Per cogliere, seppur lontanamente, le ricadute del Vangelo di questa domenica, dobbiamo ricordarci brevemente alcuni dettagli storico-culturali. Il soggetto che interpella Gesù è un romano, dunque un pagano. Oltretutto è un soldato, quindi, per le caratteristiche tipiche della vita militare, è ulteriormente impuro, secondo la legge del giudeo osservante. Gesù, pur con tutte le sue anomalie, era ancora riconosciuto come un maestro in Israele. Conseguentemente sarebbe stato normale che si preoccupasse di non entrare nella casa di questo pagano; se l’avesse fatto, sarebbe automaticamente diventato impuro; quindi impossibilitato a partecipare alle liturgie nelle sinagoghe.
Ecco allora che, se da un lato è logica e coerente la preoccupazione del centurione di evitare a Gesù questi problemi, dall’altro non possiamo non sottolineare la scandalosa libertà di Gesù nel superare ogni legge, per poter fare l’unica cosa importante nella logica del Regno di Dio: liberare un figlio del Padre da una condizione di povertà e di bisogno. Questa è la Legge suprema ed assoluta, che guida tutto l’operato di Gesù, ma che non sempre guida l’agire dei suoi discepoli, o sedicenti tali…
Non solo. Infatti, la sensibilità del centurione è frutto di una fede profonda ed imprevista nei riguardi di Gesù. Confesso che rileggendo questo brano mi è sorta la curiosità di chiedere a quel centurione che visione avesse di Gesù, che titoli cristologici Gli avrebbe attribuito; il tutto semplicemente per smontare l’immensità di discussioni secolari ed inutili sulla fede intesa astrattamente. Probabilmente lui aveva osservato l’agire ed il parlare di Gesù ed aveva fiducia che potesse fare del bene anche al suo servo. Ebbene, questa fiducia semplice, eppure radicale, gli fa meritare l’elogio di Gesù, fino al punto di contrapporla all’incredulità di coloro, che invece avrebbero tutti i crismi per credere in Lui.
Ancora una volta Gesù ci dice chiaramente che ogni uomo si autodetermina a partire dalla concretezza della relazione che ha con Lui. Questa relazione, che dipende da noi, dalla nostra risposta/accoglienza a ciò che Lui fa, ci salva o meno, ci libera o meno.
I vv. 10b-12, in tutta la loro drammaticità, riflettono lo sgomento e l’angoscia della comunità di Matteo, composta da giudei, di fronte all’ostinazione della maggior parte del popolo eletto nei riguardi di Gesù “In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti”. Questa ostinazione appare problematica a fronte della schietta fiducia di questo burbero centurione. Ancora una volta Matteo vuole mostrarci, attraverso questa semplice esperienza, il realizzarsi della beatitudine pronunciata da Gesù in 11,25 “”Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli.
A costo di apparire monotono e ripetitivo, non posso non rileggere questa intera vicenda dentro la concretezza dei nostri giorni. Ma ancor più non posso non inquietarmi al vedere quotidianamente uomini e donne, che frequentano le nostre chiese, ossessionati da preoccupazioni identitarie e patriottiche. È inquietante constatare il quotidiano tradimento del Vangelo nel momento in cui ci si affida a queste ideologie, primizie delle paure più ancestrali ed animalesche.
Al tempo stesso queste dinamiche rivelano lo svuotamento del Vangelo, ridotto a simboli vuoti e rituali fini a sé stessi. Il dramma più profondo di questa nostro cristianesimo occidentale è l’incapacità del fedele comune di appellarsi a Gesù ed al suo Vangelo, per leggere ed affrontare questo nostro presente, con le sue sfide e le sue enormi risorse.
Proprio in questi giorni, partecipando ad una Festa di Sant’Agata, contemplavo in una triste estasi le profonde analogie con le feste patronali del mio Maranhão. È incredibile osservare in queste circostanze come questa devozione dei Santi, di matrice post tridentina, sia ancora l’asse portante della fede cattolica occidentale. Ma ciò non sarebbe un grande problema se la santa, in questo caso la martire, fosse soprattutto un esempio da imitare ed un aiuto nell’ora di testimoniare la fede. Invece, non a caso, tutta la solenne celebrazione si concluse con una esuberante invocazione a Sant’Agata in favore delle donne che allattano, o che sono state colpite da qualche malattia al seno, con tutto il rispetto per queste donne.
Purtroppo, in questo semplice esempio, al limite dell’erotismo, sta tutto il dramma della nostra Chiesa, che sull’esempio dei giudei è incapace di affidarsi alla Parola del suo Salvatore in queste ore drammatiche della sua storia.
Pe. Marco