Un testo profetico (e attualissimo) del Cardinal Carlo Maria Martini
che in questi giorni è necessario meditare
INTRODUZIONE
I temi del mio discorso, indicati nel titolo, hanno accompagnato da sempre l’umanità, da quando Caino alzò
la mano proditoriamente su Abele e lo uccise (Gen 4,8) e da quando Dio dichiarò: “Però chiunque ucciderà
Caino subirà la vendetta sette volte” (Gen 4,15), fino alla parola di Gesù: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”
(Gv 14,27). Ma in questi mesi, (…) tali temi sono ritornati di bruciante attualità.
I fatti li conosciamo: (…) In questi ultimi giorni, poi, si sono moltiplicati vergognosi attentati contro
cittadini inermi in Israele, a cui hanno fatto seguito ritorsioni e azioni militari in Palestina, in luoghi dove
ormai da anni c’è un crescendo di violenza di cui non si vede la fine.
- UNO SGUARDO AL VANGELO (LC 13,1-5)
Questi fatti ci addolorano, ci interpellano, ci sconvolgono. Pensiamo con dolore agli innumerevoli morti, ai
feriti che porteranno per tutta la vita il segno della tragedia, alle famiglie distrutte, ai milioni di profughi,
al pianto dei bambini mutilati. Nascono molte domande, ipotesi, inquietudini. Domande di carattere umano
e religioso e anche di carattere politico. Si vorrebbe capire, giudicare, vedere come agire per farla finita con
il terrorismo, la paura, la guerra, come operare seriamente per una pace duratura.
Certamente la situazione è ancora troppo complessa e fluida per descriverla in maniera adeguata. Ogni
giorno, poi, aggiunge la sua sorpresa, per lo più dolorosa. (…) Perciò mi sono chiesto con insistenza e ho
chiesto al Signore: (…)ha davvero senso parlare di pace? E in che modo, e a quale prezzo?
Parlando, leggendo e ascoltando molto, mi sono accorto di come anche i pareri siano tanto divergenti.
Molteplici i punti di vista, gli angoli di visuale; fortissime le passioni, i coinvolgimenti emotivi; resistenti a
sgretolarsi le precomprensioni, soprattutto quelle inconsce. (…). Sono numerose le pagine bibliche evocate
in questi mesi per cercare luce nella parola di Dio. Io vorrei partire dal passo evangelico di Luca (13,1-5)
che è stato letto durante la preghiera vespertina: si tratta di due affermazioni o reazioni di Gesù, posto di
fronte a gravi fatti di sangue di origine politica e a dolorose calamità naturali.
“In quello stesso tempo si presentarono a Gesù alcuni a riferirgli circa quei Galilei il cui sangue Pilato aveva
mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola Gesù rispose: Credete che quei Galilei fossero più
peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo
stesso modo. O quei diciotto sopra i quali rovinò la torre di Siloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli
di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.
(…)I due episodi sono proposti a Gesù perché prenda posizione. Molti aspettano, che egli si dichiari contro
il tiranno Pilato; altri vorrebbero che criticasse i Galilei come terroristi insipienti. A proposito della caduta
della torre ci si attende che denunci con parole di fuoco l’incuria dei governanti o al contrario rimproveri
l’imprudenza colpevole della gente. Invece si verifica l’imprevisto. Gesù non prende posizione né pro, né
contro nessuna delle persone coinvolte, non si esprime su chi degli immediati protagonisti sia da ritenersi
colpevole. Proclama, è vero, un suo giudizio, che dovremo approfondire. Ma la sua voce sta al di sopra di
tutti i temi sia pur gravi di politica corrente. Ciò può sorprendere, deludere e turbare. Vedremo che cosa
voglia dire per l’oggi. (…) - LE DOMANDE DI OGGI
Qualcosa di simile avviene oggi. Gli interrogativi sui fatti della storia e soprattutto su quelli drammatici dei
nostri giorni sono tanti e comprensibilmente carichi di sofferte emozioni, di precomprensioni affettive e
anche di pregiudizi. E non di rado si invocano da qualche autorità morale risposte immediate e
chiarificatrici ( per lo più nell’attesa di essere confermati in ciò che ciascuno ha già giudicato dentro di sé!).
Molte, in particolare, le interrogazioni gravi che si pone l’uomo della strada di fronte alle notizie e alle
immagini televisive di questi mesi e di questi giorni.
