Carissimi amici,
è da qualche giorno che sto pensando cosa scrivervi per il mese missionario; finché oggi, leggendo una mail, ho trovato l’intuizione, che mi mancava; o meglio, ho trovato il simbolo, che meglio può esprimere le idee, che già avevo in testa.
La citazione è di un quotidiano brasiliano, che, a sua volta, cita “The New York Times”: “In una notte recente, una giovane stava trafugando affannosamente nelle scatole dei rifiuti di un supermercato del quartiere operaio di Vallecas, Madrid. Inizialmente ho pensato che fosse un’impiegata del supermercato. In realtà era una giovane di trentatre anni, che cercava tra i rifiuti qualche cosa da mangiare. Quando mi vide, non senza vergogna, commentò, quasi a scusarsi: “Quando non hai più soldi, non hai altra scelta”. Conversando un poco, mi spiegò che lavorava regolarmente per le Poste spagnole, ma dopo essere stata licenziata ed aver esaurito gli ammortizzatori sociali, guadagnava € 400,00 al mese e non riusciva a starci dentro…”.
Questo è solo uno dei milioni di casi, che potremmo raccontarci di questi tempi. Potremmo anche usare questi esempi per scatenare rivolte irrazionali, sia personali, che collettive; o tentare inutili alchimie, per sapere se si può vivere con € 400,00 al mese. Ovvero potremmo usare questi esempi tragici e farne mille cose. Ma a me cristiano, e spero a coloro che con me condividono la fede in Gesù di Nazareth, ucciso dai potenti, ma risorto per la potenza del Padre, ebbene, a noi una domanda non può che risuonarci, nella mente e nel cuore: “È questo il frutto di duemila anni di cristianesimo? Non è l’Europa, nonostante l’anticlericalismo di una certa parte politica, che non lì ammetterebbe, il continente “dalle profonde radici cristiane”?”. Spero che nessuno si nasconda in modo semplicistico dietro il paravento della crisi, che pure c’è ed è impietosa, per dare a lei, la crisi, la colpa di questa povertà “di ritorno”. Sì perché, per secoli, ci siamo trascinati orde di poveri e pestilenti, salvo poi sfamarli con le varie mense dei poveri, gestite dai nostri ordini religiosi.
Non serve essere grandi esperti di economia per vedere come, nel secolo scorso, l’Europa e il Primo Mondo in genere hanno fatto ciò che il Brasile ed altri paesi emergenti stanno facendo in questi decenni. Ovvero, grazie ad un accesso ingiusto alle materie prime ed altri semilavorati del Sud del mondo, abbiamo potuto disporre di ricchezze eccedenti da distribuire alle classi popolari sotto forma di “ammortizzatori sociali”; e così, nel dopoguerra, una buona parte delle classi popolari è diventata improvvisamente classe media. Il Brasile declama ai quattro venti che, negli ultimi dieci anni, quaranta milioni di persone sono entrate a far parte della classe media, grazie ai programmi assistenziali mantenuti con le immense esportazioni di prodotti agricoli e minerari. Questa è Giustizia? No, assolutamente, perché la distanza tra i più ricchi e i più poveri ha continuato ad aumentare. Ovvero, questo sistema di vita, così com’è, non è giusto, né vuol sentir parlare di Giustizia; semplicemente, con una ciclicità perversa e diabolica, crea delle aree di benessere in varie parti del Pianeta; chi si ritrova a vivere in un’area beneficiata da uno di questi momenti favorevoli ha la sensazione di uno sviluppo in atto, pensa che tutto il Pianeta stia così; perciò, dilapida ricchezze economiche e naturali con assoluta disinvoltura. Solo quando la “ruota gira”, come è il caso dell’Europa in questo momento, ci accorgiamo che, questo sistema, è quello ingiusto di sempre.
Questi rilievi brucianti, che molti non accetteranno, non vogliono mettere nessuno alla gogna, bensì aiutarci a guardarci allo specchio, come fanno le donne al mattino prima di mettersi il trucco. E lo specchio oggi ci dice che, purtroppo, in questi duemila anni, salvo casi isolati e sporadici, abbiamo clamorosamente fatto moltissima carità, per coprire l’ingiustizia prodotta sempre da noi, i cristiani. Sì, quando tutta l’Europa era cristiana, il bene e il male non poteva che nascere dai … cristiani, al di là delle appartenenze confessionali.
Dove è finita la Giustizia biblica? Sì, dove è finita? Perché non è tema centrale delle nostre prediche, ritiri e quant’altro, tanto quanto la misericordia, la fraternità, il perdono per esempio? Chi ci ha autorizzato ad esautorarla dalla nostra catechesi e dalla nostra pastorale? In 21 anni di sacerdozio non ricordo di aver mai confessato qualcuno, pentito per aver peccato contro la Giustizia. Per chi non ha molta dimestichezza con la Bibbia, mi permetto di sottolineare che la Giustizia biblica non è riducibile ai sistemi giudiziari degli stati. Così che non può essere ridotta, come si è fatto per secoli, al Giudizio finale, che ci aspetterà alla fine dei tempi.
