Siccome i media del sistema non possono dare il dovuto risalto all’avvenimento, sento che è mio dovere fare quel poco che posso, per tenere viva la memoria di un’immagine, che in questi giorni ha attraversato il Pianeta. Concretamente si tratta della foto di Sr. Ann Nu Thawng, inginocchiata davanti ai militari del Myanmar, implorando la loro misericordia e offrendosi in sacrificio al posto della popolazione inerme.
Con questa mia riflessione non intendo ripetere il solito inutile ritornello, circa la povertà esistenziale dei media di regime, che preferiscono ossessionarci con il terrore della morte per COVID, o distrarci intrattenendoci davanti al nulla.
Invece a me preme soffermarmi sul carattere strettamente spirituale e cristiano di questo gesto.
Giustamente sui vari social-media d’ispirazione cristiana, grazie a Dio, è girata questa foto, assieme ad altri messaggi tutti significativi. D’altro canto il risalto è stato dato all’immagine di questa suora, apprezzandone il gesto proprio perché eccezionale.
Eppure… eppure, per coloro che si dicono discepoli di Gesù di Nazareth, questo gesto non dovrebbe aver molto di eccezionale, perché non è altro che l’Incarnazione contemporanea di Gesù di Nazareth. Infatti, se è vero come è vero che la Chiesa è il corpo di Gesù risorto, che continua la sua missione nella Storia, allora il Suo Corpo non può fare altro che ciò che Lui ha fatto.
In questo senso vanno intesi i tweets del Card. Charles Bo, che accompagnano queste immagini.
Forse le nostre coscienze, sempre più mondanizzate, vi scorgono un misto di follia e di cinismo, nell’incoraggiare i cattolici del Myanmar ad essere di esempio in questa lotta impari. Eppure non l’ha inventato lui, che il cristiano “non può temere chi gli toglie la vita fisica, bensì chi ne uccide la coscienza”. In realtà, qui ci troviamo di fronte al “puro frumento evangelico”, “al Vangelo sine glossa”, al quale ahimè non siamo più abituati, neanche dentro i vari ambienti che si dicono cristiani. Invece questo Pastore c’insegna qual è l’atteggiamento di un Pastore e di una Comunità cristiana di fronte a qualsiasi tipo di persecuzione. Esattamente perché non è normale per “l’uomo naturale, l’uomo senza Cristo” dare la vita per
amore. Il ruolo della Comunità è quello di vivere quella comunione di fede e di azione tra i credenti, per sostenersi reciprocamente nel vincere la paura della morte, per continuare imperterriti nel fare il Bene, nel ricercare la Giustizia nelle situazioni concrete nelle quali il Signore
ci pone. E così, se per i birmani il Regno di Dio si costruisce combattendo questa dittatura, per noi può essere il preoccuparsi dei poveri e degli ultimi, dentro la pandemia. Sempre e comunque senza preoccuparsi di salvare la nostra vita biologica, bensì di offrirla a servizio di chi ha bisogno.
Come ho già ripetuto più volte, fermo restando il riconoscimento della minaccia pandemica come un male da combattere, rimane il dubbio inquietante che, il forte appiattimento del linguaggio ecclesiale su quello civile, denoti la sostanziale assimilazione dei cattolici al pensiero dominante e la loro incapacità di richiamarsi al Vangelo, prima che a qualsiasi orientamento sociale, o culturale.
Questo cattolicesimo convenzionale, pienamente a suo agio dentro il declino occidentale, non potrà far altro che soffrire le conseguenze della cultura, che vuole continuare a rispettare e, fondamentalmente, servire.
Un fatto per me decisivo, seppur ai più sostanzialmente irrilevante, è l’organigramma delle nostre celebrazioni liturgiche sostanzialmente estranee a questi ed altri fenomeni che attraversano l’umanità. Il nostro celebrare, asettico e astorico, ci ripropone meccanicamente la memoria intellettuale di fatti passati, che vengono maldestramente tenuti lontani dall’attuale fluire della
Vita. Anche le stesse preghiere dei fedeli, fatte chissà quando e chissà dove, non fanno altro che ripetere generici richiami alle sofferenze della vita ed ai valori eterni del cristianesimo; ma la Vita concreta con i suoi appelli ad una presa di posizione rimane maldestramente silenziata.
Mentre scrivo queste righe ho ben presente quanto diceva B. Brecht, quando diceva: “Sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi”, perché, se servono degli eroi, è perché sono saltate le condizioni minime della convivenza civile, o religiosa. Certamente l’eroismo di Sr. Ann, come quello delle molte vittime della repressione in Myanmar, è il segno eloquente di una situazione estrema e non auspicabile a nessuno.
Così come è più che evidente che questa lotta per la Libertà e la Giustizia non è prerogativa dei soli cristiani; ovvero ci sarebbero tanti elementi significativi di questa lotta del popolo birmano, che meriterebbero di essere approfonditi.
Detto ciò, dal mio punto di vista rigorosamente cristiano, non posso non interrogarmi sui frutti evanescenti prodotti dalla nostra Chiesa, opulenta e allineata, incapace di mettersi in gioco, di entrare nel ring della Storia, per combattere dalla parte delle vittime e degli esclusi. Dicendo questo non sto pensando solo ai vertici della nostra gerarchia ecclesiastica, che per anni ha sbirciato l’occhio all’allora Presidente del Consiglio, corrotto e immorale. In realtà, rimango ogni giorno esterrefatto al vedere con quanta abilità e quanta ipocrisia si soprassiede, ci si gira dall’altra parte, di fronte agli abusi degli amministratori locali, di fronte alle connivenze tra chi detiene il potere economico e chi dovrebbe essere al servizio del bene comune.
Quando mi sono permesso di mettere in discussione tali atteggiamenti, mi è stato fatto notare che “il potere potrebbe vendicarsi in mille modi, pertanto…”.
Eh sì, altro che dare la vita per amore!
La sensazione è la stessa che si ha dentro una “guerra a bassa intensità”, dove quotidianamente muore qualcuno, ma non si hanno mai delle vere e proprie carneficine. Alla fine, però, la somma dei decessi è sempre la stessa.
Così la nostra realtà, ecclesiale e sociale, va sedando
impercettibilmente la nostra coscienza, fino a che riusciamo a rimanere, immobili ed inerti, di fronte a tutto il peggio della vita.
Chissà, forse anche Sr. Ann per molti anni è rimasta chiusa nel suo convento, pregando per le ingiustizie del suo Paese e del mondo. Alla fine, però, ha dovuto ascoltare la voce dello Spirito del Risorto, che la chiamava a fare la sua parte per il Bene del Myanmar.
Che il suo esempio possa contagiare anche noi e convertirci un po’, visto che siamo nel “tempo
opportuno” …
Pe. Marco