La prima riguarda gli autori dei gesti di terrorismo, a partire dai più clamorosi e micidiali, (…) ed è la
domanda sul perché. Perché un essere umano può giungere a tanta crudeltà e cecità? Ci si chiede in quali
oscuri meandri della coscienza possano albergare tali sentimenti di odio, di fanatismo politico e religioso,
quali risentimenti personali e sensi di umiliazione collettiva possano essere alla radice di simili folli
decisioni. Nulla e nessuno potrà mai giustificare tali atti o dare loro una qualunque parvenza anche larvata
di legittimazione. Ci dobbiamo però chiedere: noi tutti ci siamo davvero resi conto nel passato, rispetto ad
altre persone e popoli, quanto grandi ed esplosivi potessero a poco a poco divenire i risentimenti e quanto
nei nostri comportamenti potesse contribuire e contribuisse di fatto ad attizzare nel silenzio vampate di
ribellione e di odio?
Non posso, a proposito della prima domanda, non sottolineare la tremenda responsabilità di chi, magari
dotato di grandi mezzi di fortuna, ha imparato a sfruttare i risentimenti e li fornisce di strumenti di morte,
finanziando, armando e organizzando i terroristi in ogni parte del mondo, forse pure vicino a noi. Anche
per costoro non v’è nessuna ragione o benché minima legittimazione per il loro agire. Valgono piuttosto le
parole di Gesù per chi sfrutta in tal modo la debolezza di persone semplici: “Sarebbe meglio per lui che gli
fosse appesa al collo una macina girata da un asino, e fosse gettato negli abissi del mare!” (Mt 18,1). (…)
Chi getta oggi il sasso, e si sente impunito, domani potrà buttare la bomba o impugnare la pistola. La
“tolleranza zero” è, per ogni parola o gesto di odio, supportata da una regola evangelica.
(…) Una seconda domanda, di natura piuttosto politica e militare: il tipo di operazioni che si vanno facendo
contro il terrorismo sarà efficace? Servirà davvero a scoraggiare i terroristi, a chiudere gli episodi macabri
degli uomini-bomba, a creare le condizioni per un superamento delle cause di tante inquietudini? Ben
pochi di noi hanno risposte certe e articolate a tutte queste questioni, anche per la loro complessità e gli
scenari e episodi diversi e mutevoli a cui esse si riferiscono. (…)Anche a tale domanda non osiamo dare qui
una risposta; però è connessa strettamente con la seguente.
La terza domanda è di tipo etico: ciò che si è fatto e si sta facendo contro il terrorismo specialmente a livello
bellico rimane nei limiti della legittima difesa, o presenta la figura, almeno in alcuni casi, della ritorsione,
dell’eccesso di violenza, della vendetta? È chiaro che il diritto di legittima difesa non si può negare a
nessuno, neppure in nome di un principio evangelico. Occorre tuttavia una continua vigilanza, un costante
dominio su di sé e delle passioni individuali e collettive per far sì che nella necessaria azione di prevenzione
e di giustizia non si insinui la voluttà della rivalsa e la dismisura della vendetta. (…) Ma ora a che punto
siamo? Non hanno forse l’ansia di vittoria e il dinamismo della violenza preso la mano diminuendo la soglia
di vigilanza sulle azioni di guerra che potrebbero essere non strettamente necessarie rispetto agli obiettivi
originari e soprattutto colpire popolazioni inermi? È qui che il principio della legittima difesa viene messo
gravemente in questione, poiché non si può impunemente andare oltre senza creare più odi e conflitti di
quanto non si pretenda risolverne. Sembra questo in particolare il caso, è doloroso dirlo, di quanto
continua ad accadere in maniera crescente in Medio Oriente. Da una parte un terrorismo folle e suicida
contro cittadini pacifici, fra cui tanti bambini, un terrorismo che non conduce a nulla e che suscita un
crescendo di ira, indignazione e orrore. Dall’altra atti di guerra, difficilmente definibili ancora come
operazioni di legittima difesa, che colpiscono popolazioni inermi, e anche qui tanti bambini. (…) Non riesce
a cogliere quale sia la strategia della pace e della sicurezza che pure è sempre nel desiderio di tutto quel
popolo la cui sopravvivenza è essenziale per il futuro della pace nella regione e nel mondo intero.(…) - L’ATTEGGIAMENTO DI GESÙ
(…) Che cosa ci direbbe oggi Gesù su quanto abbiamo evocato fin qui? Che cosa ci suggerirebbe nello spirito
del Discorso della Montagna, nel quadro delle beatitudini dei misericordiosi e degli operatori di pace?
