Questo drammatico versetto fa parte del più ampio racconto della parabola detta “del
seminatore”; è inserito nel passaggio tra la parabola e la sua spiegazione (Mt 13,3b-23). Per questo motivo cade normalmente nel dimenticatoio, ovvero non viene messo a tema, perché appunto l’attenzione va sulla parabola. In questa riflessione vorrei invece partire da questi versetti di passaggio, v. 12-17, perché mi sembrano estremamente importanti, nel mettere a fuoco il nostro rapporto con la Parola.
Confesso che la mia attenzione si è soffermata su questi versetti, dopo aver letto una ventina di pagine della nuova Enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”.
In particolare al n. 74 il Papa denuncia senza mezzi termini: “Il comportamento del levita e del sacerdote… indica che il fatto di credere in Dio e di adorarlo non garantisce di vivere come a Lui piace”.
Questa affermazione di Papa Francesco va intesa bene; infatti qui non è in gioco la fragilità umana con le sue inevitabili incoerenze. No, il problema è più profondo, perché i due uomini religiosi non “passarono oltre” semplicemente per paura di un qualche assalto, bensì perché avevano “qualcosa” di più importante da fare: recarsi al tempio per rendere culto a JHWH. Lui non sta forse al primo posto?
Con questa giustificazione loro si sentono a posto. Dunque, con la Bibbia in mano, non si curano di quella vittima. E’ dentro questi meandri e queste sfumature ermeneutiche, che si è giocata la condanna di Gesù e si gioca la condanna odierna dei suoi discepoli, Francesco docet. Purtroppo in queste sottigliezze spirituali e teologiche il diavolo va a nozze e continua a seminare conflitti nella Chiesa di Gesù. Il peggio è che non abbiamo nessuna ricetta magica per scampare a questo terribile pericolo: quello di meditare le Scritture e non coglierne le sue ricadute nel presente della Storia. O meglio, sappiamo di dover metter in atto alcuni atteggiamenti previ, quando ci si pone di fronte alla Parola, anche se alla fine solo lo Spirito ci porterà a fare ciò che possiamo e dobbiamo fare.
Innanzitutto, la precondizione essenziale di fronte alla Parola di Dio è una grande attitudine di fiducia e sottomissione. Fiducia nella Trinità, perché nel Verbo fattosi carne Lei ci viene incontro per amore. Al che non può che corrispondere un atteggiamento di sottomissione, perché la Parola è il rivelarsi della volontà di Dio nella nostra vita. Ma di fronte alla Verità noi possiamo solo consegnarci nelle sue braccia; possiamo solo cercare di vivere quanto veniamo scoprendo ogni giorno. La sua Parola non può essere sullo stesso piano di altre parole, seppur lodevoli e sapienti.
A partire da questo atteggiamento di fondo, che non possiamo mai dare per scontato
ogniqualvolta ci rivolgiamo alla Parola, ebbene su questo atteggiamento di fondo dobbiamo poi inserire le attenzioni, che Gesù ci richiama nel testo di Matteo sopra citato.
Il primo grande pericolo, ci dice Matteo, è quello della non comprensione della Parola. Cosa intendesse Gesù con questa affermazione ovviamente non possiamo dirlo in modo netto e categorico. Certamente, però, questo pericolo rimanda a quanto già in parte detto. Ovvero, la Parola di Dio ci anticipa e ci sovrasta da ogni dove, perché è espressione della Sapienza di Dio.
Quindi di fronte ad essa occorre avere l’umiltà di studiarla e meditarla continuamente. Mancando questo lavorio spirituale difficilmente dirà qualcosa di significativo alla nostra vita. Per banale che possa sembrare questa osservazione, a me sembra che tocchi però un nervo scoperto della nostra fede, soprattutto qui in Italia.
Certamente dobbiamo rallegrarci per l’aumento considerevole di opportunità per studiare e meditare la Parola. D’altro canto, però, non possiamo far finta di non vedere come tutto ciò interessi una minoranza irrilevante di coloro che si dichiarano credenti, praticanti o meno. Persino per i pochi praticanti l’unico momento di interazione con la Parola rimane il momento liturgico, con la mediazione di omelie il più delle volte sconclusionate ed evanescenti. Inoltre, anche le anime più belle ed amanti delle Scritture, il più delle volte si limitano ad una meditazione individualistica della stessa. In altre parole, manca decisamente una attitudine a leggere comunitariamente le Scritture dentro la realtà e la realtà alla luce delle Scritture.
Il secondo grande ostacolo nel nostro relazionarci alla Parola è quello dell’incostanza, soprattutto quando questa relazione costa. Certamente l’alibi di non avere tempo molto spesso è una facile scappatoia per non metterci regolarmente nudo di fronte ad Lei. Per altri versi dobbiamo riconoscere che “le prove della vita”, di cui parla la parabola, il più delle volte non sono altro che il saper fare delle scelte nell’organizzazione della nostra vita. Molte volte non riusciamo a fare neanche questo primo passo, per dare la priorità alla Parola di Dio. Figuriamoci che frutti potrà dare nella nostra vita!
Infine, il terzo grande ostacolo è l’eterna tentazione di credere che la qualità della nostra vita dipenda dalla quantità di beni materiali, che abbiamo a disposizione. Il Vangelo ci ripete continuamente che è vero esattamente il contrario: meno beni personali abbiamo da gestire, più tempo e possibilità avremo per nutrirci della Parola di Dio; “non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni Parola che esce dalla bocca dell’Altissimo”. Forse molti di noi credono teoricamente a questa grande verità; ma poi facciamo fatica a mettere in atto una vera e propria ascesi nel nostro rapporto con i beni materiali, soprattutto negli ambiti più quotidiani della nostra vita. E così l’ascolto e la meditazione delle Scritture finisce per affogare dentro un mare di beni da gestire e conservare.
Da ultimo, questa semente che produce in queste quantità smisurate non vuole essere un invito all’irresponsabilità, perché tanto la benevolenza divina mette sempre una pezza a tutto. E’ esattamente il contrario! Ovvero, proprio perché la Parola è così fruttuosa, per questo motivo è ancora più insensato non valorizzarla. Nessuna delle alternative presentateci dalla parabola della vita giustifica il sacrificio della Parola. Niente ci è d’aiuto più di Lei.
Pe Marco