Le letture di questa domenica, esageratamente lunghe per un contesto liturgico, ci offrono inesorabilmente molteplici spunti, assolutamente interessanti.
Dentro questo limite strutturale, mi permetto di assumere quale prospettiva di lettura di questa Parola i vv. 34-36: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare “l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera”; e “nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa”. Sarà per la loro durezza, o sarà per la loro paradossalità, ma di certo questi sono tra i versetti meno commentati del Vangelo, o, perlomeno, tra i meno citati, forse anche solo per… i conflitti interpretativi, che generano.
Tant’è, a me pare che bypassando questi versetti, si finisca, senza volerlo, con il ridurre il Vangelo a poco più che un “manuale da psicoterapia di gruppo”, o ad un qualsiasi tentativo di spiritualità umanistica. Forse i più troveranno questi versetti contrastanti con gli innumerevoli riferimenti biblici all’altro tema, ad essi complementare, il tema della Pace. Non potendo, ovviamente, soffermarci su tematiche così vaste, ci basti qui citare i versetti Gv 14,26-27, per dissipare buona parte dei nostri dubbi: “Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.”. Dove i problemi ed i paradossi appaiono, o vengono ingigantiti, dalla continua commistione, che noi realizziamo tra la prospettiva evangelica e le varie prospettive mondane, nel giudicare la realtà. Tuttalpiù, quando non ne veniamo a capo, “scarichiamo” tutto sulla vita dopo la morte.
Invece, la prospettiva di Gesù, profondamente incarnata, ci dice chiaramente che, per chi vuol vivere il Vangelo (non semplicemente ricevere i sette Sacramenti…), è inevitabile vivere situazioni di conflitto, ovvero il conflitto (che non è sinonimo di violenza…) è inerente, è intrinsecamente legato alla nostra adesione personale alla proposta di vita di Gesù. Non solo, ma tutto ciò può essere vissuto nella Pace, la Pace vera, la Sua, quella che dà il Suo Spirito, che ci conforta e ci conferma intimamente, quanto più il nostro cuore non ha altro ideale, non ha altro Signore, che Lui.
Se mi è permesso un riferimento personale, ancora, ieri sera, conversando con delle signore della Parrocchia di Tremenico, mi veniva posta la domanda, se non avessi timore di stare dentro gli innumerevoli conflitti, vissuti in Brasile. Senza alcuna pretesa di superiorità, riconoscevo che la mia “carne” si sentiva minacciata e costantemente in pericolo, ma il mio cuore “dormiva in Pace”. In realtà, ciò che più turbava i miei sonni, era il dolore, che avrebbero provato le persone a me care, se avessero sentito di qualche danno alla mia vita fisica. Parallelamente, invece, questa tragica perversione delle relazioni ecclesiali, nella quale mi trovo coinvolto, questa sì mi ha tolto molto sonno.
Dentro queste prospettive dobbiamo allora collocare l’assolutezza, che la Parola di oggi attribuisce alla relazione con Gesù ed ai valori da Lui predicati (ma questi e solo questi sono assoluti, non ogni comma del Diritto Canonico e della più ampia tradizione cattolica…). Certamente molti, leggendo queste semplici riflessioni, oppure sentendo queste letture, proveranno un che di fastidioso e la necessità di “smussarne gli spigoli”. Infatti, dopo averci fatto il lavaggio cerebrale con la tolleranza religiosa e civile, dal ‘600 in poi, come possiamo prendere sul serio questi versetti tanto intransigenti nella loro assolutezza?
Il fastidio è comprensibile e, per certi versi, legittimo, perché, di tragedie realizzate “con il Vangelo” in mano, è piena la storia, non senza qualche rigurgito fino ai nostri giorni.
Non per questo possiamo censurare delle parti del Vangelo, o dei libri della Bibbia. Purtroppo questi “sensi di colpa”, o sensi d’inferiorità, legati alla fede, nascono sempre da errori commessi dai nostri “padri”. Un esempio, che a me pare emblematico, è quello legato al Regno di Dio. Questo tema, con certezza, era il nucleo fondamentale, attorno al quale ruotava tutta la predicazione di Gesù. Nel corso dell’Alto Medioevo divenne il Regno di Cristo, che impercettibilmente s’identificò con il potere temporale della Chiesa, del quale lo Stato Pontificio era parte integrante. Man mano che questa identificazione è crollata, per ovvie ragioni, anche il Regno di Dio è praticamente scomparso dalla predicazione della Chiesa. Dovremo aspettare il rinnovamento biblico del novecento ed il Vaticano II° per recuperarlo definitivamente; benché, per il cattolico della Messa domenicale, sia ancora sostanzialmente un enigma.
Nel caso di queste letture, i problemi nascono dal fatto che noi, da più di un millennio, conviviamo con l’idea che riconoscere e professare Gesù, quale Signore della nostra vita e della Storia, automaticamente significhi imporlo a chi, per un motivo o per l’altro, ancora non è giunto a questo riconoscimento. Non escludendo, in determinate situazioni, l’uso della violenza. In fondo, ancora oggi, molti cattolici fervorosi ritengono legittimo usare qualsiasi mezzo per salvaguardare una presunta “identità cristiana”.
In realtà, questi passaggi sono dei corti circuiti inventati da noi, uomini di Chiesa, ma che non trovano nessuna legittimazione a livello evangelico. La radicalità insegnataci da Gesù si riferisce alla nostra adesione personale a Gesù ed al suo Vangelo, fino alla testimonianza definitiva del dono della vita; ma mai Gesù ammette la possibilità di trasformare questa testimonianza in proselitismo, o manipolazione della libertà altrui. Ancora e definitivamente, alla luce del Vangelo, noi possiamo proclamare la nostra fede in Gesù solo con la testimonianza della vita, totalmente consegnata a Lui ed al Suo progetto: il Regno di Dio.
Pe. Marco