Per questa riflessione mi soffermerò essenzialmente sul Vangelo. Questo testo andrebbe letto in parallelo con quello di domenica scorsa, soprattutto con il versetto iniziale, che, riportando le parole e soprattutto il pensiero di Gesù, evidenziava il fatto, che Lui interpretò la Sua missione messianica innanzitutto come rivolta ai figli d’Israele, perché, convertendosi al loro Signore ed accogliendo il Messia inviato da JWHW, potessero divenire quella “città posta sul monte, più alta dei colli”, alla quale sarebbero accorse tutte le genti. Quindi Gesù interpreta la Sua missione come sviluppo della storia d’Israele, come suo completamento, ma avendo ben presente questo esito universalistico: tutte le genti, tutti i popoli sono invitati a partecipare al “banchetto messianico”, alla festa di JWHW con l’umanità.
Ecco allora che il Vangelo di oggi ci mostra un Gesù, quasi “costretto a bruciare le tappe” e ad accogliere un pagano, oltretutto oppressore, che supera gran parte del popolo d’Israele ed entra a far parte del Regno di Dio. Luca, che scrisse il suo Vangelo, in e per, una comunità di convertiti dal paganesimo, è sempre molto attento a queste “tracce” missionarie, universalistiche, insite nelle scelte di Gesù.
È bene notare come Gesù sia estremamente attento a non ridurre la sua attività dentro gli spazi angusti di un mero gioco d’interessi, o da “supermercato del sacro”. In fondo, se poteva fare il miracolo “on-line”, come in certo senso l’ha poi fatto, perché non lo fece? Oltretutto avrebbe potuto “ottimizzare la Sua produzione miracolosa” ed avere più “clienti”, che noi, spesso, confondiamo con i fedeli! Esattamente sempre per lo stesso motivo, già ripetuto più volte con le parole di Papa Francesco: “Laici e sacerdoti che si vantano di quello che fanno: «Questo è il vanto: io mi vanto. È ridurre proprio il Vangelo a una funzione o anche ad un vanto: “Io vado ad evangelizzare e ho portato in Chiesa tanti”. Fare proselitismo: anche quello è un vanto. Evangelizzare non è fare proselitismo”. Al contrario, l’evangelizzazione autentica avviene per attrazione, per testimonianza della vita. Sempre Papa Francesco, rispondendo ad un giovane alla Giornata Mondiale di Cracovia, diceva: “Tutti noi conosciamo gente allontanata dalla Chiesa: cosa dobbiamo dire loro? E io ho risposto: “Senti, l’ultima cosa che devi fare è dire qualcosa! incomincia a fare e lui vedrà cosa tu fai e ti domanderà; e quando lui ti domanderà, tu dì”.
Gesù attende, perché vuole conoscere quell’uomo, conoscere quella situazione, conoscere le reali e nascoste ragioni di quella richiesta; in altre parole vuole stabilire un rapporto personale con lui. Solo allora e, dopo aver constatato la fiducia, che lui ha in Gesù, accetta di curargli il servo, perché in quel contesto ed a quelle condizioni, quel segno, che noi chiamiamo impropriamente miracolo, diventa un elemento ulteriore per rafforzare la relazione del centurione con Gesù, ovvero per rassicurarlo nel cammino della Salvezza, che ha appena incontrato.
Obbedendo all’intenzionalità lucana nel proporci questo brano, non possiamo non porci qualche domanda, così come Luca le poneva ai suoi interlocutori. La domanda di Luca è molto chiara: “Come mai questo pagano, che, oltretutto esercita una professione “impura”, quella del soldato, come mai lui riesce a credere in Gesù di Nazaret, mentre i suoi vicini di casa, o i sacerdoti del Tempio, non solo non credono in Lui, ma addirittura lo condannano, lo perseguitano?”.
Ed oggi, chi sta accogliendo, chi sta credendo in Gesù nel mondo? Dove, tra quali popoli e tra quali categorie umane Gesù trova fede ed accoglienza? Perché tra di noi, nelle nostre terre di antica tradizione cristiana, Gesù sembra non trovare più accoglienza? Ma è realmente Gesù a non essere accolto, o sono coloro che dovrebbero testimoniarlo ed annunciarlo, che sono diventati irrilevanti per il mondo occidentale?
Purtroppo, quando sollevo queste domande, vengo tacciato di catastrofismo e di fare discorsi colpevolizzanti. Ovviamente le domande le rivolgo al “noi” ecclesiale, non sono indirizzate a nessuno in particolare, per farsi l’esame di coscienza prima di dormire. D’altro canto vedo che queste obiezioni capziose non sono altro che un modo abile di glissare la reale posta in gioco.
E la posta in gioco, per noi qui in questa Italia e in questa nostra Europa, è forse ciò che emergeva da un’indagine realizzata in Italia quattro o cinque anni fa su campioni di popolazione compresi tra i 18 ed i 35 anni. L’analisi comparata di quei dati mostrava chiaramente che, pur con tante confusioni e contraddizioni, ciò che risultava irrilevante, per questo “asse portante” della nostra popolazione, non era tanto Gesù di Nazareth, bensì la Chiesa, costretta a parlare di Lui, ma la cui prassi, molte volte, è totalmente estranea al Suo Vangelo.
In altre parole, appare sempre più chiaro che irrilevante è la Chiesa, presa nel suo insieme, e non tanto Gesù ed il Suo Vangelo. Ma la questione appare ancora più intrigante nel momento in cui, normalmente, si scinde Papa Francesco dal resto della Chiesa, o, perlomeno, della gerarchia. Infatti, se da un lato questo dato è estremamente inquietante, dall’altro rivela che esiste una “forma contemporanea” di vivere il Vangelo, che non contrasta con il Vangelo, bensì è riconosciuta come incarnazione dello stesso.
Per tutto ciò non possiamo non chiederci: perché buona parte della nostra prassi ecclesiale rischia di rendere irrilevante il Vangelo?
Pe. Marco