Eccoci, dunque, ad un “nuovo giro di boa”, un Anno Liturgico se ne è andato; per me certamente un anno drammatico, ma non certo per colpa di S. Matteo. Speriamo che il mio Patrono mi aiuti, durante questo nuovo anno che inizia, a ritrovare la direzione nella mia vita e nella mia missione…
Come sempre, all’inizio dell’Avvento, la liturgia, prendendo spunto dal tema generale della Venuta, dal primo Avvento di Gesù, vuole ricordarci e farci riflettere sul fatto che ci sarà una seconda e definitiva venuta di Lui, quella che, impropriamente, chiamiamo “fine del mondo”. Questo linguaggio umano, troppo umano: “fine del mondo”, rivela, dopo duemila anni di cristianesimo, il permanente substrato pagano del nostro pensare. Infatti, così come la Vita Eterna non comincia dopo la morte, allo stesso modo il mondo, dopo essere stato creato, non avrà una fine, bensì una trasformazione.
Certamente non saranno mai sufficienti i richiami e le sottolineature dei profondi legami tra questo “attimo terreno” e l’eternità; essi ci porterebbero a rivedere molte nostre scelte e molti atteggiamenti.
Tutte e tre le letture, ciascuna a suo modo, vogliono farci riflettere su di un aspetto di questa questione fondamentale. Mentre Paolo nella seconda lettura approfondisce la correlazione esistente tra la Risurrezione di Gesù e la nostra Risurrezione, Isaia, a suo modo, anticipa qualche tematica, poi ripresa da Gesù nel Vangelo. Infatti, immaginando l’intervento del Signore, per ripristinare la Giustizia violata, Isaia prefigura grandi turbamenti, che, d’altro canto, non devono spaventare il credente, il discepolo del Signore, perché “Avverrà che in quel giorno il Signore punirà / in alto l’esercito di lassù / e in terra i re della terra”. E ancora “Arrossirà la luna, / impallidirà il sole, / perché il Signore degli eserciti regna / sul monte Sion e a Gerusalemme, / e davanti ai suoi anziani risplende la sua gloria”.
Sempre un po’ su questa falsariga, ma sottolineandone altri aspetti, si muove il discorso escatologico di Gesù. Innanzitutto, vale qui la pena notare che questa versione marciana del “Discorso escatologico” di Gesù è la più antica e, non a caso, la più fedele alle “ipsissima verba Iesu”, come dicono gli esegeti. Ovvero, Marco non indugia, come Matteo e Luca, “sui cataclismi ed i terremoti”, per soffermarsi invece sulla “dimensione antropologica”. Infatti, pur accennando “alla luna ed al sole che si oscureranno”, Marco articola tutto il suo discorso dentro questi due richiami fondamentali “Badate che nessuno v’inganni! Molti verranno nel mio nome, dicendo: “Sono io”, e trarranno molti in inganno” e “Allora, se qualcuno vi dirà: “Ecco, il Cristo è qui; ecco, è là”, voi non credeteci”, fino al perentorio v 32, non incluso nel testo proclamato dalla liturgia “Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo, né il Figlio, eccetto il Padre”.
Se i cristiani, di tutti i tempi e di tutte le latitudini, avessero tenuto ben presenti questi pochi versetti, quante diatribe ed eresie inutili avremmo evitato.
Anche a questo riguardo non penso sia inutile ricordare come, ancora, la gente comune, ad ogni terremoto o ad ogni tragedia, si chieda “se non sta arrivando la fine del mondo”.
Ovvero la tentazione di sempre è quella “dell’uomo naturale, dell’uomo senza Cristo”, come diceva Lutero, che dovendo salvare la sua vita, cerca di riconoscere ed anticipare tutti i pericoli, che la possano minacciare. Gesù, in una prospettiva ancora una volta profetica rispetto al suo tempo, sottolinea lo scarto definitivo, l’impossibilità radicale di dedurre o riconoscere la fine del tempo, dalla storia, a partire dalla stessa storia. La vita e la storia non ci diranno mai quando e come sarà la fine di questo tempo terreno, perché quel momento appartiene solamente al Padre.
Per altri versi, invece, Gesù è molto preoccupato con le nostre reazioni di fronte alle varie situazioni di sconvolgimento sociale, di ingiustizie, di persecuzioni, che, essendo erroneamente legate con la “fine del mondo”, ci possono distrarre in modo preoccupante dalla nostra partecipazione alla costruzione del Regno di Dio. Infatti, proprio perché si pensa che questi eventi drammatici segnalano l’imminente arrivo della fine, la tendenza è di reagire con il famoso adagio “si salvi chi può”; ovvero se la fine è ritenuta ormai prossima, perché preoccuparsi ancora con la quotidianità della nostra vita e con il discernimento tra il Regno di Dio e il Mondo? Perché preoccuparsi ancora sul come “stare nel mondo, senza essere del mondo”, se lo stesso è ormai giunto al suo termine? Ma esattamente questi equivoci sono il terreno fertile per tutti i potenti e per tutte le ingiustizie, perché, mentre “quelli che si dicono di Cristo” si proiettano anzitempo fuori dalla storia, la vita e le sue dispute vengono facilmente consegnate ai potenti e agli oppressori di turno.
Chiaramente, a questo punto, ci sarebbe da riflettere su come, un po’ a tutte le latitudini, assistiamo ad una dicotomia molto profonda, tra una minoranza della popolazione iper-scettica e razionalista e le grandi masse perennemente alla ricerca di madonne ed eventi prodigiosi, che spuntano come i funghi in autunno.
Da questo punto di vista il Vangelo di Gesù è ancora la Buona (e Sana) Novella tutta da scoprire.
Pe. Marco