Poche settimane dopo la promulgazione dell’ultimo documento pontificio “Laudate Deum”, riguardante l’ecologia integrale, si è svolta a Dubai la Cop28. L’intento dichiarato di questi Incontri, come tutti ben sappiamo, è quello di affrontare i cambiamenti climatici causati dagli atteggiamenti predatori dell’uomo nei riguardi delle risorse naturali.
Purtroppo abbiamo ancora settori del mondo scientifico, ma soprattutto dell’opinione pubblica meno acculturata, che in vari modi, con maliziosi giochi di parole, arriva a negare questa correlazione: attività umana-catastrofi naturali. Tant’è che nello sproloquio di questi giorni, qualcuno ha osato definire un successo, il fatto che a Dubai si è perlomeno riconosciuta definitivamente questa relazione (sic).
Ecco perché è bene non fermarsi, ancora una volta, ai titoli euforici dei vari social mainstream. Lungi da me l’azzardare una pur minima analisi del Documento finale, mi soffermerò volutamente sulla tanto pubblicizzata differenza tra “transitioning away» e «phase out”. Non cogliendo la differenza tra i due concetti, riporto qui la spiegazione data dal Corriere della Sera: “Il primo termine fa riferimento a una transizione, quindi implica un movimento verso un sistema diverso (le energie rinnovabili), il secondo si traduce in «eliminazione graduale», senza indicare un nuovo traguardo”. Non so cosa ne pensiate, ma a me questo sembra solo un gioco linguistico, per poter redigere un testo approvato dalla maggioranza dei partecipanti. Resta da chiedersi fino a che punto sia bene continuare con questi consensi formali dalle scarsissime ricadute sostanziali. Forse, ai fini della mobilitazione popolare, sarebbe stato meglio redigere almeno un paio di documenti diversi tra loro.
In ogni caso, ciò che rimane invariato è l’atteggiamento di fondo; ovvero la promulgazione di ampi e complessi documenti, che non dicono nulla di vincolante riguardo a: mete, criteri di verifica, fondi riservati alla transizione, eventuali sanzioni per le trasgressioni dei termini. Se leggiamo attentamente il testo, vediamo che tutto ciò è presentato sotto forma di auspici, desiderata, benevole esortazioni.
In realtà, con le nuove aperture al nucleare e con i giochi linguistici per tollerare l’uso del metano si sta cercando di perseguire pervicacemente ciò che scientificamente è insostenibile: individuare sistemi energetici, che permettano di mantenere i consumi devastanti di quel 15% più benestante dell’umanità. Questa fetta dell’umanità non va identificata semplicisticamente con l’Occidente, o con il Nord del Pianeta. Si tratta piuttosto di quella parte del genere umano, che può permettersi un consumo di risorse superiori a quelle tollerate dalla Terra. Tanto per non fare esempi, il moderatore della Cop 28, il sultano Al Jaber, pur abitando nel cosiddetto Sud globale, consuma molto più di tanti abitanti del Nord del Mondo.
Questa banalissima considerazione mi serve per introdurre una prospettiva a mio avviso decisiva, benché totalmente ignorata dalle varie Cop. Porrei la questione in due momenti distinti, ma correlati tra loro.
La prima è una costatazione etica e sociologica. A parte S. Francesco e pochi altri come lui, la stragrande maggioranza degli uomini, se ha i soldi per farlo, tende a consumare senza troppi problemi etici. Se ciò è essenziale per tenere in piedi il capitalismo, è altrettanto decisivo per far collassare il Pianeta.
Da qui la necessità d’integrare l’attuale riflessione, prevalentemente concentrata su questioni tecniche, con elementi etici e spirituali. Si tratta di non dare più per scontata la logica, questa sì decisamente occidentale, che riconosce all’individuo il diritto illimitato di accaparrarsi beni, al di là delle sue reali necessità di vita. Finché questa prospettiva verrà diabolicamente divulgata come un diritto divino, allora ogni altro discorso sui cambiamenti climatici e sulla transizione ecologica sarà un mero flatus vocis, distrazione delle masse, o intrattenimento ideologico, che dir si voglia. Di certo però non si starà facendo nulla di significativo per affrontare il problema.
Infatti, il principio di cui sopra, che sta alla base delle nostre società, innesca inesorabilmente il principio di emulazione, secondo il quale ciascuno/a di noi guarda a chi ha di più e può consumare di più, indipendentemente dalle reali necessità vitali; ma questa è una spirale perversa e ingestibile.
Se il Pianeta ha dei limiti da tutti riconosciuti, ne consegue che anche ogni individuo ha un limite di consumi, oltre il quale non si può andare. Ne consegue che il compito primario di una buona Politica e di una buona Economia sarà quello di promuovere politiche economiche, volte a ridistribuire le risorse di chi, superando tale limite, vive al di sopra delle possibilità ammesse dal Pianeta.
Qui non si tratta di introdurre un egualitarismo collettivistico. Infatti, è giusto riconoscere anche economicamente le differenze di talenti e di responsabilità sociali; ma tutto ciò non può prescindere dalla limitatezza di tutto ciò che è umano. D’altro canto, se siamo uomini e soprattutto cristiani, non possiamo non riconoscere ed assumere il limite, la finitezza, quale caratteristica primaria di questa vita terrena.
Pena l’autodistruzione a causa della nostra illusoria onnipotenza.
Pe. Marco