(…) Gesù non intende per nulla togliere a ciascuno la sua concreta responsabilità. Ognuno è responsabile
delle proprie azioni e ne porta le conseguenze. Per questo Gesù disse a Pietro che tentava di difenderlo con
la forza quando vennero per arrestarlo: “Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che metteranno
mano alla spada periranno di spada” (Mt 26,52). Egli sa che ciascuno deve prendere le sue decisioni morali
di fronte alle singole situazioni. Gli importa però assai di più segnalare che gli sforzi umani di distruggere
il male con la forza delle armi non avranno mai un effetto duraturo se non si prenderà seriamente coscienza
di come le cause profonde del male stanno dentro, nel cuore e nella vita di ogni persona, etnia, gruppo,
nazione, istituzione che è connivente con l’ingiustizia. Se non si mette mano a questi ambiti più profondi
mutando la nostra scala di valori, tra breve ci ritroveremo di fronte a quei mali che abbiamo cercato con
ogni sforzo esteriore di eliminare.
(…) Sono tanti i mali da deplorare e da sconfiggere: oltre il terrorismo e la violenza va condannata ogni
ingiustizia e va eliminato ogni affronto alla dignità umana. Ci chiediamo: sarà possibile una tale inversione
di tendenza? (…) Pur se lasciamo al Signore della storia il calcolo dei tempi, sappiamo che è ben possibile
che maturi di nuovo in Occidente, forse proprio sotto la spinta di eventi così drammatici, la percezione che
è necessario un cambio di vita, l’adozione di una nuova scala di valori. (…)
Non è così importante sapere se ciò si avvererà presto. In fondo, come diceva Bonhoeffer, “per chi è
responsabile la domanda ultima non è: come me la cavo eroicamente in questo affare, ma: quale potrà
essere la vita per la generazione che viene? Solo da questa domanda storicamente responsabile possono
nascere soluzioni feconde” (Resistenza e Resa, Milano, p. 64). Ciò che dunque urge è dirci che se non
avviene un cambio radicale nella scala dei valori, se non vengono messi al primo posto la pace, la
solidarietà, la mutua convivenza, l’accoglienza reciproca, l’ascolto e la stima dell’altro, l’accettazione, il
perdono, la riconciliazione delle differenze, il dialogo fraterno e quello politico e diplomatico, mentre
vengono contemporaneamente messe al bando le rappresaglie della guerra, se non vengono disarmate non
solo le mani ma anche le coscienze e i cuori, noi avremo sempre a che fare con nuove forme di violenza e
anche di terrorismo. Riusciremo magari a spegnerle per un momento, ma per vederle poi risorgere
impietosamente altrove.
Come ha ripetuto il 4 dicembre 2001 il Papa a proposito del conflitto in Medio Oriente: “La violenza non
risolve mai i conflitti, ma soltanto ne accresce le drammatiche conseguenze”. Ha perciò lanciato “un nuovo
pressante appello alla comunità internazionale, affinché con sempre maggiore determinazione e coraggio
aiuti israeliani e palestinesi a spezzare questa inutile spirale di morte. Siano ripresi immediatamente i
negoziati, perché si possa giungere finalmente alla tanto desiderata pace. (…) - APERTURE NUOVE
(…) È importante allora riconoscere che dobbiamo fare ciascuno la nostra parte e ascoltare l’appello che ci
raggiunge. Il momento drammatico che stiamo vivendo è un forte richiamo alla conversione e al
riconoscimento della nostra connivenza con i mali del mondo. Sottolineo: con i mali di tutti, sotto ogni
latitudine e non del solo mondo occidentale. Certamente esso ha i suoi gravissimi torti, le sue cecità, i suoi
idoli, i suoi deliri di onnipotenza.
Per questo la Chiesa, neppure quella Occidentale, che ha vissuto storicamente e tuttora vive in questo
ambito e si è sempre sforzata di dargli un’anima, non si è mai riconosciuta né identificata del tutto con esso
né tanto meno si identifica ora in un ambito nel quale gloriose tradizioni di libertà e dignità umana
convivono – in un clima crescente di compromissione – con un individualismo senza regole, con il culto del
denaro, del successo, dell’immagine e della potenza.
Pur con tutto ciò non dobbiamo ritenere che sia solo il nostro mondo occidentale quello chiamato da Gesù
a cambiar vita. Il Signore afferma due volte, nel testo di Luca da cui siamo partiti (13,3.5): “se non
cambierete vita, perirete tutti!”. La follia dell’autodistruzione, che assume nelle odierne culture
innumerevoli forme, minaccia tutti quanti. Gli spettri della corruzione, del malgoverno, del prevalere
dell’interesse privato e tribale su quello pubblico, della dittatura e del primato della forza e delle armi,
stanno succhiando il sangue di innumerevoli poveri della terra.
