In questa domenica, che ci ricorda l’ingresso di Gesù in Gerusalemme ed, al contempo, segna il nostro ingresso nella “Settimana autentica”, come la chiama la Liturgia ambrosiana; ovvero la Settimana vera, paradigmatica per la nostra fede; ebbene, in questo contesto, penso sia fondamentale soffermarci sul senso ed il significato di questa scelta, libera e drammatica di Gesù di entrare in Gerusalemme con tratti decisamente messianici. E vorrei approfondire questa questione ponendo subito la domanda radicale: Gesù poteva non fare ciò? Però anche di fronte a questa domanda, mentre la scrivo, mi accorgo che la risposta può essere profondamente distorta da una visione secolare, che ha quasi snaturato il senso evangelico della Croce. Infatti, un lettura molto pericolosa, immagina la vita di Gesù già tutta “pianificata” da un progetto del Padre, che facendolo passare per una seria di prove e sofferenze, ha fatto espiare a Lui le pene per i nostri peccati. In questo modo noi, liberati da tali conseguenze, veniamo salvati, possiamo andare in Paradiso. Unico prezzo che dovremmo pagare sarebbe il fare qualche devozione, per testimoniare la nostra riconoscenza a Lui, e qualche “opera buona” ai bisognosi, visto ciò che Lui ha fatto per noi. In questa visione, allora, la Croce era l’ultima pena/prova, la più tragica che doveva sopportare, ma anche quella decisiva.
Purtroppo questa visione, ancora oggi dominante, anzi alimentata da innumerevoli forme di spiritualità post-moderna, distorce radicalmente la missione di Gesù, centrandola masochisticamente sulla dimensione del dolore e delle sofferenza; inoltre crea una separazione incolmabile tra l’opera salvifica di Gesù e la nostra vita quotidiana; in pratica sarebbero due realtà parallele e indipendenti.
In realtà, per chi ha una minima conoscenza dei Vangeli, sa che il cuore, il centro della missione di Gesù è qualcosa di straordinariamente positivo e propositivo: la dedizione per rivelare e donare il Regno di Dio/la Vita Eterna all’umanità. Questa è la missione che Gesù ha ricevuto dal Padre e ad essa si è dedicato, anima e corpo. Ma in questo progetto, che, ripeto, è qualcosa di radicalmente positivo, vitale, felice, Gesù non poteva non denunciare, contemporaneamente, tutti quegli atteggiamenti, quei comportamenti, quelle tradizioni, religiose e civili, che di fatto impediscono il realizzarsi, il consolidarsi del Regno di Dio. Se avesse rinunciato a questa seconda parte della Sua missione, più critica, più spiacevole, più conflittuale, di fatto sarebbe venuto meno al mandato ricevuto dal Padre; perché, come spesso facciamo noi predicatori, la Buona Novella si sarebbe ridotta ad un insieme di valori generici, senza molta attinenza con le contraddizioni della vita reale. Invece Gesù, pur potendo, in ogni istante della sua vita, “dribblare” abilmente le situazioni e le posizioni più conflittuali, in realtà fece sempre esattamente il contrario; ovvero, fece emergere, fino in fondo, tutti gli elementi e le conseguenze implicate nei suoi ed altrui comportamenti. Come aveva profetizzato del neonato Gesù il buon vecchio Simeone: “”Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima”.
Di fatto, leggendo attentamente i Vangeli, al di là delle prime, superficiali emozioni, scopriamo una serie molteplici di annotazioni, dalle quali emergono rabbie, gelosie, invidie, perfino complotti, per mettere a tacere questa figura affascinante, ma profondamente scomoda, inquietante. Come hanno già annotato innumerevoli autori, questi passaggi violenti, in realtà, sono tutti “pezzi della Croce”, che Gesù viene montando lungo la Sua vita. La Croce di Gesù, quella fisica, confitta sul Calvario, non può essere intesa per quello che è, se non la vediamo nel suo “montarsi” lungo la vita di Gesù.
Ma a questo punto a me preme far notare, che questa è la dinamica, è la caratteristica peculiare del “venire”, del realizzarsi del Regno di Dio su questa Terra; dove la sofferenza ed il dolore morali non sono “il prezzo da pagare” nel pacchetto “all-inclusive”, per guadagnare il Paradiso. Esattamente il contrario. Accede, entra nella Vita Eterna, a cominciare da ora, da subito, qui su questa Terra, chi crede, si fida totalmente, del programma di vita di Gesù e cerca di incarnarlo nella sua propria vita, personale e sociale. Ed è così, che io, ciascuno di noi, nella misura in cui cerchiamo e vogliamo vivere la Vita Eterna, ci scontreremo, inesorabilmente, con tutte le “strutture” di morte e di peccato, presenti nel nostro cuore e nel cuore dei nostri fratelli e delle nostre sorelle. È da questo scontro mortale, titanico, che nascono la Croce di Gesù e la nostra. Proprio perché Gesù ci rivela e ci dona la Vita Eterna fin d’ora, qui su questa Terra, proprio per questo motivo Lui deve rivelare e smontare tutto ciò che è contrario e rende impossibile questa esperienza, dentro i limiti della vita terrena.
Ecco allora che l’entrare o meno di Gesù in Gerusalemme non significa che Lui era incerto, pauroso, se andare o meno “a farsi crocifiggere”, su quella Croce, che il Padre gli aveva già preparato là sul Golgota. Il dubbio di Gesù, che si renderà tangibile al Getsemani, riguarda il fatto se sia il caso di essere coerente fino in fondo con la logica del Regno; se non fosse possibile fare qualche sconto, qualche accordo, per non scontrarsi frontalmente con le logiche egoistiche e di potere, che regolano i nostri rapporti umani. In ultima analisi, era proprio “necessario” compiere questo gesto semplice, ma altamente simbolico, di entrare come Messia in Gerusalemme? E perché proprio alla vigilia della Pasqua ebraica? Perché, ancora una volta, “provocare i capi”, di ieri e di oggi, per affermare, che Lui solo è il Signore e nessun altro? Non aveva forse Gesù altri mille modi, per continuare la sua attività messianica? Una certa “moderazione” ed un certo compromesso non gli avrebbero permesso di continuare la Sua missione più a lungo, dando magari la possibilità a più gente di capirlo e di seguirlo? E, chissà, magari non l’avrebbero neanche fatto fuori in quel modo?!
Ma è esattamente qui, in questi dettagli, in queste sfumature, quasi impercettibili, eppur decisivi, che sta tutta la differenza tra Gesù ed i suoi discepoli, da un lato, ed i suoi ammiratori dall’altro. Purtroppo, a me pare, che dopo duemila anni di cristianesimo, il nostro dramma più grande è il fatto che la Buona Novella venga esibita ed usata da una moltitudine di ammiratori, che, in modo del tutto soggettivo, ne esaltano aspetti parziali, o marginali, autodefinendosi: discepoli, battezzati, cattolici ecc… In questo modo il Vangelo è diventato “un coperchio adatto per tutte le pentole”, purché sia politicamente (ecclesiasticamente?) corretto; forse la droga più potente tra quelle finora inventate dall’umanità. Non solo, ma le poche persone che credono ancora che sia Vita Eterna e lo prendono sul serio, ovvero cercano di vivere come Gesù, senza troppi se, o troppi ma, ebbene costoro vengono accusati di radicalismo, quando va bene; altrimenti le classificazioni possono variare, a seconda dei casi, dal caratteriale, allo scontroso, dall’esagerato, fino all’onore della pazzia… Esattamente come Gesù: “Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: “È fuori di sé” Mc 3,21.
E noi, da che parte vogliamo stare?
don Marco