Senza alcuna pretesa teologica (spero mi perdonino i miei amici teologi…), mi permetto di riportare questa breve citazione, per poter sviluppare il resto del discorso: “In ebraico “giustizia” viene espresso con i termini sedheq, sedhaqa ed anche mispat. Il termine “giustizia” li rende tutti, ma in modo parziale e non del tutto appropriato, perché l’italiano non dispone delle sfumature di linguaggio dell’ebraico. Il significato spazia tra “normatività”, fedeltà della comunità, conformità all’ordine, rettitudine, e anche capacità di vittoria. L’intera gamma semantica lascia emergere che il fondamento del termine rimanda ad un concetto di relazione: la giustizia si attua tra Dio e il popolo eletto o il singolo uomo, e tra gli uomini nelle loro dinamiche relazionali. Il concetto di giustizia è fondamentale nell’Antico Testamento …”. Così come nelle Beatitudini di Matteo per ben due volte Gesù fa riferimento al tema della Giustizia. Chiaramente sarebbe assurdo ridurre il messaggio biblico al tema della Giustizia. Ciò che mi preme è solo richiamare come questo tema sia stato in gran parte omesso dall’azione pastorale ed evangelizzatrice della Chiesa, di modo che risulta essere un tema marginale per la coscienza cristiana comune.
In realtà questo tema, come si può percepire dalla breve citazione, ci rimanda alla questione del giusto, corretto rapporto con Dio e tra di noi. Vivere nella Giustizia, o cercare di essere giusti, significa interrogarsi continuamente chi sono e come sono io in relazione a Dio e agli altri; qual è il mio posto nella società e nella realtà; ciò che mi spetta e ciò che spetta al mio prossimo; ben sapendo che la prossimità non è una questione logistica o geografica, bensì di apertura del cuore verso “l’altro”, chiunque sia e ovunque sia. Ben sapendo che la questione della Giustizia non può essere ridotta alla sua dimensione sociale, d’altro canto è il tema biblico che più la richiama. Semplificando molto, per non “trasbordare” nell’ampiezza di questa lettera, richiamare, riflettere, meditare sul tema biblico della Giustizia certamente aiuterebbe a formare coscienze più mature e avvedute circa i propri stili di vita. Infatti, l’assoluta disinvoltura, con cui la maggior parte di noi cristiani gestisce i beni materiali, rivela un’assoluta mancanza di senso della Giustizia. Come può un cristiano rivendicare il diritto, quasi divino, di appropriarsi di quante ricchezze volesse, purché le avesse acquisite con la sua fatica e il suo lavoro? Questo è uno dei più grandi malintesi o sotterfugi, con cui, farisaicamente, dribbliamo la Parola di Dio. Io, come ogni altro uomo, ho diritto al necessario per vivere dignitosamente e perché possa sviluppare le capacità e i talenti che il Signore mi ha dato. Lottare per la Giustizia è vivere al servizio di questo ideale, che è poi il Regno di Dio e il progetto di Dio al creare il mondo.
Automaticamente chi si appropria di beni in misura chiaramente superiori al “necessario per una vita dignitosa” è ingiusto, benché le leggi del Mondo permettano e benedicano tutti i “self made men”.
“Atterrando” un po’ “sul campo dell’evangelizzazione”, per chi si è perso in questi voli “nei cieli della Giustizia”, tutta questa questione richiama una delle riflessioni, che penso mi avrete sentito fare, mentre vi salutavo prima di partire nel 2002. Mi, e vi, chiedevo: “Che senso ha andare a fare il missionario nel paese con il maggior numero di battezzati al mondo?”; e vi rispondevo con un’altra domanda: “Perché questo stesso paese è anche tra i primi tre o quattro più ingiusti? Come è stato “evangelizzato” questo paese?”. Ma a questo punto della nostra riflessione non possiamo non chiederci: “Dove sono le radici cristiane dell’Europa, visto quanto sopra? Possiamo onestamente colpevolizzare solo “la tremenda Rivoluzione bolscevica” o “l’anticlericalismo illuminista” per la mancanza di senso della Giustizia in Europa e nel Nord America? O noi l’abbiamo semplicemente eclissato accettando tranquillamente società “naturalmente” formate da re, principi, vassalli, valvassori, contadini, schiavi e quant’altro?”.
Purtroppo, la nostra evangelizzazione secolare, per non fare i conti con la Croce di Gesù, ovvero del Vangelo, nudo e crudo, ha lasciato che il tema della Giustizia biblica fosse ridotta, qui in terra, alle questioni giuridiche/giudiziarie; mentre, da un punto di vista teologico, aspettiamo la Giustizia divina, come un giudizio finale, assolutamente imprevedibile. Così succede che, chi come Mons. Romero, muore martire per causa della Giustizia, non possa essere dichiarato pubblicamente tale, perché ad ucciderlo sono stati altri cristiani, che si ritenevano tali, pur praticando le peggiori ingiustizie.
Ri-evangelizzare o, forse, evangelizzare veramente, ovvero permeare, impregnare di Vangelo l’Europa “dalle radici cristiane” o il “cattolicissimo” Brasile, significa recuperare la giusta distanza critica da ogni cultura e da ogni sistema socio-economico: non esiste un sistema, sociale o culturale, più o meno cristiano; tutte le società hanno qualcosa di cristiano e tutte sono, soprattutto, carenti di Vangelo. Chi accetta e scommette la sua vita sulla proposta del Regno di Dio, che Gesù ci offre, deve star dentro la cultura e la società, in cui è chiamato a vivere, e contaminarla, evangelizzarla, con la sua parola, ma soprattutto, con il suo stile di vita alternativo.
Buon Mese Missionario a tutti!
Pe. Marco