Dovendo preparare una piccola riflessione per la Messa di Santa Rosa da Lima, il 23 agosto, sono andato a rivedermi questa Santa per me sconosciuta, ma scoperta durante un Incontro dei Fidei Donum in Perù. Correva l’anno 2003… Purtroppo, anche allora mi era stata presentata nella versione, che l’ha resa famosa nella Chiesa universale: un esempio sublime della spiritualità della Controriforma iberica. Da qui la sottolineatura del suo straordinario spirito di sacrificio, un sacrificio molto spesso cercato deliberatamente, per testimoniare così il suo amore al Cristo crocifisso. E fin qui nulla di nuovo sotto il cielo, tant’è che non le prestai molta attenzione.
Qua e là ci furono altri contatti casuali, fino ad arrivare a questi giorni e alla scoperta della dimensione veramente evangelica di questa Santa.
Innanzitutto il suo amore per gli indigeni peruviani attraverso la sua tata indigena. La relazione fu così intensa, che lo stesso nome “Rosa” le fu dato dalla tata, a causa della sua bellezza paragonabile a quella di una rosa appunto. Questo contatto familiare le permise di costruire un rapporto di sororità con una donna indigena, che molti teologi del tempo non sapevano se considerare come un essere umano in senso pieno. Il contatto quotidiano con la “carne” di quella povera, le ha fatto conoscere la Realtà, al di là di tutte le ideologie e di tutti i pregiudizi del tempo. Ma questo stare a contatto con la Realtà, per lasciarsi provocare da essa, non finisce qui.
Quando adolescente si ritrova a girare per Lima per aiutare la famiglia decaduta, rimane scioccata dalla condizione miserabile degli indigeni, sia di quelli nelle case dei ricchi, sia di quelli disseminati per ogni angolo della città. Di fronte a questa realtà si pone la domanda cruciale, seppur drammatica: “Perché noi cristiani, venuti dall’Europa con il Vangelo dell’Amore, provochiamo tanta sofferenza a questi nostri fratelli”. Ed eravamo sul finire del ‘500…
Mutatis mutandi, non so se abbiamo fatto passi in avanti, o indietro, su queste contraddizioni e sulle domande correlate. Infatti, se da un punto di vista teorico possiamo contare su Documenti e Dichiarazioni inequivocabili, circa la pari dignità di tutti gli esseri umani; dall’altro discutiamo sull’umanità dei nascituri, o sui diritti variabili a seconda del paese d’origine, o del colore della pelle. Purtroppo, ancora oggi, il pregiudizio e l’ideologia oscurano la Realtà.
Detto ciò, la questione ancor più radicale, che glissiamo sempre con molta abilità, è la grande e irrisolta questione della colonizzazione. Tralasciando fin da subito ogni giudizio sulle intenzioni dei singoli attori coinvolti, ovvero sui nostri padri e le nostre madri, va detto che quel fenomeno fu un inequivocabile progetto di conquista e di sfruttamento da parte dell’Europa, prima nelle Americhe, poi in Africa. Ora, questa relazione oppressori/oppressi non è stato un fatto momentaneo e casuale.
Un primo dato, troppo spesso dimenticato, è il fondamento religioso di questa conquista.
Infatti, i nostri padri e le nostre madri sono andati disinvoltamente alla conquista dell’America e dell’Africa, perché un’errata interpretazione di Gen 1,28 (Dio li benedisse e Dio disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra) sembrava autorizzare ciò. Purtroppo, quando parliamo di superiorità tecnico scientifica dell’Occidente, diamo normalmente per scontata anche una visione di sfruttamento illimitato. Gli studi esegetici più recenti, riconosciuti dalla “Laudato sii”, capovolgono l’interpretazione di questo ed altri testi biblici.
Ma la conseguenza più drammatica di quanto detto sopra è stata di carattere antropologico. Fermo restando che tutte le grandi civiltà e i loro imperi sono cresciuti sfruttando altri popoli, il dato scandaloso è che una cultura, che si autodefiniva cristiana, considerasse i popoli extraeuropei alla stregua dei loro ambienti vitali; pertanto da sfruttare, né più né meno, come le loro foreste e le loro miniere. Per poter fare ciò, i soliti intellettuali di corte discutevano inutilmente sulla natura dell’anima indigena, sulle caratteristiche delle razze, sulla superiorità della ragione rispetto ai sentimenti, o alla sensibilità emotiva. Dove la dinamica di fondo era sempre la stessa: pensare e giudicare la Terra a partire dal paradigma europeo.
L’esempio di Santa Rosa, ripreso in questi anni dal Magistero di Papa Francesco, riafferma il carattere rivoluzionario della Verità evangelica: solo chinandoti sulle ferite dell’Altro/a, per toccarle e curarle, potrai incontrare e conoscere quella parte di Realtà, che non ti appartiene, che non è dentro di te, perché la nostra cultura è pur sempre una parte infinitesimale del Reale. Solo incontrando e dialogando con tutto ciò che è Altro da noi, possiamo conoscere meglio la Realtà.
Pe. Marco