A margine di Is 63,19b-64,10; Eb 9,1-12; Gv 6,24-35
Non potendo rinvenire una linea di sviluppo nelle scelte liturgiche di questo Tempo dell’Anno liturgico, lasciamoci liberamente condurre dai testi oggi proposti; testi, a dire il vero straordinari, quanto poco approfonditi a livello popolare, per formare una coscienza liturgica autenticamente cristiana. Sono sempre più convinto che, prima o poi, qualche Papa dovrà prendersi, l’onere e l’onore, di rileggere la “Sacrosanctum Concilium” in una tensione dialettica con la Lettera agli Ebrei, che fu la sua fonte ispiratrice.
In ogni caso, venendo al nostro testo della Seconda Lettura, l’autore ha magistralmente racchiuso in pochi versetti la rivoluzione apportata da Gesù di Nazareth, a quello che è il centro propulsore di qualsiasi fenomeno religioso, ovvero la sua dimensione cultuale. Pur essendo incomprensibile il perché sono stati tagliati i vv. 13-14, qui ci è narrato molto sinteticamente il senso e il contenuto di questa rivoluzione. Infatti fino al v. 10 l’autore ci mostra come l’ebraismo, pur con tutta la sua specificità, non riesce a superare la struttura sacrificale, tipica di ogni religione.
Dove per struttura sacrificale dobbiamo intendere la posizione dell’essere umano di fronte al divino, percepito, ad un tempo, come onnipotente e sconosciuto. Ecco allora la funzione dei sacrifici cultuali: offrire a Dio il meglio che possiedo, perché Dio sia benevolo con me, mi guardi con favore e, nel caso, attenda alle mie necessità e alle mie preghiere.
Dunque la Divinità, ad un tempo vicina, ma sconosciuta, deve essere calmata, o conquistata a mio favore, attraverso la rinuncia sacrificale di qualcosa, o addirittura di qualcuno che mi è caro.
Vale qui ricordare, che il famosissimo testo di Genesi, relativo al sacrificio di Isacco, segna il superamento ebraico del sacrificio dei figli primogeniti, tipico dell’area semitica.
Ebbene, l’autore di Ebrei vede in questa struttura sacrificale un’anticipazione ed una figura del “sacrificio” autentico e definitivo, realizzato da Gesù.
Ma subito è necessario specificare in che cosa consiste il “sacrificio” di Gesù, visto il carattere ambivalente di questo termine italiano.
Per capire il senso evangelico del “sacrificio” di Gesù, dobbiamo riandare all’origine latina del termine, composto dalle due radici sacer e facere, letteralmente: rendere sacro, trasformare in sacro qualcosa che non lo è.
E qui sta il punto!
Per Gesù non si tratta più di “rendere sacro” qualcosa presa dal nostro mondo profano e consegnarlo al divino.
Per Gesù è fondamentale “sacrificare”, ovvero rendere sacra, santa, la sua propria libertà, o coscienza, o persona, che dir si voglia, consegnandola radicalmente al progetto del Padre, che è il Regno di Dio.
O, se volete, è nella consegna radicale e permanente della nostra libertà a questo Progetto del Padre, che si compie e si realizza il processo di “sacralizzazione”, di santificazione della nostra libertà e della nostra vita.
Ebbene, questa è la Liturgia Cristiana!
Come ben capite questa azione sacrificale, che il Concilio chiamerà di “sacrificio spirituale”, non si compie tanto, né soprattutto, dentro le Chiese, bensì nella Vita nel suo insieme.
Mi permetto a questo punto di sottolineare il profondo legame, che esiste tra la Seconda Lettura ed il Vangelo.
Innanzitutto, a questo punto possiamo vedere nella prospettiva corretta la perentoria risposta di Gesù: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato”. Infatti questa “opera” del credere in Gesù, definitivamente, non deve essere intesa come mero atto teorico, o intellettuale, di assenso a Lui ed al Suo insegnamento.
Qui il credere deve essere intenso nel denso significato semitico del termine, ovvero come adesione esistenziale e totalizzante ad una persona, Gesù di Nazareth, del quale si decide di condividere il pensiero e la vita.
Allora il credere è il processo totalizzante, che coinvolge tutta la nostra vita, in tutti i suoi aspetti, perché, seguendo Lui, possiamo anche noi “rendere sacra, sacrificare” la nostra esistenza come obbedienza al progetto del Padre.
In questo senso andrebbero fatte ulteriori precisazioni, impossibili in questo ambito, circa il carattere eucaristico di questo cap. 6 di Giovanni. A questo riguardo sarebbe meglio commentarlo rimanendo aderenti al linguaggio usato da Gesù, che parla costantemente di Sé e non di Eucaristia…
In ogni caso, anche per non inquietare qualche lettore frettoloso e superficiale, qual è il significato cristiano dell’Eucaristia e della Liturgia?
Certamente, molto più proficua, che queste mie parole, lo sarebbe la lettura di qualche riflessione di Odo Casel sul significato memoriale della Celebrazione Liturgica. Ovvero, il centro della Liturgia cristiana non è semplicemente l’Eucaristia intesa come “qualcosa di sacro, che ci santifica semplicemente per contatto fisico”. In questo senso, sarebbero illuminanti alcune acutissime riflessioni di Mons. Giuseppe Colombo, sul pericolo di tanto culto eucaristico, vissuto quasi esclusivamente come devozione e rispetto a questa “cosa sacra”, che per ciò stesso può santificarmi, per il semplice rispetto, devozione, che io posso aver per Lei.
Ovvero un culto eucaristico, che non sgorghi e non rimandi continuamente alla prassi liberatrice di Gesù di Nazareth, corre costantemente il rischio di ricadere nell’idolatria pagana.
Invece, giustamente, tutto il Movimento Liturgico del ‘900 ha riportato al centro della Liturgia la Celebrazione Liturgica. A questo riguardo è fondamentale notare come Gesù abbia collocato la Celebrazione Eucaristica all’interno di una celebrazione a-tipica dell’Antico Testamento: il Memoriale della Pasqua.
Pur non potendo approfondire il tema del “memoriale biblico”, possiamo allora dire che il Memoriale Eucaristico ci permette di “ripetere” oggi il gesto definitivo, col quale Gesù ha ribadito la sua consegna al progetto del Padre; ma questa ripetizione non può assolutamente esser intesa come mera ripetizione fattuale, materiale, per non perdere il ricordo di un evento passato. Esattamente al contrario, il Memoriale Biblico/Eucaristico ripete quel gesto nella certezza che la presenza viva di Gesù Risorto lo faccia interagire, oggi, con i suoi nuovi discepoli. Ovvero, noi discepoli di oggi “celebrando/facendo” il Memoriale della vita di Gesù di Nazareth, per la forza dello Spirito, possiamo entrare nel Suo stesso dinamismo per “sacrificare, rendere sacra” la nostra vita, facendo continuamente la volontà del Padre, che è trasformare il Mondo nel Suo Regno, il Regno di Dio appunto.
Mi chiedo se l’inflazione di Messe, che ancora esiste nella Chiesa Cattolica e, ancor più, il nostro modo di celebrare, dopo secoli di rubricismo, riesca a suscitare questa relazione virtuosa tra la dedizione di Gesù al Regno di Dio e la nostra vita, che ne dovrebbe semplicemente seguire le orme.
don Marco