Oggi celebriamo la Festa della Chiesa. Purtroppo il grande sviluppo dei movimenti carismatici, nati all’inizio del secolo scorso negli Stati Uniti, hanno progressivamente spostato il fuoco di questa Festa sulle presunte o reali manifestazioni straordinarie dello Spirito Santo. Oltretutto questa prospettiva nasce da un’interpretazione, perlomeno dubbia, del testo di Atti, che ci è proposto dalla liturgia odierna. In realtà, lo Spirito, con o senza manifestazioni straordinarie, sicuramente fa una cosa fondamentale: edifica la Chiesa, Corpo di Cristo vivente nella storia. È lo Spirito infatti che lega le varie membra, che siamo noi, con il Capo, Cristo Risorto, e fa sì che queste membra comunichino e si armonizzino tra di loro, per poter essere, appunto, un Corpo e non semplicemente un ammasso/una massa indefinita.
In questa prospettiva dobbiamo leggere il brano della Seconda Lettura, tratto dal cap. 12 della Lettera ai Corinti, che, senza timore di smentita, possiamo definire come il capitolo ecclesiale per eccellenza, perché, meglio di ogni altro, ci aiuta a cogliere e ad approfondire la visione tipicamente spirituale e teologica della Chiesa. Infatti, se è vero che la Chiesa, per le sue caratteristiche umane, può essere definita in vari modi, rimane il fatto che questo capitolo ed altri testi di S. Paolo ci fanno cogliere la sua natura più intima e più profonda; la sua ragion d’essere. E la sua ragion d’essere consiste nel fatto di essere la modalità, la forma, con la quale il Cristo Risorto si rende presente, qui ed ora, nella storia, fino alla fine dei tempi.
Queste belle riflessioni, cui accennavo già domenica scorsa, non le ripeto per una qualsivoglia forma “di fissa spirituale”. Tutt’altro. Mi pare invece importante ripeterle esattamente perché non mi pare sia molto presente nella coscienza del cattolico comune italiano. Conseguentemente il suddetto soggetto ecclesiale finisce per enfatizzare altri aspetti meno importanti della Chiesa, per poi cadere in macroscopiche contraddizioni. Tradotto in soldoni la Chiesa, Corpo di Cristo, rimanda inesorabilmente e categoricamente al Suo essere Chiesa dalle genti, più e prima, che Chiesa delle genti. Ma qual è la differenza di queste due definizioni, apparentemente quasi simili?
La definizione “Chiesa delle genti” sottolinea il fatto che la Chiesa, incarnandosi nelle varie realtà storico-culturali, assume delle caratteristiche tipiche del contesto in cui s’incarna (italiana, francese, slava, indiana, cinese ecc…). Ma tutte queste specificazioni, oltre ad essere un fatto secondario, sono possibili, perché la Chiesa è per natura sua specifica “dalle genti”; ovvero la Chiesa è la comunione armoniosa di tutte le diversità possibili, riconciliate in Cristo. Infatti, l’unico e comune riferimento alla vicenda di Gesù di Nazareth, operata dallo Spirito, fa sì che, non solo le singole membra (i battezzati), ma anche le più disparate culture possono vivere dinamicamente in comunione.
Ecco allora che per la Chiesa di Gesù ogni differenza è un’opportunità in più, è una risorsa in più, non un ostacolo o un limite da sopportare. Laddove dei battezzati vivono con sofferenza, o addirittura combattono qualsivoglia forma di diversità, perché vissuta come difficoltà insormontabile, o come minaccia a presunte integrità teologiche, o morali, ebbene quando prevalgono questi atteggiamenti, di certo questi sono segnali che indicano l’affievolirsi, il venir meno del riferimento a Gesù. In altre parole, quando una qualsiasi aggregazione di battezzati lascia prevalere al suo interno questo tipo di sentimenti, significa che quell’aggregazione può aver mantenuto delle apparenze ecclesiali, ma di certo non è più la Chiesa di Gesù, il Corpo del Cristo Risorto. In altre parole, la Chiesa di Gesù, o è dalle genti, o non è Chiesa.
Al di là dei fatti realmente accaduti, il testo degli Atti non accenna minimamente ad una lingua di riferimento, nella quale erano riassunte “le grandi opere di Dio”, e dalla quale sono state tradotte in tutte le altre lingue lì citate. Inesorabilmente Luca ci dice che “ciascuno li udiva parlare nella propria lingua”; in altre parole la Chiesa deve tradurre le grandi opere di Dio, la Buona Novella, in ogni cultura ed in ogni lingua, perché sia accessibile e comprensibile per ogni uomo ed ogni donna. Ma ciò significa, automaticamente, che il Vangelo non ha una lingua propria ed una sua cultura, che lo esprimano meglio di altre
Ecco allora che lasciarsi guidare dallo Spirito, come singolo discepolo, o come comunità credente, non significa innanzitutto rimarcare gli aspetti identitari, le differenze da altre confessioni o da altre culture. Una Chiesa veramente spirituale, animata dallo Spirito Santo, è quella che cerca in tutti i modi di rendere comprensibile e accessibile a tutti l’unica Parola che salva, quella di Gesù.
Il resto, ovvero la Salvezza, non è affar suo, bensì del suo Signore.
Pe. Marco