Le letture di questa domenica hanno un chiarissimo tono eucaristico, riportandoci addirittura la narrazione dell’Ultima Cena nella versione che S. Paolo ha trasmesso ai corinzi. Quindi il messaggio di fondo è molto semplice, fino al punto da apparire fin troppo chiaro. In realtà, come spesso succede, le cose troppo ovvie a livello biblico nascondono qualche semplificazione, per non dire qualche travisamento. Ed in questo caso, nel caso dell’Eucaristia, a me pare che il travisamento non è da poco…
Come evidenziava molto bene il grande teologo don Giuseppe Colombo, lungo la storia del cristianesimo l’Eucaristia è diventata una specie di “feticcio” dotato di poteri straordinari, giustamente perché è il corpo di Cristo. In questa deriva non poche responsabilità devono essere attribuite a schiere di teologi, ossessionati dalla questione delle “presenza reale”, per fronteggiare il pericolo protestante. In questo modo, con un volo più che “pindarico”, arriviamo a certi movimenti cattolici moderni che fanno del contatto fisico con l’Eucaristia quasi un segno di appartenenza o meno alla Chiesa Cattolica (per esempio il Rinnovamento dello Spirito brasiliano enfatizza il toccare l’ostensorio, o il tabernacolo nei vari momenti di adorazione, o preghiera…).
Ben sapendo che anche gli esegeti non possono che muoversi nel campo delle congetture, sarebbe interessante sapere da Giovanni e dalla sua Comunità, perché, per parlare dell’Eucaristia, hanno tralasciato la narrazione “storica”, fattuale della sua istituzione, per darci il suo famoso cap. 6 e la “Lavanda dei piedi”. Di certo questi due testi evangelici ci obbligano a sottolineare la nostra relazione esistenziale con Gesù, più che soffermarci sulla sua presenza in quella “cosa”, che chiamiamo Eucaristia.
“Io sono il pane vivo, disceso dal cielo”. Certamente questo versetto potrebbe competere in una fantomatica gara tra i versetti biblici più citati e dipinti sugli altari. E così siamo andati avanti per secoli nel far sì che i cristiani potessero “mangiare” più Eucaristia possibile (anche la questione dei divorziati risposati non è esente da questo fraintendimento). E sì, perché se quel Pane eucaristico dà la Vita Eterna, più ne mangio e più avrò possibilità di entrare nella Vita Eterna.
Purtroppo si sorvola con troppa disinvoltura sul fatto che qui Gesù sta parlando semplicemente, ma drammaticamente, di sé. Ovvero Lui, la sua vita, le sue preferenze, la sue scelte, i suoi posizionamenti, i suoi valori, la sua libertà sono il pane disceso dal cielo, sono la “carne” che dobbiamo mangiare, se vogliamo entrare nella Vita Eterna. In altre parole, Gesù, mentre pronunciava queste parole, si riferiva a tutto ciò; pertanto per i suoi ascoltatori era chiaro e forte il riferimento a quel Suo nuovo modo d’intendere la vita. E su questa nuova prospettiva di vita Lui chiedeva e ci chiede l’adesione della fede; credere, cioè, che in quel suo modo destabilizzante d’intendere la vita, noi possiamo trovare il segreto della Vita, la Vita vera, la Vita Eterna.
“Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Certamente c’è una questione vitale ed esistenziale ad un tempo, che però non si risolve con il semplice masticare l’Eucaristia; tanto meno con normative liturgico-canoniche più o meno dettagliate, per regolare l’accesso a quel “Pane consacrato”. Anche il cosiddetto “diritto all’Eucaristia domenicale”, quale principio regolatore nella distribuzione del clero, molte volte non è che le versione attuale e camuffata delle contraddizioni sottolineate finora.
La vera questione, che è anche una sfida titanica dopo secoli di “violenze liturgiche”, è avere il coraggio di ripensare la liturgia e la catechesi su quanto riusciamo a suscitare questo rapporto esistenziale con Gesù di Nazareth. In altre parole bisognerà cominciare, prima o poi, a pensare la preparazione all’accesso eucaristico non tanto in termini di numero di incontri frequentati, bensì a partire soprattutto dall’assunzione di stili di vita evangelici. In questo senso mantenere la celebrazione della Prima Comunione a nove-dieci anni non aiuta certo nel recuperare il senso profondo dell’Eucaristia. Tranne che si voglia andare in una prospettiva “ortodossa” con l’affermazione assoluta del primato della Grazia e l’inutilità da parte della Chiesa di regolare l’accesso all’Eucaristia.
Ma se cominciamo a tirare in ballo sul serio gli stili di vita evangelici, beh allora la distinzione tra battezzati e non battezzati diventa quasi irrilevante e allora… meglio distribuire più Eucaristie possibili e lasciar fare alla Grazia…
Pe. Marco