A causa di una scelta assolutamente discutibile la Diocesi di Milano celebra questo fine settimana la Giornata Missionaria. Anche questo piccolo dettaglio, ovvero la prevalenza della Dedicazione della Cattedrale sulla Giornata Missionaria, dice tutta la nostra resistenza come Chiesa nel recuperare la dimensione missionaria della nostra fede, così come auspicato daPapa Francesco…
Detto ciò, potendo scrivere fiumi di parole su questo tema, mi limiterò a raccontare un fatterello capitatomi ieri sera nell’unico momento “comunitario” della parrocchia di Corenno Plinio dove risiedo.
Dovete sapere che in questa realtà, che solo l’anacronismo ecclesiastico continua a denominare come parrocchia, ebbene qui, oltre l’unica Messa settimanale della domenica sera, si realizza settimanalmente un torneo dell’immancabile “burraco”. Ogni quindici giorni il gioco è preceduto da una bella cena in amicizia. Essendo stato invitato alla cena a base di risotto coi funghi, come spesso succede la loquacità femminile mi ha coinvolto in un confronto serrato sui soliti temi “caldi” della nostra vita ecclesiale: i matrimoni sfarzosi e insignificanti di Varenna, il celibato dei preti, la pedofilia, il divorzio e la nullità dei matrimoni.
Io non conoscevo quasi nessuno dei partecipanti, ma, pur nella varietà dell’umanità presente, certamente quel gruppo rappresentava molto bene il cattolico medio, o il cattolico qualunque. Ovvero erano tutti in qualche modo legati ad una pratica sacramentale ed avevano qualche nozione della loro vita parrocchiale. D’altro canto quasi tutti, in quel contesto, guardavano e giudicavano la Chiesa come qualcosa che stava di fronte a loro, quindi qualcosa che non li identificava e che, nel bene e nel male, dipendeva dagli umori e dalle sensibilità del clero.
Ma il momento per me più significativo ed inquietante è stato quando il discorso si è bloccato sulla questione dei matrimoni nulli e delle pratiche per la dichiarazione di nullità. Nonostante gli sforzi da me fatti per spiegare la sostanziale differenza tra divorzio civile e dichiarazione di nullità, penso che la grande maggioranza dei presenti abbia sì apprezzato la mia disponibilità, ma non abbia capito molto in che cosa consista la differenza. Infatti ciò di cui nessuno aveva sentito parlare erano le condizionanti, che fanno sussistere o meno un Sacramento, nel caso quello del Matrimonio. Eppure mi sembra d’aver capito che la grande maggioranza di loro si sia sposata in Chiesa, come si suol dire.
Eppure, in questo scenario a mio avviso devastante, con totale disinvoltura noi continuiamo a celebrare matrimoni-show, come quello realizzato da due cattolici indonesiani venuti appositamente nella Parrocchia di Bellano, con l’immancabile sfarzoso pranzo in una delle ville sul lago. Oppure, come raccontava una signora presente, qualche mio collega che si è messo a fare la filippica durante un matrimonio, perché i due sposi sul loro libretto nuziale hanno scritto regolarmente prima il nome del marito e poi quello della moglie. Infatti secondo quel personaggio si sarebbe dovuto fare… il contrario.
Chiedo venia alle anime nobili, che, leggendo queste poche e povere righe, le troveranno non attinenti al contesto in cui si trovano. Eppure questi e molti altri esempi simili ci obbligano a porci una domanda, che, invece, purtroppo, viene continuamente sospesa, o rimandata: ma alla fine cosa significa evangelizzare?
In che cosa consiste essenzialmente l’evangelizzazione? E ancora, noi, queste nostre terre, questa nostra Diocesi dobbiamo essere ri-evangelizzati o no? O anche noi, in fondo, in fondo, pensiamo come quella santa Ministra dell’Eucaristia, che ha sentito il bisogno di fermarmi per comunicarmi il suo disagio di fronte a qualche mia predica, che metteva a nudo, troppo a nudo, la distanza tra la preoccupazione missionaria del Vangelo e gran parte della nostra religiosità devozionale e cultuale? Altro che il devozionalismo lusitano del Brasile! Almeno là se ne poteva parlare liberamente ed i leader s’impegnavano tenacemente per superarlo.
Detto ciò mi preme subito dire che io non ho in tasca la soluzione magica di queste enormi problematiche, come molto spesso, provocatoriamente, mi viene richiesta. Poche sono le certezze che mi guidano in questa riflessione. Certamente, però, il metterle in pratica cambierebbe la nostra relazione con le problematiche stesse.
Il primo drastico passaggio dovrebbe articolarsi in due momenti complementari tra loro: innanzitutto la disponibilità emotivo-spirituale a sospendere, mettere tra parentesi l’insieme delle attività e delle tradizioni ereditate, non perché le giudichiamo negativamente, bensì perché non più efficaci per annunciare il Vangelo. Contemporaneamente a ciò concentrare le poche o tante forze, che abbiamo a disposizione, nel cercare d’individuare comunitariamente quali sono gli ambiti e le realtà frequentati, abitati dagli uomini e dalle donne del nostro tempo. In un secondo momento provare a interpretare queste realtà alla luce del Vangelo e chiederci: come possiamo entrare in queste realtà? Come possiamo far risuonare la Parola in questi ambienti? Come possiamo farci compagni di viaggio dei nostri fratelli laddove loro vivono e soffrono quotidianamente?
Ovviamente, dentro questo processo complessivo, tutto ciò che della nostra tradizione religiosa può servire per l’annuncio deve essere recuperato e salvaguardato. Ripeto, solo se e nella misura in cui serve per annunciare oggi il Vangelo. Per non lasciarsi travolgere dal macigno del tradizionalismo, che, rotolando, può schiacciarci inesorabilmente.
pe. Marco