La sigla MATOPIBA è un acronimo formato dalle sigle, che identificano quattro Stati del Nordest brasiliano: MA (Maranhão), TO (Tocantins), PI (Piauì), BA (Bahia). Perché questi quattro? Perché sono quelli più direttamente interessati con l’ennesimo grande progetto del Governo brasiliano, che, al di là della solita retorica ideologica del neoliberismo, ha come unica finalità “liberare” nuove terre per permettere un’ulteriore espansione della frontiera agricola. In teoria, quando si parla di frontiera agricola, si dovrebbe pensare a terre disponibili per l’agricoltura familiare, per produrre reddito e alimenti.
In realtà il Decreto Presidenziale n. 8447 05/2015, firmato ancora dall’allora Presidente Dilma Rousseff, prevede la liberazione di circa 73 milioni di ettari di terra per il mercato mondiale delle terre coltivabili. Certamente questi territori, in un modo o nell’altro, produrranno alimenti, ma, come ha denunciato lucidamente Papa Francesco nella “Laudato sí”, la produzione alimentare, a partire dalle reali necessità della gente, non è l’obbiettivo principale di questo progetto, come dell’intero agrobusiness mondiale. Di fatto, in questo, come in altri grandi progetti, il vero obbiettivo è quello che sempre: la produzione illimitata di profitti, sempre e a qualsiasi prezzo; in questo caso attraverso la mercantilizzazione delle terre.
momento di festa tra i partecipanti all’incontro
Purtroppo, questi progetti portano in sé il meglio della logica macchiavellica, perché vengono presentati nella loro finalità ultima, la produzione di alimenti, ma, non ci si preoccupa o si nascondono accuratamente, i mezzi attraverso i quali vengono prodotti questi alimenti. Infatti, se così non fosse, non si capisce perché questo progetto prevede come primo passo la “pulizia” di queste terre da tutti gli “ostacoli umani”. Cosa sono questi “ostacoli umani”? Questo è il primo e più grande problema. Queste terre non sono desertiche o degradate, come il capitale vuole far credere. Queste terre sono abitate e coltivate soprattutto dai cosiddetti “posseiros”, ovvero quelle migliaia di piccoli agricoltori, normalmente discendenti dai primi abitanti bianchi di queste territori. I loro padri si installarono in queste regioni, normalmente fuggendo dalla siccità del Nordest, ma mai si preoccuparono di registrare e regolarizzare le loro proprietà. Ora che le loro terre sono diventate appetibili, questi “posseiros” vengono espulsi con metodi a dir poco mafiosi: o vengono minacciati, armi in pugno, da intermediari senza scrupoli, o le loro terre cambiano improvvisamente di proprietà, attraverso il metodo denominato “grilagem”, che consiste nell’alterazione/creazione di documenti catastali.
Due altre tipologie di terre, contemplate in questo progetto, sono le terre “quilombola” e le riserve indigene mai regolarizzate. Le prime provengono dal tempo in cui fu proclamata la libertà degli schiavi, nel 1888. Quando fu promulgata “la Legge d’oro”, i neri fuggirono dalle fazendas e crearono villaggi autonomi, con l’uso comune delle terre, secondo la tradizionale cultura africana. Purtroppo, la maggior parte di queste terre, assieme a molte aree di antica tradizione indigena, non sono mai state registrate, nonostante la Costituzione Federale brasiliana del 1988 prevedeva cinque anni per regolarizzare tutti questi territori. Attualmente in Brasile, i movimenti degli afro-discendenti e dei popoli indigeni stanno sostenendo grandi battaglie, giuridiche e culturali, per evitare che tutte queste terre siano inglobate nel grande mercato mondiale delle terre fertili.
Un’altra grande questione, che non viene divulgata, quando vengono elaborati questi progetti, è l’impatto ambientale della produzione agro-industriale. Nel caso del MATOPIBA il bioma più colpito sarebbe il “cerrado”, che è un tipo di vegetazione simile alla savana ed è tipica delle regioni semiaride tropicali. Questo bioma è molto ben adattato a questo tipo di clima, tanto è che nel “cerrado” brasiliano nascono sette tra i più importanti fiumi, che attraversano il Centro-Nord del Brasile. Devastando questo bioma con le grandi monoculture, tipiche dell’agrobusiness, gli effetti per le popolazioni locali e per l’intero Pianeta sono devastanti. Io stesso, nei pochi anni passati qui in Brasile, soprattutto negli ultimi sei, sette anni, posso testimoniare della profonda alterazione del clima, dei livelli dei fiumi e di questo ecosistema in genere.
In questo modo, queste regioni, diventano progressivamente sempre più inabitabili e invivibili, per gli strati più poveri e più semplici della popolazione, che vivono in simbiosi con la natura. Al tempo stesso le grandi piantagioni richiedono investimenti sempre più alti e innaturali, per poter produrre in un ambiente sempre più arido e ostile.