All’interno della smisurata simbologia legata al Mistero dell’Incarnazione, in questa Sesta domenica d’Avvento la Chiesa ambrosiana anticipa la solennità della Divina Maternità di Maria, o Maria Madre di Dio, come recita il Rito Romano il 1° di Gennaio. Tralasciando l’inutile analisi delle distinzioni liturgiche, penso valga la pena ricordare l’origine di tale Solennità. Le radici ultime sono da ricercarsi nello stesso Concilio di Efeso del 431 d.C., che per salvaguardare la doppia natura di Gesù di Nazareth, umana e divina, arrivò a definire Maria, Madre di Dio, esattamente perché in Gesù di Nazareth riconosciamo la presenza e l’azione del Verbo, la Seconda Persona della Trinità, il Figlio del Padre. Quindi, come è giusto che sia, il dogma non è focalizzato su Maria, quanto su Gesù, nostro Salvatore.
Ho voluto ricordare il contenuto dogmatico di questa Festa, esattamente perché questo e nulla più afferma il Dogma in questione. Ovvero i vescovi del Concilio di Efeso erano preoccupati di garantire il contenuto essenziale trasmessoci dai Vangeli, a fronte di un pullulare di eresie, che rischiavano di svuotare la portata salvifica del Vangelo stesso.
Detto ciò, va subito precisato che il Concilio di Efeso, in continuità con gli altri Concili cristologici, riconosce questa presenza del Verbo in Gesù, ma, a differenza di molta fuffa teologica, se ne guarda bene dal descrivere come agisce la Parola in Gesù. Infatti questa dimensione ci è inaccessibile.
Ciò che invece possiamo sicuramente dire, è che l’umanità di Gesù e non un’altra, è la trasparenza del Logos, del Figlio di Dio. In altre parole, Gesù di Nazareth con la sua prassi ci rivela quell’Uomo Nuovo (originario?), che accoglie e vive della Parola del Padre; che è totalmente malleabile e disponibile alla Parola, tanto da essere manifestazione umana del Logos, la Parola del Padre.
Altrettanto interessante è notare come la Parola, Gesù di Nazareth, è venuto al mondo. Fermo restando il linguaggio altamente simbolico dell’Annunciazione (Lc 1,26-38a), Maria genera la Parola di Dio, perché l’ha ascoltata e ad essa si è affidata; ha lasciato che la Parola agisse in lei, al di là dei suoi dubbi e delle sue paure.
Ho voluto insistere brevemente su questo meraviglioso intreccio tra la Parola del Padre e la libertà umana di Gesù e di Maria, perché nel corso di questo anno ho notato con sorprendente piacere la disponibilità di qualche mussulmano/a e leggere la figura di Gesù in questa prospettiva, visto che Maria anche per loro è stata fecondata dall’azione di Allah. Anche ultimamente una cara amica mussulmana, dopo aver ironizzato sul come Dio potesse avere un figlio non essendo sposato, si è ravveduta parzialmente al sentir parlare di Gesù come Parola del Padre. Concludendo rapidamente la discussione, per paura di convertirsi, mi diceva: “Ma i tuoi cristiani non parlano mai di Gesù in questi termini. Ci dicono semplicemente che è il Figlio di Dio”. Senza sapere cosa dicono, aggiunsi io…
Eh sì, perché a partire dalla Divina maternità di Maria, andrebbe recuperato anche un altro tema molto caro alla tradizione orientale: la divinizzazione dell’essere umano. Infatti il Logos/Parola, incarnandosi in una storia umana, offre ad ogni “carne”, ogni uomo/donna, la possibilità di essere trasparenza di Lui, il Figlio del Padre. Così nel Figlio/Parola del Padre noi possiamo vivere da figli di Dio. Lo stesso Gesù, polemizzando con le elite religiose ebraiche, lo ha affermato (Gv 10,34).
Evidentemente tutto avviene nella forma della possibilità, affidata alla libertà di ciascuno di noi e non in virtù di un’essenza superiore, che ci verrebbe trasmessa magicamente in qualche rito sacramentale. I Sacramenti sono la celebrazione pubblica della possibilità di vivere come Gesù di Nazareth e la proclamazione dell’assistenza dello Spirito del Risorto, perché ciò si realizzi.
Il Mistero dell’Incarnazione ci fa sempre più oscillare tra estasi e inquietudine, non tanto per la presenza del Verbo in Gesù di Nazareth, quanto per una religiosità nostrana lontana dalla Parola, pertanto difficilmente carne del Verbo.
Pe. Marco