Ho voluto riportare questa trilogia (terra, tetto e lavoro) nella sua versione originaria in castigliano,
perché ha una sua forza simbolico-evocativa; infatti, come dice Papa Francesco, sono le 3T
fondamentali, per vivere dignitosamente. Pertanto la buona Politica dovrebbe lavorare, perché siano
garantiti questi tre diritti/doveri fondamentali. Il tutto ovviamente partendo sempre dagli ultimi e
non dai primi della scala sociale.
Lavorando con i migranti e non solo, devo dire che nella nostra realtà lecchese dei tre il diritto più
clamorosamente negato è quello ad una casa dignitosa. Anzi, qui nel lecchese la questione è
particolarmente scandalosa, se mettiamo in relazione “techo e trabajo”, tetto e lavoro. Infatti, a
fronte di un’abbondanza di lavoro con la conseguente carenza di manodopera, riscontriamo
un’emergenza abitativa assolutamente inspiegabile, da un punto di vista razionale; ma ben
comprensibile da un punto di vista etico-spirituale; infatti la spiegazione si chiama: ingiustizia.
Questa parola, ormai cancellata dal dibattito politico, è sempre frutto della concomitanza di diversi
fattori e non può mai essere ridotta ad una singola scelta. Vista la pretesa modesta di questa
riflessione, non mi cimenterò in un’analisi dettagliata del recente PTSA, presentato ai sindaci
dell’Ambito lecchese: non ne avrei neanche la competenza. D’altro canto come prete, che lavora a
contatto con gli esclusi di questa società, penso di avere il dovere morale, di richiamare qualche
radice della suddetta ingiustizia.
E così succede, o si vuol far succedere, che, mentre si spendono milioni di euro di soldi pubblici, per
costruire palazzetti sportivi per poche centinaia di abitanti, ponti tibetani in valli remote, o parchi
acquatici per intrattenere 24h/24h la maggioranza benestante della popolazione,
contemporaneamente a ciò non si trovano mai i soldi per ristrutturare le case Aler, o del patrimonio
pubblico in generale. Per questa logica, ingiusta e perversa, tra Lecco, Abbadia e Mandello possiamo
vantarci di aver ben 361 appartamenti abbandonati a sé stessi e ben 15.000 su tutto il territorio
regionale.
Sia ben chiaro, che nessuno vuole demonizzare l’attività turistica, la quale però avrebbe tutte le forze
e le capacità per camminare con le proprie gambe. Il problema si pone quando, a fronte di risorse
sempre sottodimensionate, si devono fare delle scelte. E l’alternativa è tanto semplice, quanto
radicale: è etico, dunque bene, assecondare il desiderio di divertimento della maggioranza
benestante, nonché votante, oppure è un dovere etico occuparsi innanzitutto dei bisogni primari
della minoranza silenziosa ed esclusa?
Ma, come accennavo poco sopra, l’esclusione e l’ingiustizia spesso è un processo subdolo e
ramificato. Infatti, questa pressione sul patrimonio edilizio pubblico, che porta ad evadere solo il 10%
dell’emergenza abitativa lecchese, viene gonfiato a dismisura dal fatto che, ormai da decenni, in
Italia si è abbandonata la cosiddetta politica della casa; ovvero quegli interventi dello Stato nel
promuovere un’edilizia popolare, che hanno permesso ai migranti del boom economico di pagare
affitti agevolati, per poi divenire proprietari degli immobili da loro abitati. Mancando questo tipo di
abitazioni, anche chi non ne avrebbe diritto, cerca in tutti i modi di accedere alle case riservate alle
emergenze ed al disagio sociale in genere.
A distanza di decenni ci troviamo di fronte a nuove forme di migrazione e, dunque, con una nuova
urgenza abitativa popolare. Perché sono stati abbandonati quei progetti di politica abitativa? In
nome di quali interessi? Come riattivarli ovviamente in forme rivedute e corrette?
Nel frattempo i poveri migrano di casa in casa, senza meta né un’idea, in balia della solita “mano
invisibile” del dio Mercato…
Pe. Marco