A margine di Gs 4,1-9; Rm 3,29-31; Lc 13,22-30
La prima lettura di questa domenica, con questo rituale apparentemente misterioso, per la nostra coscienza postmoderna prigioniera dell’istante, in realtà ci riconduce ad una struttura fondamentale per la nostra fede, che è il memoriale biblico. Di fatto, l’uomo biblico con un gesto simbolico, legato ad un’azione salvifica di Dio, fa sì che la forza salvifica, che si era manifestata in quel determinato momento storico, possa attraversare la storia e contagiare coloro, che ne fanno memoria. Così è per queste pietre, per rendere presente la forza divina di fronte a tutti gli ostacoli della natura; così è il memoriale della Pasqua ebraica, per poter contare sulla forza di Dio contro tutte le strutture di oppressione; così è per il memoriale Eucaristico, luce e alimento, per realizzare in noi il Figlio amato e sognato dal Padre fin dalla Creazione del mondo.
Quindi, più che un rito arcaico e misterioso, la prima lettura ci obbliga a fare i conti con questa dimensione fondamentale della nostra fede, che è il memoriale. Ma forse qui sta il punto, cosa ne è rimasto del memoriale nella nostra fede attuale? Ovvero, come oggi viviamo la Celebrazione Eucaristica? Sì, forse riusciamo a dire che è la Memoria della Pasqua di Gesù. Molto bene, ma cosa significa oggi “fare questa memoria”? Non sarà forse il nostro fare attuale, prevalentemente “un pensare” la Pasqua di Gesù; così tutte le domeniche andiamo in Chiesa e lì pensiamo, ricordiamo intellettivamente la Pasqua di Gesù, dunque pensiamo di aver celebrato la memoria della Pasqua di Gesù. Incredibilmente, già nel Vangelo di oggi, scritto pochi decenni dopo la Pasqua di Gesù, appare già la critica dell’evangelista Luca a questo rischio mortale: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Abbiamo ripetuto il Tuo gesto e ci siamo ricordati di Te, dunque… “abbiamo diritto” alla Salvezza, che ci hai promesso.
Ma non è e non sarà così. La memoria, mentale e rituale, della Pasqua, pur fedele e regolare, non garante la Salvezza, se non è immersa e non è finalizzata alla pratica della Giustizia. Anzi il Memoriale della Pasqua di Gesù, che è l’Eucaristia, svela il suo significato più profondo e più vero, proprio quando è celebrata come luce e alimento, per alimentare la pratica della Giustizia e sostenere l’impegno a servizio del Regno di Dio. Al di fuori di questo circolo vitale, l’Eucaristia non si differenzia sostanzialmente da qualsiasi atto di culto, che l’uomo religioso eleva al suo dio.
A partire da queste premesse sull’esperienza biblica del memoriale, possiamo allora intendere il significato del detto di Gesù sulla “porta stretta”, perlomeno della rilettura che ne fa la comunità lucana. La porta stretta di Gesù non è un nuovo e aggiornato appello a consegnarsi alla logica sacrificale, tipica di tutte le religioni umane, senza Cristo. Il Padre non ha bisogno, né ci richiede di offriGli sacrifici, fini a sé stessi, per placare la sua irritazione, o la sua rivolta contro i nostri peccati.
La “porta stretta” evangelica è tutta la nostra difficoltà nel credere che il Vangelo è l’unica forma di vita, plausibile e sostenibile, perché la nostra umanità incontri la Vita vera, la Vita autentica, la Vita Eterna.
Esattamente qui sta il punto e la sfida per la nostra libertà. Invece di vivere “autonomamente”, perfettamente omologati alla società e alla cultura ambiente, per poi dirigerci a Dio con ogni genere di sacrifici, per sedare il nostro senso di colpa, più o meno cosciente; dicevo, invece di questo “circolo di morte”, Gesù ci invita a fare la fatica di scoprire come il Suo modo di vivere, il Vangelo è la forma più autentica di vivere, dunque il cammino, che ci esperimentare e vivere la Salvezza.
Che possiamo avere il coraggio di passare per “questa porta”.
d. Marco