Per questa prima Domenica di Quaresima del Rito Ambrosiano vorrei soffermarmi soprattutto sulla Prima lettura, che, essendo stata introdotta dalla recente riforma liturgica, non è certamente un testo molto noto. Eppure, a me pare, che questo testo, riletto attentamente, al di là del genere letterario tipico della scuola profetica, contenga delle indicazioni fondamentali per la nostra fede attuale e per le eventuali nostre intenzioni di conversione. In realtà, ciò che vorrei fare è più una parafrasi, che una vera e propria speculazione sul testo.
L’inizio del brano, pur essendo un testo del Trito Isaia, mantiene lo sfondo teologico del Primo Isaia, il binomio “Santo d’Israele”, dove “Santo” rimanda alla trascendenza del Mistero divino; mentre la specificazione “d’Israele” rimanda al dispiegarsi della sua azione nella storia, attraverso la vita d’Israele; ovvero la Sua immanenza. Nel nostro caso “l’Alto e l’Eccelso” non opera più solo e semplicemente nella storia d’Israele, ma ormai, dopo secoli di storia e d’infedeltà con questo popolo, ha dovuto “schierarsi”; infatti Adonai ci dice: “Io sono con gli oppressi e con gli umili”; ovvero, definitivamente, se vogliamo guardare la realtà con gli occhi del Signore, dobbiamo metterci dalla parte degli umili e degli oppressi. Come ci dirà Gesù, abbiamo bisogno di sentire con-passione, con-patire, sentire le stesse gioie e gli stessi dolori, che sentono gli ultimi e gli oppressi.
Eh già, ma chi sono gli ultimi e gli oppressi di oggi? Purtroppo, dopo aver assistito in Brasile per anni al cinismo di politicanti di tutte le chiese, che costruiscono la loro avventura politica sulle tragedie dei poveri; ebbene, dopo tanta perversità, mi ritrovo qui, nella nostra Lombardia benestante, attorniato da tanto benessere, nonostante la lunga crisi, circondato da una lamentazione rabbiosa, contro una “Roma ladrona”, che ci opprimerebbe e ci succhierebbe fino all’ultima goccia di sangue. Con l’esito tragico, ma non certo casuale, che i veri poveri, purtroppo ancora presenti tra noi, i milioni che vivono sotto la soglia di povertà, o i cittadini italiani, nati fuori dall’Italia, che non sono riconosciuti come tali; ebbene questi poveri reali, o vengono occultati dal frastuono dei falsi oppressi, o, addirittura, vengono catalogati come causa della presunta povertà dei falsi poveri. Il tutto sostenuto, indirettamente, da noi predicatori della Parola, che, invece di aiutare a smascherare impietosamente queste tragiche contraddizioni, ebbene, noi, “per non lacerare la Comunità Cristiana”, semplicemente glissiamo questi peccati, che ci attraversano. In questo modo, come ben capite, gli ultimi per davvero non vengono quasi mai messi al centro delle nostre scelte politiche ed, in parte, anche pastorali.
In questo scenario, pochi versetti biblici hanno la profondità del v. 17 nel descrivere la loro/nostra pervicacia: “Per l’iniquità della sua avarizia mi sono adirato, l’ho percosso, mi sono nascosto e sdegnato; eppure egli, voltandosi, se n’è andato per le strade del suo cuore.”. Come dire, nonostante i continui richiami, diretti ed indiretti, che il Signore ci sta facendo, circa la nostra lontananza dalla logica del Regno di Dio, nonostante ciò continuiamo a precorrere (e Lui ce li lascia percorrere) i nostri “sentieri di morte”, religiosa, culturale e sociale. A mo’ di esempio mi viene alla mente in questo momento una persona, che stimo molto e assolutamente onesta, che all’interno di uno scambio informale, ad un certo punto mi guarda sconsolata e mi dice: “Però don Marco, guardiamoci attorno. Chi posso indicare ai miei figli come modello di uomo, che ha fatto qualcosa di significativo? A parte Berlusconi, chi potrei indicar loro?”; ed è una delle tantissime persone che frequentano regolarmente le nostre Messe e le nostre Comunità. Mi chiedo: che Vangelo è stato annunciato a queste persone?
Ed ecco, che dopo qualche versetto di transizione, arriviamo all’incipit del cap. 58 con il suo appello accorato e disperato ad un tempo: “Grida a squarciagola, non avere riguardo; (altro che divisioni tra il Popolo, altro che lacerazioni della Comunità) alza la voce con il corno…”; ovvero, anche il Signore non sa più cosa fare per vincere la sordità del nostro cuore; allora non Gli rimane altra possibilità, che chiedere al Profeta di gridare. Ma che cosa deve gridare il Profeta? Esattamente la tragedia dell’uomo religioso senza Cristo; di colui, che esegue scrupolosamente tutte le pratiche religiose; persino i digiuni e le penitenze più aspre, ma non ha scelto di vivere e amare come Gesù; non ha scelto il Regno di Dio ed i suoi valori, come prospettiva di vita. Infatti da quel “Mi cercano ogni giorno…” seguono poi a catena una serie di atteggiamenti, che identificavano al tempo di Isaia le persone religiose per eccellenza. Fino a citare anche un certo atteggiamento polemico con Adonai “Perché digiunare se Tu non lo vedi? Mortificarci, se Tu non lo sai?”. Non posso non andare con la mente in questo momento alle generazioni dei miei genitori, le quali guardano, attonite e deluse, i loro figli e nipoti, avviluppati in un narcismo edonistico, che li consuma fino alle midolla. E non sapendo che pesci pigliare, gridano: “Ma dov’è il Signore? Perché non interviene a salvare questa nostra società lanciata verso all’autodistruzione?”.
Ma il Signore, allora come oggi, senza indietreggiare di un millimetro, risponde categorico con la voce del Profeta: “Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi”, per poi continuare, sempre in questo grandioso cap. 58: “Non digiunate più come fate oggi… Non è forse questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, … rimandare liberi gli oppressi… Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato? Nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire chi è nudo?”
Forse abbiamo di che lavorare in questa Quaresima…
Pe. Marco