Siccome la nostra controriforma liturgica ha deciso di costruire la liturgia della Parola a partire dall’Antico Testamento, a malincuore mi soffermerò innanzitutto sulla prima lettura.
Non penso siano necessarie ulteriori spiegazioni, per ricordarci che questi racconti non pretendono assolutamente narrarci “come sono andate le cose all’inizio”; bensì rispondere alle domande di sempre dell’umanità, che per la loro importanza vengono fatte risalire fino agli inizi della nostra storia. Se a qualcuno interessa, o può servire, questi racconti di Gen 1-11 vengono normalmente definiti eziologie metastoriche. Per queste ragioni questi testi, se ben interpretati, sono di un’attualità spaventosa ed hanno una profondità invidiabile, soprattutto in questo nostro tempo consumato in attimi fuggenti.
In particolare questi versetti del cap. 3° vogliono approfondire la domanda che accompagna ed inquieta ogni uomo venuto su questa terra: da dove viene il male? E soprattutto, perché la nostra Libertà si sente così irresistibilmente attratta da ciò che è la sua negazione, da ciò che la annienta e la schiavizza? Mi è caro qui ricordare le bellissima e brillante spiegazione dell’allora don Ravasi, durante le prime ore di esegesi biblica della mia carriera seminaristica. Con una maestria, ovviamente impareggiabile, lui insisteva nella descrizione dell’azione del serpente. Facendo leva sulla densità del testo ebraico, ne mostrava il suo carattere, viscido ed astuto ad un tempo, che accovacciato nei meandri e negli anfratti attende le sue prede. In particolare questo testo biblico lo descrive come “accovacciato alla porta”, sottinteso del nostro cuore e della nostra libertà.
Con queste immagini semplici, eppur densissime, l’autore biblico vuole rappresentare, da un lato la prossimità, la vicinanza del serpente/peccato, rispetto alla nostra intimità più profonda; dall’altro il serpente è e rimane pur sempre “altro” da noi, è un’altra entità, rispetto a noi ed alla nostra libertà. In altre parole, l’origine del Male non è nella nostra libertà e nella nostra coscienza, ma viene da fuori di noi, un Altro ci seduce continuamente. E’ Colui che la nostra tradizione cristiana chiamerà poi con diversi nomi: Satana/Tentatore, Lucifero/Portatore di luce, Diavolo/Colui che divide e via dicendo.
Anche alla luce di queste denominazioni, ecco che il grande compito della spiritualità cristiana, aimè molto fuori moda, è quello di discernere, riconoscere nel nostro cuore, nella nostra libertà, ciò che ci fa crescere come Figli di Dio e ci realizza pienamente, da ciò che invece è mera illusione, seduzione, cammino verso la schiavitù.
In questo Cammino del Discernimento, che percorre tutta la nostra vita, ecco apparire subito la più grande e radicale illusione: quella di bastare a noi stessi, quella di essere noi i signori del Bene e del Male.
Senza perderci in inutili discussioni sulla natura di quest’albero “del bene e del male”, credo sia importante sottolineare “la precedenza della Parola”. Ovvero, non appena l’Umanità appare sulla Terra ascolta una Parola, che la chiama e la orienta. Se noi pensiamo al nostro “venire al mondo”, non possiamo non riconoscere le parole, le voci degli altri, segni efficaci della Parola creatrice, che ci hanno allevato e orientato. Ebbene, quelle “parole” ci hanno accolto nel mondo e ci hanno accompagnato per lunghi mesi, prima che noi potessimo emettere i primi monosillabi.
Orbene, questa è la struttura originaria della vita umana sulla Terra, anzi di tutta la Creazione. In modo più semplice possiamo dire che noi “siamo obbligati” ad ascoltare la Parola e le parole fuori di noi e ad esse dobbiamo, comunque, dare una risposta; ovvero siamo obbligati dalla vita ad aderirvi, o a rifiutarle. Ciò che non ha fondamento ed è frutto di una grande illusione, è l’idea di poter essere autosufficienti, di bastare a noi stessi, di sapere già come e che cosa fare nella e della Vita. Ebbene tutto ciò è mera illusione, anzi è la più grande seduzione di Lucifero, che ci abbaglia con l’illusione dell’autosufficienza. Di fatto, Adamo ed Eva, pensando di bastare a sé stessi, finiscono con l’ascoltare la voce del serpente. Tutto ciò accade perché noi possiamo solo riconoscere il Bene e la Verità, ma non li possediamo in noi stessi, non siamo la fonte e l’origine, né dell’uno, né dell’altro.
Ecco allora che la sapienza del vivere sta nel riconoscere questa nostra dipendenza e metterci umilmente in ascolto. Soprattutto si tratta di saper riconoscere la Parola del nostro unico, vero Liberatore, a fronte delle miriadi di parole dei falsi liberatori, nonché piccoli dittatori, di tutte le epoche.
Purtroppo non possiamo non constatare come, in questa civiltà della comunicazione, sia molto più difficile ascoltare la Parola del Liberatore. Certamente è diventato molto più semplice sentirla, incontrarla sul web; ma ascoltarla e coglierne il senso profondo, beh ciò è molto più difficile. Così diventiamo sempre più vulnerabili ai serpenti nostrani, che ogni giorno sprizzano veleni a suon di tweet e di “like”.
Che il Signore ci dia il coraggio di affidarci sempre e solo ai dettami della sua Parola.
???????Pe. Marco