Le letture di questa domenica sono organizzate attorno al tema dell’accoglienza. Certamente per cogliere il profilo biblico di questo valore, che dovrebbe essere distintivo del cristiano, dobbiamo partire dalla prima lettura.
Il tema centrale di questo racconto è la forza della parola di Elia, estensione e concretizzazione della Parola di JHWH. Esattamente per l’adesione totale del profeta alla Parola del Signore, la sua parola umana acquista un’efficacia inaudita.
D’altro canto, pur tenendo conto di questo messaggio principale, la liturgia di oggi usa questa vicenda, per mettere in luce il valore sacro dell’accoglienza. La situazione estrema di questa vedova diviene paradigmatica per parlare di questo valore. Infatti, significativamente questa vedova non può fare niente per Elia, perché lei non ha niente da offrigli. Eppure lei lo accoglie, lo ascolta, dialoga con lui. Fa quello che Papa Francesco c’insegna, quando dice che la prima e più radicale forma di accoglienza è “toccare la carne del povero”, entrare in relazione con lui, ascoltare e capire il suo bisogno. In altre parole “sentire compassione”, ovvero lasciare che il suo dolore entri nella nostra pancia, come c’insegna il famoso samaritano del Vangelo di Luca. Qui sta il valore sacro del gesto di questa povera vedova e dei milioni di poveri, che riescono a condividere anche ciò che servirebbe alla loro sopravvivenza.
Nell’oscurità di questo passaggio della mia vita, recentemente il Signore mi ha concesso di rivivere questa grazia inestimabile. Infatti, un giorno passando a casa di una dona straniera in condizioni di estrema necessità, essendo ormai vicina l’ora di pranzo, la prima cosa che ha fatto è stata invitarmi a pranzo con lei ed il suo bambino. Purtroppo non ho potuto fermarmi, perché il mio pranzo era già pronto in casa parrocchiale; ma avrei tanto voluto fermarmi, perché in quel luogo, il Signore era così tangibilmente presente.
Questi fugaci accenni non possono non acquistare particolare risalto a fronte di tutte le barriere ed i muri, soprattutto spirituali, che abbiamo eretto contro l’accoglienza, per neutralizzare questa attitudine profonda del cuore umano.
Certamente questo è il problema dell’Occidente in generale e non solo dell’Italia. Eppure, noi siamo figli di una cultura che per secoli ha vissuto di accoglienza e condivisione. E allora cos’è che sta minando questa cultura? Come mai il nostro cuore non sembra più essere come quello dei nostri padri?
A me pare che il primo grande problema, che abbiamo noi oggi, è quello di non riuscire, o non poter “toccare la carne dei poveri”.
Prima ed al di là delle singole responsabilità morali, i cambiamenti sociali in atto rendono difficile il nostro incontrarci ed il nostro conoscerci personalmente. Tutto ormai è mediato da qualche strumento tecnologico, o da qualche agenzia ad hoc. In questo modo, di solito, noi comunichiamo con dei computer, o dei funzionari, che devono solo seguire dei protocolli. Guai a loro se si lasciano coinvolgere emotivamente!
Analogamente, ma ancor più drammaticamente, “l’orfano, la vedova e lo straniero” di oggi difficilmente li incontriamo e li guardiamo negli occhi personalmente. Normalmente li conosciamo attraverso l’anonimato delle statistiche, oppure attraverso i media. Forse quest’ultimo caso è il più grave ed il più problematico. Infatti i media, qualunque sia lo strumento in gioco, creano l’illusione di essere presenti nella realtà di cui si parla; mentre, di fatto, noi stiamo vedendo quella porzione di realtà che il padrone di questi mezzi vuol farci vedere.
Confesso che troppe volte mi sono già trovato impietrito e senza parole, nel parlare con persone che ormai non riescono più a distinguere tra la realtà e quel frammento a loro trasmesso da uno dei troppi media xenofobi. Il paradosso è che, più una persona limita i suoi contatti diretti con la realtà, più si trincera dietro miraggi costruiti ad arte dai “padroni del mondo”. Solo per fare un esempio, non sono rare le persone che vivono nella fantasia, per la quale la maggior parte degli stranieri passa le giornate nelle stazioni ferroviarie, comunicando attraverso lussuosi IPhone. Di fronte a “questa realtà” ho esperimentato che qualsiasi discorso, o argomentazione, non tiene, non ha alcuna forza di convincimento.
Ecco allora l’importanza vitale di favorire, come comunità cristiane, momenti d’incontro e di condivisione, momenti di fraternità per “cheirar-se”, per sentire il profumo, l’odore delle nostre persone, come si suol dire in Brasile.
Probabilmente da qui passa oggi il profumo della santità.
Pe. Marco