Scrivo queste quattro righe nella lucida consapevolezza della loro sostanziale inutilità, nel senso che non produrranno nessun effetto immediato e verificabile. D’altro canto le leggi della Coscienza non coincidono con quelle delle scienze esatte: una testimonianza vale per la posta in gioco e non per i risultati che produce.
Questa testimonianza è l’unico contributo, che posso dare a favore di quegli uomini ammassati come animali nella baraccopoli di S. Ferdinando in provincia di Reggio Calabria. Purtroppo la mia visita, avvenuta ormai 15 giorni fa, è stata molto fugace, ma sufficiente per cogliere il livello di disumanità di una tale esperienza. Ricostruisco brevemente il contesto, perché io stesso non lo conoscevo esattamente, prima d’incontrarlo personalmente.
Questa nuova baraccopoli formalmente dovrebbe essere una tendopoli; infatti così è identificata dalla legge. Essa nacque a seguito dei fatti di Rosarno e della baraccopoli, che lì si trovava. Quella realtà, molto più grande e degradante di questa, circa una decina di anni fa vide lo scoppio di vari conflitti, interni ed esterni, che portarono alla morte di alcuni migranti. Balzata sulle prime pagine dei giornali e non essendo utile alla propaganda del regime, indusse l’allora Ministro dell’Interno ad intervenire, perché si diceva: “Questa è una condizione indegna degli umani!”. Fu così che, secondo i racconti dei residenti, il demagogo si mise alla testa delle ruspe e con sacro furore rase al suolo tutto ciò che poteva essere abbattuto.
L’iniziativa, tanto plateale quanto propagandistica, fece sì che al posto delle baracche a quei poveri vennero assegnate delle tende dismesse della Protezione Civile. Per poter vendere la solita apparente accoglienza, la gestione della tendopoli di S. Ferdinando fu affidata ad una cooperativa sociale, che controllava i flussi in entrata ed uscita e offriva il solito supporto per le varie necessità burocratico-amministrative. Due container permettevano l’utilizzo di servizi igienici e docce; un altro container garantiva la presenza della Polizia, ovvero dello Stato italiano.
Il tutto, però, situato intenzionalmente in una terra di nessuno, dove avrebbe dovuto sorgere un’area industriale. L’importante era collocarli fuori dal Comune di Rosarno, ma non troppo vicino a S. Ferdinando. Però, perché nessuno si lamentasse ed il rospo potesse essere ingoiato, a tutti venne data la residenza nella stessa via dove sorge il Comune di S. Ferdinando. Ragazzi, cosa volete più di così?!
Chi lavora con i migranti, sa quale dramma è per loro la questione della residenza. Esattamente per questo motivo almeno quattrocento persone vanno e vengono lungo l’anno da S. Ferdinando. D’altro canto non avendo possibilità d’impiego in paese, per non scatenare la solita guerra tra poveri, sono costretti a girovagare nelle piantagioni del nostro Sud, o tentano disperate sortite al Nord, sia italiano che europeo. In tal senso gli operatori della Caritas sottolineavano come, a fronte dei quattrocento sistemati a S. Ferdinando, vi siano migliaia di altri migranti, molto spesso con i documenti scaduti, disseminati nei casolari abbandonati, o nelle stalle di tutto il nostro Centro-Sud. Normalmente vivono in gruppetti fino a venti persone e svolgono quei lavori agricoli indegni per i giovani del nostro Sud.
Ripensando alla storia degli schiavi brasiliani, l’unica vera differenza che li separa, è che questi non vengono normalmente frustati, o messi alla gogna, come avveniva a quelli. Per il resto, tutta la letteratura brasiliana su “La Casa Grande e la Senzala” potrebbe benissimo essere riscritta per questa nostra schiavitù contemporanea… Spero fortemente di fallire in questa mia profezia, ma ho la netta sensazione, che, per compensare il nostro inarrestabile calo demografico, nei prossimi anni rivedremo la versione, riveduta e corretta, del traffico schiavista dei primi secoli dell’Età Moderna.
Ritornando alla nostra tendopoli, ormai è ritornata ad essere una baraccopoli. Innanzitutto quella massa umana è stata di nuovo abbandonata a sé stessa in quella terra di nessuno; infatti dopo il COVID non è stato rinnovato l’appalto alla Cooperativa, perché ritenuto troppo oneroso per lo Stato. E così si è tornati semplicemente alla legge del più forte. Durante la visita abbiamo parlato un po’ con una vittima di un accoltellamento di due giorni prima.
Le tende, dopo anni di sole e pioggia, si sono tutte logorate, oltre ad essere inospitali nei momenti di maggior calore/freddo. Risultato: gran parte dei migranti si è fatto una baracca attaccata alla tenda, perché più accogliente della stessa…
In questo contesto di degrado e abbandono, che grida vendetta al cospetto di Dio, è veramente scioccante vedere come i migranti abbiano aperto una breccia nella recinzione, per poter accedere al terreno adiacente e coltivare un orto rigoglioso.
Così come impressiona vedere l’unica donna presente nel campo, la quale gestisce un piccolo negozietto interno ed alleva un centinaio di galline, alimento base di quella massa di oppressi.
Infine, non meno impressionante, è vedere, dentro questo inferno, una grande baracca con tanto di tappeti sul pavimento: è la loro moschea! Quando siamo arrivati, un gruppo di uomini stava lavando e spazzolando quei tappeti.
Ancora una volta ho capito, che solo la Fede può dare la forza per affrontare tale e tanta sofferenza e continuare a credere nella Vita…
Pe. Marco