Le letture di questa domenica affrontano un tema piuttosto complesso, non tanto dal punto di vista concettuale, bensì dal punto di vista della nostra sostanziale ignoranza biblica. In ogni caso l’argomento in questione è il passaggio dall’ Antica alla Nuova Alleanza, realizzatosi nella vicenda di Gesù di Nazareth.
In modo grossolano e riassuntivo possiamo dire che l’Antica, narrata dal testo preso dal libro dell’Esodo, era basata su di una serie di norme e di rituali, che fungevano da memoriale della liberazione dalla schiavitù egiziana e dovevano orientare il popolo, per poter vivere nella nuova condizione di esseri liberi. Anche se il testo di Ebrei, in polemica con il giudaismo, tende a rimarcare la separazione tra l’Antica e la Nuova Alleanza, in realtà, ad uno sguardo più distaccato, non può non apparire la relazione e la continuità tra le due. In altre parole, già le norme e le leggi dell’Antica Alleanza anticipano e preparano l’avvento del Regno di Dio, che si realizzerà solo con la venuta di Gesù.
“E questa è l’alleanza che io stipulerò con la casa d’Israele dopo quei giorni, dice il Signore: porrò le mie leggi nella loro mente e le imprimerò nei loro cuori; sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Né alcuno avrà più da istruire il suo concittadino, né alcuno il proprio fratello, dicendo: “Conosci il Signore!”.
Questi versetti, forse troppo occultati dal clero lungo la Storia della Chiesa, ci dicono in che cosa consiste propriamente la Nuova Alleanza tra JHWH e il suo Popolo. Purtroppo noi associamo normalmente questo termine “Nuova Alleanza” alle parole pronunciate da Gesù nell’Ultima Cena. In realtà, il suo gesto, radicale e definitivo, non la esaurisce, perché propriamente questa Nuova Alleanza si realizza tra JHWH ed il suo Popolo, ovvero si compie quando ciascuno di noi decide di aderirvi e di portarne le conseguenze.
Detto ciò, penso sia balzato agli occhi di tutti un dettaglio molto sottaciuto nella storia della Chiesa. Infatti, i versetti di Ebrei dicono inequivocabilmente che la Legge del Signore verrà posta nel cuore di ciascun credente, grazie all’azione dello Spirito del Padre. Certamente, come dirà S. Giovanni, la Parola, esterna a noi, ci aiuterà a distinguere nel nostro cuore la Legge del Signore, rispetto al caos delle altre leggi e degli altri desideri. Ma la questione veramente rivoluzionaria è che “Nessuno avrà più da istruire il suo fratello”.
Senza volerci imbarcare nel complesso discorso del dialogo interreligioso, possiamo però affermare con forza questo primato del rapporto, diretto e personale, tra ogni discepolo e la SS. Trinità, in modo che ciascuno di noi, in accordo con i talenti ricevuti, se lo vuole sinceramente, è in condizione di poter riconoscere la volontà di Dio nella sua vita, per metterla in pratica dentro le concrete vicende della Storia.
Forse qualcuno potrà leggere sbigottito ed incredulo queste parole, ritenendole troppo radicali ed estremiste. Forse a qualcuno verrà spontanea la domanda: “Ed il clero dove va’ a finire in questa prospettiva? Qual è la sua funzione nella Chiesa?”. Personalmente girerei invece la domanda dicendo: “Ma il clero, fino agli eccessi del clericalismo, da dove è uscito? Come si giustifica?”.
In realtà, come ci dice bene “Lumen Gentium”, se il sacerdozio ministeriale recupera il suo senso, originario e genuino, ha ancora un ruolo fondamentale nella vita della Chiesa. Questo ruolo è quello di essere a servizio del sacerdozio universale di tutti gli altri discepoli. In altre parole, il clero ha senso se interpreta il suo ruolo non come intermediario tra la Trinità e la massa dei discepoli. Infatti questa mediazione non serve, né tantomeno è autorizzata dal Signore. Invece il sacerdozio ministeriale dovrebbe intendere il suo ruolo come facilitatore della relazione suddetta tra il discepolo ed il suo Signore; per esempio aiutando il Popolo di Dio nel leggere e meditare la Parola di Dio, oppure nel porsi come coscienza critica dentro la Comunità cristiana, perché questa possa confrontarsi perennemente con il dettato evangelico. In altre parole, il clero può esistere nella Chiesa solo nella forma radicale del servizio alla fede dei fratelli. In questo senso il ministero sacerdotale può e deve suscitare la responsabilità di ogni battezzato, ma mai imporsi nella forma del comando, o della superiorità spirituale, o teologica.
Che questa liturgia della Parola ci aiuti a riscoprire questi fondamentali della nostra fede, per poterci disporre all’azione evangelizzatrice sognata da Papa Francesco. Infatti anche per i laici è giunta l’ora di lasciar cadere i pretesti e le pigrizie spirituali, per rispondere e corrispondere al dono dello Spirito, che è in loro.
Pe. Marcos