al 25 luglio. Pertanto, in questo periodo, non potrò proporvi queste riflessioni.
Ancora una volta la Parola di Dio c’invita a riflettere sulle due caratteristiche, che più ci aiutano a conoscere il volto ed il cuore di Dio. E chiedo perdono, se qualcuno mi giudicherà pedissequo, nel sottolineare, come queste due caratteristiche vanno sempre assieme, quasi che usarle separatamente potrebbe farci fraintendere chi è il Signore. Stiamo parlando, infatti, della Giustizia e della Misericordia.
Certamente i brani scelti sviluppano armoniosamente questi due tratti, o, forse sarebbe meglio dire, queste due facce di un’unica medaglia.
Nella prima lettura, al di là della simbolica estremamente drammatica, ma assolutamente coerente con la cultura del tempo, emerge, da un lato l’incompatibilità radicale di Dio con il male di Sodoma e Gomorra. Dall’altro la Giustizia divina non sconfina mai nell’ira e nella vendetta incontrollate. Il giusto, Lot, non può essere eliminato indiscriminatamente, perché la moltitudine è perversa. Questa vicenda non può non farci pensare ad un certo (in)giustizialismo oggi trionfante, che non esita a classificare tutti gli emigranti come possibili terroristi, semplicemente perché in quelle masse di disperati, ogni tanto, se ne insinua qualcuno.
Paolo, invece, vede ormai la questione da un punto di vista totalmente diverso. Proprio perché noi siamo irrimediabilmente peccatori, ingiusti quindi, il Padre ci salva per la fede in Gesù, che sulla Croce ha crocifisso, ha vinto il peccato. Ma, il credere nel Signore crocifisso per noi, non significa semplicemente emettere un’adesione intellettuale a Lui ed aspettarsi che questa magicamente ci salvi. Credere in Gesù significa aderire a Lui ed alla Sua proposta di vita. Pertanto, se è vero, come ci mostra ampiamente San Paolo nella Lettera ai Romani, che non potrò mai raggiungere la giustizia con le mie sole forze, è altrettanto vero che il segno di quanto creda in Gesù è la conformità della mia vita alla Sua.
In questo senso dobbiamo leggere il richiamo di Paolo ai Corinti, estratto dai capitoli 5 e 6, dedicati a una serie di debolezze ed incoerenze di quella Comunità cristiana. In altre parole, Paolo sta dicendo ai cristiani di Corinto ed a noi, che, coloro che credono in Gesù di Nazareth, rivelano questa fede con una vita conseguente. Pensare che la Salvezza, che viene dalla Fede, sia un lasciapassare per il libertinaggio, è il segno chiaro ed inequivocabile di una mancanza di fede.
Ma già lo stesso Gesù aveva allertato e smascherato queste derive nei riguardi della sua predicazione. L’annuncio pervicace e irremovibile della volontà salvifica del Padre, la Sua tenace volontà di riportarci alla comunione eterna con Lui, non sospende, né annulla il peso della nostra risposta.
Mi ha sempre attirato l’attenzione nella parabola evangelica di questa domenica, il fatto che questo re, dopo aver fatto di tutto e di più, per avere più gente possibile alla sua festa, alla fine “s’impunti” su quell’ospite apparso in condizioni non conformi con l’evento. Perché non lascia correre, perché non sorvola su questo dettaglio, apparentemente insignificante? Personalmente non trovo altra risposta, se non nella dicotomia, nella scissione che noi, indebitamente, abbiamo creato tra la Misericordia, l’accoglienza, la benevolenza e la Giustizia, la correttezza, l’integrità. Ovvero, per noi, alla fin fine, essere misericordiosi significa tollerare il peccato e l’ingiustizia, come componenti inevitabili della nostra natura umana.
Ma la visione biblica, che Gesù ben ci rappresenta con questa parabola, ci dice della nostra impossibilità di essere o diventare giusti definitivamente; ecco allora la Misericordia, espressione della disponibilità che Dio ci offre di rimetterci in cammino, di rialzarci, dopo ogni nostra caduta, ogni nostra ingiustizia. Ma questa possibilità, sempre rinnovata, mai e in nessun modo, renderà giusto ciò che non lo è, renderà buono ciò che non lo è. La distinzione e la separazione tra bene e male, tra giusto ed ingiusto, è e rimarrà sempre chiara per Dio (anche se per noi non lo è molto…). In definitiva la Misericordia divina non è fine a sé stessa, ma ha sempre come pendant, come riferimento, la tensione a vivere in quella forma giusta, autentica, vera, che il Padre ha pensato per noi, quando ha creato il tutto.
Infine, ma senza volermi dilungare troppo, vorrei richiamare l’estrema modernità di questa “storiella”, inventata da Gesù, nel mostrare come i più rinuncino a questa festa meravigliosa, semplicemente per curare i soliti affari ed accumulare i beni di sempre. Neanche duemila anni di cristianesimo e di riecheggiare di questa Parola sono riusciti a scalfire questo nostro “peccato originale”; anzi, vien da dire che, essendo stata anestetizzata questa Parola da troppo ambiguità di noi cristiani sull’argomento, alla fine abbiamo finito per alimentare la forza devastante di quegli idoli.
Che il Signore Gesù non rinunci alla sua Misericordia, anche di fronte a questa ennesima, nostra ingiustizia.
Pe. Marco