A causa del criterio discutibilissimo, con il quale sono state selezionate queste letture, non mi soffermerò, come mio solito, sul commento diretto e specifico dei testi in questione. Per chi ne fosse interessato, mi permetto di sottolineare che questi testi, oltretutto frutto di cesure opinabilissime di versetti fondamentali, ebbene questa scelta vorrebbe mostrare una continuità inesistente tra la concezione patriarcale della famiglia veterotestamentaria e la visione cristiana. Basterebbe semplicemente ricordare il testo anticamente usato per questa Festa, quello del ritrovamento di Gesù al Tempio, per intuire che Gesù ribalta il ruolo della famiglia di sangue nell’economia del Suo messaggio salvifico. Per Gesù la famiglia di sangue non è più il fondamento su cui costruire tutta l’esperienza della fede. Al suo posto Egli colloca “tutti coloro che ascoltano la Parola e la mettono in pratica”; costoro per Lui sono “fratelli, sorelle e madre”. Se poi, anche i famigliari vogliono entrare in questa nuova famiglia, bene; altrimenti possono rimanere in secondo piano.
Venendo ora ai nostri testi, certamente ad insaputa dei nostri cari liturgisti, il testo evangelico di questa domenica è uno di quelli che meglio ci mostrano la freschezza e l’attualità della Parola di Dio, nonostante i suoi duemila anni e più di vita. Infatti, se ci spogliamo da tutte le letture mitiche e spiritualistiche, che spesso inficiano la nostra relazione con la Bibbia, ecco che il testo di Matteo ci narra la storia di una famiglia, quella appunto del Figlio di Dio, di ritorno dall’esilio. Sì è proprio così, anche la Sacra Famiglia è stata profuga ed ha fatto l’esperienza dell’esilio. Se fossero esiliati politici, religiosi, economici, o turistici… non lo so, né voglio saperlo, perché questo evidentemente è un falso problema, una falsa domanda. Infatti con questo legalismo, tipico del peggior fariseismo, noi uomini riusciamo a lasciar in libertà un assassino come Cesare Battisti, mentre lasciamo morire in mare centinaia di poveri in cerca di un futuro migliore.
In ogni caso, passando dalle false domande alle considerazioni meramente teologiche e spirituali, questa vicenda ci mostra chiaramente due grandi verità teologiche.
Da un lato ci rivela le intenzioni e le opzioni di JHWH. Gesù, pur non essendo di famiglia sociologicamente povera, si è comunque incarnato in una classe sociale popolare, non privilegiata; con la conseguenza di condividere il peso e le ingiustizie di questa condizione sociale. Ovviamente questa è stata una scelta deliberata da parte di JHWH.
Perché questa scelta? Perché questa opzione?
Perché la vita storica, qui nel tempo, obbliga comunque a fare delle scelte, delle opzioni. Anche JHWH accetta e rispetta questa legge della vita, che Lui stesso ha creato.
La neutralità è solo un concetto astratto creato da noi uomini. Nella realtà non esiste la neutralità, perché la realtà storica e già da sempre retta e governata da lotte di potere e conflitti d’interesse.
Le situazioni storiche, che nostro malgrado ci ritroviamo a vivere, sono, sempre e comunque, frutto di secoli di ingiustizie e sopraffazioni. Il che ci obbliga, indipendentemente dalla nostra volontà, a schierarci, a prendere posizione, ad emettere un giudizio storico.
La scelta trinitaria, rivelataci dalla Sacra Famiglia, è molto chiara e netta: Gesù sceglie di stare dalla parte degli ultimi, dei senza diritti, degli esclusi, dei profughi… Lui sceglie di condividere la loro condizione, perché in Lui è la Trinità intera che si schiera, che prende partito.
Tradotta con un linguaggio moderno, questa è “la scelta preferenziale per i poveri”, riscoperta dalla Chiesa latinoamericana nel post Concilio ed ora fatta propria dalla Chiesa universale. Ciò significa che la Salvezza, il Regno di Dio, che Gesù ci offre nel suo Vangelo, è un progetto di vita costruito e pensato a partire dai poveri, dagli oppressi, dagli esclusi della storia. Lui ha scelto liberamente e chiaramente di guardare la realtà dal loro punto di vista e mettersi dalla loro parte, per costruire un mondo più giusto e fraterno; per far crescere il suo Regno in mezzo a noi.
Per capirlo, condividerlo e realizzarlo occorre diventare poveri come c’insegna il Vangelo. Quindi anche le famiglie, che si dicono cristiane, per essere realmente tali come la Sacra Famiglia, devono avere questo sguardo perennemente rivolto a chi è più povero ed emarginato nella realtà in cui vivono. Devono coltivare quel grande sentimento che è la com-passione, la con-divisione, la solidarietà con chi è ultimo ed escluso, per condividere con loro il grande viaggio della Vita.
Pe. Marco