Quale tempio, per quale culto
A margine di: 1Re 8,15-30; 1Cor 3,10-17; Mc 12,41-44
I testi biblici di questa domenica sono stati scelti attorno al tema fondamentale del tempio. La domanda, che forse potrebbe orientarci un po’, potrebbe essere: qual è il vero tempio di Dio?
A questo riguardo sarebbe molto ingenua la solita lettura semplificatrice, che separa brutalmente Antigo e Nuovo Testamento: l’Antico preoccupato con il Tempio di Gerusalemme, il Nuovo con “il tempio di Dio che siete voi”. In realtà come testimonia il testo del libro dei Re, che abbiamo letto, ma, ancor più 2Sam 7, la preoccupazione principale del Signore non è tanto per “i templi” di ieri e di oggi, che possiamo costruire in suo onore (o per nostra gloria?). Il tempio, nel quale Lui vuole realmente abitare, siamo noi, è l’essere umano, sia esso la stirpe di Davide, che la vedova sconosciuta, che Gli offre tutto ciò che ha.
Certamente questa tematica del tempio, è una tematica intrigante e che attraversa gran parte delle Scritture. Realmente la Parola di Dio non contiene una condanna o un rifiuto del tempio di pietre in quanto tale. In fondo la comunità ha sempre e comunque bisogno di uno spazio e delle strutture, per ritrovarsi e rendere culto pubblicamente al suo Signore. D’altro canto il testo biblico è sempre accompagnato da una “riserva critica”, da una tensione dialettica, quando entra nel merito della realtà del tempio.
Una prima ragione, che genera questa riserva critica, è il pericolo, assolutamente evidente, legato ad ogni costruzione religiosa. Come frutto dell’opera e dell’ingegno umano, i templi possono alimentare un certo compiacimento, fino all’estremo dell’orgoglio, tanto nei singoli, come nelle comunità, che li hanno realizzati. Ovvero possono alimentare l’eterna tentazione umana di “guardare” il Signore a partire da sé stessi, da ciò che facciamo per Lui e, conseguentemente, perdere di vista, o svalutare, ciò che Lui ha fatto e continua a fare per noi.
L’altro grande pericolo, che attraversa e accompagna la realtà del tempio, è la dialettica, la separazione: dentro-fuori, sacro-profano, Dio-mondo ecc… Ovvero l’illusione (o la tentazione) di pensare che lo spazio, il “luogo” di Dio è dentro il tempio; mentre il “fuori”, il mondo, è il nostro spazio, è il nostro regno, dove possiamo fare ciò che vogliamo. Ovviamente non mi addentrerò in questo binomio, per altro molto seducente e accattivante. D’altro canto non vi è chi non veda, come questa dialettica e, soprattutto, questa separazione, dentro-fuori dal tempio, abbia contribuito a generare le più grandi contraddizioni della “societas christiana”, fino a generare, nel Continente più cattolico del Pianeta, le maggiori ingiustizie, fino ai martiri per mano di altri “cristiani”.
È a partire da questi pericoli e da queste contraddizioni, che la Parola di Dio ci dice chiaramente, che il tempio a cui guarda e di cui si preoccupa il Signore, siamo noi stessi, ciascuno di noi. La pietra miliare, da cui dobbiamo partire, per capire la svolta cristiana riguardo al tempio, è certamente il passaggio del colloquio tra Gesù e la Samaritana. Quando la donna lo interroga su quale sia il vero tempio, il vero culto e via dicendo, Gesù risponde categoricamente: “Credimi, donna, è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità“. Gv 4,21-23; fino ad arrivare alle pagine, meravigliose e un po’ difficili per noi, della lettera agli Ebrei; soprattutto i versetti: “Dopo aver detto prima non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato, cose tutte che vengono offerte secondo la legge, soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà. Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo. Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre.” Eb 10,8-10.
Questi testi mostrano chiaramente come la nostra coscienza, la nostra libertà, sono il Tempio, nel quale possiamo e dobbiamo incontrare il Signore. D’altro canto questa nuova prospettiva fugge da qualsivoglia intimismo, o spiritualismo disincarnato. Quando Gesù invita ad “adorare il Padre in Spirito e Verità”, innanzitutto non sta parlando del nostro spirito, contrapposto alla carne. Qui lo Spirito è lo Spirito del Cristo Risorto, che ci è dato per seguirne i passi e continuarne la prassi liberatrice. La Verità è l’Uomo Nuovo, Gesù di Nazareth, che, consacrando la sua libertà al Padre, rinunciando ad un progetto autonomo sulla sua vita, compie pienamente il progetto del Padre, ovvero trasforma il “mondo” nel Regno di Dio. In questo modo, “l’altare della coscienza” diventa il “luogo”, dove siamo chiamati ogni momento a realizzare il “sacrificio spirituale”, come lo definirà la “Sacrosanctum Concilium”; non nel senso sacrificale veterotestamentario, bensì nel senso del dono di sé, libero e gratuito, a servizio di un Progetto, che non è nostro, non è creazione nostra.
don Marco