Le letture di questa domenica iniziano con questo lunghissimo e, forse, inutile brano, tratto dal ciclo del profeta Elia. Ovviamente inutile non è Elia, che, anzi, come cercheremo di mostrare, è profondamente attuale, bensì il fatto di collocare un testo così esteso dentro un contesto liturgico. Il rischio è che la sua lunghezza oscuri i messaggi contenuti.
Infatti, questo dilungarsi sui dettagli di questa disputa con i falsi profeti, potrebbe distrarre il lettore dai motivi che l’hanno generata. Ed i motivi, come sempre accade per ogni testo della Parola di Dio, non sono motivi di tipo ideologico; ovvero Elia non è preoccupato d’intraprendere una “disputa teologica” astratta, come molte volte nella storia abbiamo visto fare da parte di certi teologi.
L’origine del tutto sono le ambizioni assolutistiche del re Acab e, soprattutto, di sua moglie Gezabele, che, dopo aver instaurato un regno corrotto, cercano di ridurre al silenzio le voci di dissenso, rappresentate soprattutto dai profeti. Si tenga presente che, per realizzare il suo progetto autoritario, Gezabele, pagana, devota delle divinità Baal e Astarte, cerca di disorientare il popolo d’Israele, distraendolo dall’obbedienza al Signore degli eserciti, che lo ha liberato dalla schiavitù dell’Egitto ed ancora opera, perché il suo popolo si mantenga libero da ogni forma di oppressione e di schiavitù. Ma Gezabele, che ha un’evidente influenza sul marito, ha già ordinato lo sterminio di tutti i profeti, che si oppongano al culto delle divinità suddette.
In questo clima di terrore e di persecuzione i profeti, che non sono ancora stati uccisi, finiscono per diventare “profeti di corte”, ovvero strumenti a servizio del suo potere. Per questo motivo, la disputa intentata da Elia, si apre presentando questo numero spropositato di profeti a servizio del re. Lui è l’unico rimasto che, sfidando l’arroganza e la perversità di Acab e Gezabele, continua a richiamare il popolo alla fedeltà a YHWH, il Dio dei Padri e dell’Esodo. Rimanere fedele a YHWH, all’unico Signore, non è una questione astratta, teorica. Rimanere fedele a Lui, significa affidarsi e fidarsi di Colui, che già ha liberato Israele e, nella Sua gelosia, fa di tutto, perché Israele, pervertendosi, non ricada nelle varie forme di schiavitù.
Ecco, quindi, che la sfida lanciata da Elia è un tentativo di dare un segno al popolo, perché vinca le sue paure nei riguardi del re oppressivo e riconquisti la sua libertà.
Questa lotta anti-idolatrica attraversa tutta la Bibbia e, come ho già ripetuto, non è una disputa ideologico-linguistica sul vero nome di Dio. In realtà conoscere il vero Dio, chi è veramente Dio, è condizione necessaria per conoscere sé stessi e gli altri. Senza volerci dilungare in un’analisi troppo complessa, è assolutamente evidente il nesso circolare: immagine di Dio ? immagine di sé/degli altri ? immagine di Dio; dove non importa da quale punto si parta, visto che tutti gli elementi sono correlati tra di loro. Da qui l’importanza di non perdere la percezione del volto autentico di Dio, per non cadere in balia degli idoli e delle schiavitù, che sempre portano con sé. In realtà gli idoli non sono altro che le forme concrete con le quali l’unico vero idolo, il diavolo (il dia-ballo), tenta continuamente di separarci dal Signore della Vita.
A questo riguardo non trovo di meglio che concludere questa riflessione con le parole pronunciate da Papa Francesco nell’udienza del 01-08-18: “Gli idoli esigono un culto, dei rituali; ad essi ci si prostra e si sacrifica tutto. In antichità si facevano sacrifici umani agli idoli, ma anche oggi: per la carriera si sacrificano i figli, trascurandoli o semplicemente non generandoli; la bellezza chiede sacrifici umani. Quante ore davanti allo specchio! Certe persone, certe donne quanto spendono per truccarsi?! Anche questa è un’idolatria. Non è cattivo truccarsi; ma in modo normale, non per diventare una dea. La bellezza chiede sacrifici umani. La fama chiede l’immolazione di sé stessi, della propria innocenza e autenticità. Gli idoli chiedono sangue. Il denaro ruba la vita e il piacere porta alla solitudine. Le strutture economiche sacrificano vite umane per utili maggiori. Pensiamo a tanta gente senza lavoro. Perché? Perché a volte capita che gli imprenditori di quell’impresa, di quella ditta, hanno deciso di congedare gente, per guadagnare più soldi. L’idolo dei soldi. Si vive nell’ipocrisia, facendo e dicendo quel che gli altri si aspettano, perché il dio della propria affermazione lo impone. E si rovinano vite, si distruggono famiglie e si abbandonano giovani in mano a modelli distruttivi, pur di aumentare il profitto. Anche la droga è un idolo. Quanti giovani rovinano la salute, persino la vita, adorando quest’idolo della droga.
Qui arriva il terzo e più tragico stadio: «…e non li servirai», dice. Gli idoli schiavizzano. Promettono felicità ma non la danno; e ci si ritrova a vivere per quella cosa o per quella visione, presi in un vortice auto-distruttivo, in attesa di un risultato che non arriva mai.”.
Pe. Marcos