I testi biblici, che ci vengono offerti per celebrare questa Solennità del “Corpus Domini”, ci aiutano efficacemente a rimeditare, ancora una volta, la grande novità, costituita dall’annuncio evangelico portato da Gesù di Nazareth.
Infatti, il brano di Esodo, che pur già ci prepara all’Incarnazione della Seconda Persona della Santissima Trinità, è pur sempre un testo da leggere nella prospettiva dell’umanità “senza Cristo”, ovvero che non ha (ancora) conosciuto Cristo, come direbbe Martin Lutero. In questa prospettiva, l’essere umano, a qualunque cultura appartenga, non può che essere disorientato e spaventato, di fronte a questo Mistero, che chiamiamo Dio. In questa situazione, di smarrimento e di paura, gli uomini, da sempre, attraverso i vari riti religiosi vogliono offrire, sacrificare al divino qualcosa di sé o delle proprietà, che possiedono. Questo tipo di sacrifici pretende pacificare e conquistare a sé la divinità, perché ci guardi con benevolenza e non ci mandi i suoi castighi. In questa prospettiva, molto sintetica e riassuntiva, dobbiamo leggere anche il testo di Esodo, che ci è stato proposto. Infatti, a questo scopo Mosè ordina di “offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione”.
Il Memoriale Eucaristico, istituito da Gesù, vuole, invece, aiutare i cristiani di tutti i tempi “a ricordare, fare memoria” del fatto che, in realtà, la vita e gli atti di culto, a partire da Lui, andrebbero visti e vissuti in tutt’altra prospettiva; addirittura in una prospettiva esattamente contraria a quella fin qui presentata.
Infatti, il Memoriale Eucaristico è il coronamento di tutta la vita di Gesù. Ecco allora che, innanzitutto, va’ letto dentro la prospettiva di tutta una vita.
E la prospettiva di Gesù è che la nostra vita è nelle mani di un Padre, di un Padre altresì infinitamente buono, misericordioso (non acquiescente, o connivente…), che per noi, per il nostro Bene (e solo per il nostro Bene) fa di tutto, oltre ogni nostra attesa ed immaginazione.
Per questo motivo non ha senso sacrificare a Lui qualcosa, per conquistarlo, perché stia dalla nostra parte (il più delle volte per soddisfare i nostri capricci, o coprire la nostre responsabilità…). Ciò che è Bene per noi, ciò che ci fa Bene, Lui già lo fa da sempre e non ha alcun bisogno di essere sollecitato, o pressato nel farlo.
Anzi, avviene esattamente il contrario, ovvero che, se c’è “qualcuno, o qualcosa” da convincere questa è proprio la nostra Libertà, la nostra Coscienza, che normalmente diffida, stenta a credere, che, quanto più ci “sacrifichiamo”, ci consegniamo a Lui ed al Suo Vangelo, più veniamo liberati dai nostri limiti, dai nostri peccati, dai nostri egoismi, che sempre pregiudicano le nostre ed altrui vite.
Questo è il senso profondo dell’Eucaristia, vissuta e consegnataci da Gesù nell’ Ultima Cena. In quel rito Gesù vuole “spiegarci” il senso del Suo morire in Croce, come consegna, come fedeltà, totale ed assoluta, al Padre. A Lui, e solo a Lui, Egli si consegna e consegna la sua vita. La violenza e l’invidia dei potenti, che vorrebbero metterlo a tacere, che vorrebbero far tacere la Sua testimonianza, non lo intimoriscono e, alla fine, non lo distraggono da questa “fedele consegna”.
Ma, da sempre, nel gesto eucaristico non dovremmo ricordare “solo” quanto Gesù ha fatto per noi. Nella ripetizione, sul pane e sul vino, di quel “Fate questo in memoria di me” Gesù non chiede semplicemente che ricordiamo quanto “Lui ha fatto”.
In realtà questo invito ci chiede anche “di fare le stesse cose che Lui ha fatto”, per essere memorie viventi di Lui.
In altre parole, ogni celebrazione Eucaristica “ha senso”, è vissuta in pienezza, se in essa noi accettiamo e rinnoviamo radicalmente la disponibilità a fare tutto ciò che Lui ha detto e fatto.
“Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova”, come ci dice molto bene la Lettera agli Ebrei. Per questo motivo la purificazione dai nostri peccati non avverrà più (perché non è mai avvenuta…) grazie ai “sacrifici di montoni e di capri”, bensì dall’adesione al progetto di vita di Gesù, che è la costruzione del Regno di Dio. Questa dedicazione e questa consegna “toglie il peccato” dal mondo.
Ecco allora che la Misericordia, o la Grazia, o il Perdono, che dir si voglia, non è la modalità divina di sopportare ed avvallare i nostri peccati, bensì la possibilità sempre rinnovata da parte Sua per poterci rimetterci in gioco, per rimetterci in cammino sulle strade del Regno.
Al termine di questa riflessione, chiedo a me ed a te, lettore, se e quanto le nostre Celebrazioni Eucaristiche, attualmente, riescono a far scaturire da ogni celebrazione questa carica rivoluzionaria, questa potenza liberatrice, che l’Eucaristia porta in sé.
La prima domanda fondamentale, che io mi pongo, indipendentemente dal numero di preti disponibili, è se il ritmo quotidiano della Celebrazione Eucaristica permette di custodire e valorizzare il potenziale che l’Eucaristia porta in sé.
Certo, i più obbietteranno che la Messa quotidiana non è obbligatoria per nessuno. D’altro canto va tenuto presente che, se quel modo di celebrare, ripetitivo e formale, diventa il paradigma del celebrare cristiano, ecco allora che il rischio di vanificare la forza liberatrice del più grande Sacramento è quasi naturale.
Per non parlare del soggetto storico-concreto che celebra, durante le nostre Messe. Chi celebra che cosa nelle nostre Celebrazioni Eucaristiche? È l’Assemblea-Corpo di Cristo, o è il Presidente e la sua equipe liturgica di fronte ad un Popolo, chiamato ad accompagnare devotamente?
Ancora, la Celebrazione Eucaristica è il ripetersi, perenne ed anonimo, di gesti rituali “per ricordare” cosa Gesù ha fatto per noi, o è l’incontro dell’ umanità, attuale e concreta, con la forza del Cristo Risorto e presente nell’oggi?
Pe. Marco