Sarebbe troppo facile trovare un solo capro espiatorio e una sola vittima. Zizzania e buon grano sono
intrecciati profondamente in ogni angolo del pianeta. Gesù sa che il male è nascosto nel cuore di ogni uomo
e di ogni cultura, sa che siamo “generazione incredula e perversa” (Mt 17,17).
Dobbiamo in altre parole renderci conto che di certe pesti che ammorbano il mondo (e di cui i conflitti
bellici e gli attentati sono una delle manifestazioni) non è soltanto colpevole l’uno o l’altro individuo o
popolo lontano da noi o vicino a noi, ma ne siamo tutti in qualche modo, ciascuno per la sua parte,
conniventi e corresponsabili.
Se, spinti da eventi tragici che mai avremmo voluto neppure immaginare, l’invito di Gesù a cambiare scala
di valori e criteri di giudizio cominciasse a venire accolto, ne emergerebbe una società più pensosa, una
gioventù meno dissipata e meno avida di divertimenti, conscia delle proprie responsabilità per il futuro
del pianeta; pronta anche ad ascoltare il richiamo per aprirsi a esistenze consacrate al servizio totale di
Dio e del prossimo. (…) - IL GRANDE BENE DELLA PACE
(…) La pace è il più grande bene umano, perché è la somma di tutti i beni messianici. Come la pace è sintesi
e simbolo di tutti i beni, così la guerra è sintesi e simbolo di tutti i mali. Non si può mai volere la guerra per
se stessa, perché è sistematica violazione di sostanziali diritti umani. Vi saranno al limite casi di legittima
difesa di beni irrinunciabili. Però il contrasto all’azione ingiusta, non di rado doveroso e meritorio, deve
restare nei limiti strettamente necessari per difendersi efficacemente. Potranno anche essere necessarie
coraggiose azioni di “ingerenza umanitaria” e interventi volti alla restituzione e al mantenimento della
pace in situazioni a gravissimo rischio. Ma non saranno ancora la pace.
Pace non è solo assenza di conflitto, cessazione delle ostilità, armistizio. Non è neppure soltanto la
rimozione di parole e gesti offensivi (Mt 5,21-24), neppure solo perdono e rinuncia alla vendetta, o saper
cedere pur di non entrare in lite (cfr Mt 5,38-47). Pace è frutto di alleanze durature e sincere, (enduring
covenants e non solo enduring freedom), a partire dall’Alleanza che Dio fa in Cristo perdonando l’uomo,
riabilitandolo e dandogli se stesso come partner di amicizia e di dialogo, in vista dell’unità di tutti coloro
che Egli ama. In virtù di questa unità e di questa alleanza ciascuno vede nell’altro anzitutto uno simile a sé,
come lui amato e perdonato, e se è cristiano legge nel suo volto il riflesso della gloria di Cristo e lo splendore
della Trinità. Può dire al fratello: tu sei sommamente importante per me, ciò che è mio è tuo. Ti amo più di
me stesso, le tue cose mi importano più delle mie. E poiché mi importa sommamente il bene tuo, mi importa
il bene di tutti, il bene dell’umanità nuova: non più solo il bene della famiglia, del clan, della tribù, della
razza, dell’etnia, del movimento, del partito, della nazione, ma il bene dell’umanità intera: questa è la pace. - ALCUNI IMPERATIVI IMMEDIATI
- Abbiamo anzitutto un grande bisogno di percepire dentro di noi una fontana zampillante di pace che ci
apra alla fiducia nella possibilità di passi concreti e semplici verso un cambiamento di stile di vita e di
criteri di giudizio, unica via a un cammino serio di pace. (…) - Per evitare di essere trascinati, magari non intenzionalmente, in uno scontro di civiltà, occorrerà
esercitarsi nell’arte del dialogo, che parte da una chiara coscienza della propria identità e della ricchezza
dei linguaggi con cui esprimerla e renderla accessibile smontando i pregiudizi, i cavilli e le false
comprensioni. - Per questo sarà importante imparare a conoscere le altre religioni, in particolare l’Ebraismo e l’Islam,
scrutando di ciascuna la storia, la letteratura, le ricchezze spirituali, le profondità mistiche, il pluralismo
espressivo, anche quello sociale e politico. - Soprattutto occorrerà educare a gesti, pensieri e parole di perdono, di comprensione e di pace, usando
tolleranza zero per ogni azione che esprima sentimenti di xenofobia, di antisemitismo, di minor rispetto di
qualunque sentimento e tradizione religiosa. Questo richiede che anche gli altri rispettino e apprezzino
quei segni religiosi che sono stati e sono tuttora per noi la via e il simbolo che ci permette oggi di offrire a
tutti ospitalità e pace.
Milano, 6 dicembre 2001