Questa Solennità, dedicata al Mistero della Trinità, è un po’ sempre soggetta al rischio di essere ridotta ad una celebrazione di passaggio, tra la fina del grande Tempo della Pasqua e il cosiddetto Tempo Ordinario dell’anno liturgico. In realtà, questa Liturgia della Parola porta in sé delle potenzialità non sempre valorizzate dalla nostra prassi pastorale.
A me pare che, per questa meditazione sul Mistero della Trinità, sia importante tenere come panno di fondo il bellissimo testo di Esodo, che, nonostante i suoi millenni di vita, rimane a tutt’oggi uno dei testi più significativi, per ridirci comunitariamente il grande Mistero, che abbraccia le nostre vite; quel Mistero che identifichiamo con la parola: Dio. A questo riguardo non penso sia inutile ricordarci, che, ciò che sta dietro a questa piccolissima parola, è una realtà inaccessibile per noi umani. Se da un lato il Suo incarnarsi in Gesù di Nazareth ne ha tolto il carattere oscuro e minaccioso, dall’altro dobbiamo stare attenti, che un certo devozionalismo spicciolo, o l’arroganza dei potenti, lo banalizzi al punto da renderlo un “bambolotto”, completamente alla mercé dei nostri capricci e dei nostri interessi immediati.
Mosè, che non era certamente l’ultimo arrivato e che, probabilmente, era animato dalle migliori intenzioni, chiede espressamente di “vedere la sua Gloria, la Gloria di Dio”. Come ben sappiamo la gloria di Dio non ha a che vedere col prestigio, o col successo, comunque li si voglia intendere. Questa terminologia “Gloria di Dio”, nel contesto biblico, indica il manifestarsi, il rivelarsi di Dio; ovvero il rendersi disponibile e conoscibile da parte di Colui, che, nella vicenda del roveto ardente, si era auto-presentato come “Io sono Colui che Sono” Es 3,14. Ma anche nel caso del brano, che oggi ci è stato offerto, il Signore, dopo aver richiamato ad alcuni suoi tratti caratteristici: la Bontà, la Grazia e la Misericordia, alla fine però “si mostra di spalle” a Mosè. In altre parole, con questa bellissima espressione poetica, la Parola di Dio vuole dirci che noi possiamo, sì cogliere qualche segno della Gloria di Dio, ma la Sua realtà, la Sua intimità più profonda ci rimane comunque inaccessibile.
Certamente, per le nostre personalità onnipotenti e per il nostro materialismo incontenibile, questo sostare a contemplare la trascendenza di Adonai significa recuperare la giusta percezione di chi siamo e qual è il nostro posto nel grande Mistero della Vita. Vivere della contemplazione di questo Mistero ci aiuterebbe molto a ridimensionare tanti “sogni di gloria”, che teniamo nel cassetto del nostro cuore…
A partire da questa visione, che ci accomuna ai nostri fratelli dell’Ebraismo, possiamo ora approfondire le suggestioni, che ci vengono dai testi tratti dalla Lettera ai Romani e dal Vangelo di Giovanni. Infatti, Gesù ci garantisce, che, dopo la Sua Morte e Risurrezione, lo Spirito Santo, da buon “Paracleto”, ovvero avvocato difensore, “difenderà la causa di Gesù” di fronte al nostro cuore. In altre parole, il Paracleto ci aiuterà a rileggere tutta la vicenda di Gesù di Nazareth, ad apprezzarla fino al punto di appassionarci per questa prospettiva di vita, nonostante “il mondo della carne”, per dirla con S. Paolo, continuerà a sedurci e ad ingannarci con le illusioni di sempre.
Ma, in questo modo, l’Umanità Nuova, ovvero l’uomo e la donna, che si lasciano guidare dallo Spirito di Gesù, potrà ricreare lo stesso modo di vivere di Gesù. Ma il cuore di Gesù, la vita di Gesù è una vita trinitaria, visto che in Gesù opera il Figlio, la Seconda Persona della Trinità.
Ecco allora che, in questa prospettiva, acquistano nuova luce altre parole fondamentali del testamento di Gesù, che troviamo concentrate soprattutto nei vv-9-17 di questo stesso capitolo 15 di S. Giovanni. In altre parole, l’amore reciproco e fraterno, che deve caratterizzare le relazioni tra i discepoli di Gesù, non è una pia raccomandazione di un maestro, pochi istanti prima della sua morte.
La regola d’oro della fraternità è invece la “conditio sine qua non”, la condizione necessaria, imprescindibile, perché la Gloria Trinitaria sia manifestata oggi nel mondo. Certamente la Gloria di Dio, come da sempre nella storia dell’umanità, continuerà a manifestarsi nelle forme e nelle modalità, che ben conosciamo. Ma la Gloria Trinitaria ha nella Vita comunitaria a fraterna dei discepoli di Gesù il punto più alto e profondo del Suo manifestarsi, rivelarsi nel mondo.
In altre parole, la Vita Fraterna dei cristiani, nonostante tutte le sue fragilità, è la modalità nella quale può rendersi visibile la Gloria della Trinità lungo la Storia.
A questo punto, a costo di sembrare maniacale, mi sia permesso l’ennesimo riferimento personale.
Se è vero quanto detto fin qui, capite bene che, allora, nel caso, che sinteticamente possiamo riassumere come “la mia espulsione dalla Diocesi di Grajaù da parte di un Vescovo” non può essere ridotto ad una banalissima questione, circa gli anni passati là come “fidei donum”, né tantomeno ad una qualche forma di malinteso tra un prete ed un vescovo. Purtroppo l’insieme della vicenda ha delle ricadute molto più vaste e profonde, che, in ultima analisi, rimandano allo stesso manifestarsi della Gloria Trinitaria. Ridotta all’osso la domanda è: che immagine della Trinità rivela una Chiesa, nella quale un Vescovo ed alcuni preti, con una trama di stampo mafioso, stroncano la vita e la testimonianza di centinaia di discepoli di Gesù, che cercavano di essere poveri coi poveri?
Qualunque siano i motivi del conflitto, una Chiesa, che pretende “essere di Gesù” non può eludere questa domanda.
Pe. Marcos