A margine di Is 11,10-16; 1Tm 1,12-17; Lc 9,18-22
Non potendo rinvenire una chiave di lettura, che leghi i tre testi, che oggi ci sono offerti, mi sembra opportuno dedicare questa riflessione alla pericope di Paolo della seconda Lettura. Questo brano, dai tratti decisamente autobiografici, è Parola di Dio esattamente perché, il percorso fatto da Paolo per giungere alla fede, caratterizzato dai toni drammatici, che ben conosciamo, in realtà, porta in sé la struttura propria della fede cristiana. Ovvero, pur partendo da presupposti, o situazioni diverse, qualsiasi uomo o qualsiasi donna può dirsi cristiano/a, quando arriva a vivere questa esperienza fondamentale: percepire la profondità e l’ampiezza del suo essere peccatore, nel momento in cui si sente perdonato/a, amato/a dal Padre di Gesù.
Solo, chi fa questa esperienza e vive costantemente alla luce di questa consapevolezza, potrà capire il resto della proposta di Gesù e incarnarla, poco a poco, nella sua vita.
Chiaramente questa Verità è fatto centrale per la fede cristiana; ma i pericoli, ad esso connessi, hanno addirittura indotto Papa Francesco ad indire un Anno Santo, perché la Chiesa si riappropri di questa Verità.
Ed il primo, grande, pericolo è confondere la realtà di questa esperienza, con il pensiero e la riflessione ad essa connessi; ovvero il confondere l’esperienza del nostro essere peccatori, con il pensare al peccato in generale ed all’umanità fatta di uomini peccatori, noi compresi.
In realtà, l’esperienza di Paolo è vissuta ad un altro livello, certamente facilitata dal fatto che lui stava perseguitando fisicamente i cristiani ed il loro Vangelo. A questo livello potrebbe addirittura insinuarsi un’altra grande tentazione, già evidenziata da Paolo: “Che diremo dunque? Continuiamo a restare nel peccato perché abbondi la grazia?” Rm 6,1; ovvero questa forma surrettizia di giustificare le nostre fragilità, pensando che in qualche modo serva favorire, o lasciar spazio al peccato, per meglio comprendere la forza della Misericordia divina.
In realtà questa, come tutte le altre forme di confondere il rapporto peccato/Misericordia, con dei pensieri o teoremi costruiti su di essa, sono barriere, che ci impediscono di vivere l’esperienza del peccatore perdonato.
Come sempre, l’esperienza della vita di fede è molto più semplice delle contorte riflessioni, che, molto spesso, la nostra cultura occidentale costruisce su di essa. Non è un caso che questa nostra cultura occidentale, che ha elaborato le più alte e sofisticate riflessioni sulla fede, sia poi quella che fa più fatica a credere, ad affidarsi al Signore della Vita.
Ritornando al nostra Paolo, vediamo allora che lui vive, innanzitutto, vive intensamente e in modo appassionato, sempre, anche quando sbaglia. Questo passaggio di solito viene saltato, o ridotto sensibilmente, quando si parla di S. Paolo; eppure anche gli anni antecedenti la conversione sono fondamentali. Paolo “non vive a metà”, né fa della vita un mix, una media, tra bene e male, tra giustizia e peccato: lui si mette in gioco fino in fondo, in ciò che vede e pensa essere il bene e la volontà del Signore sulla sua vita. Ma è proprio in questa dedizione totalizzante, che farà esperienza del suo peccato e dell’Amore di Gesù ad un tempo. Ed esattamente per non essere una sua iniziativa, una sua riflessione, questa esperienza di peccatore perdonato, non genera in Paolo pessimismo e depressione, come di solito avviene quando si parla di questi temi; bensì una forza inaudita di voler testimoniare a tutto il mondo il valore straordinario di questa esperienza. Se vogliamo questo è anche il fondamento della testimonianza cristiana.
L’esperienza di Paolo ci insegna, dunque, che questa esperienza di essere peccatori perdonati dal Padre, non può essere costruita a tavolino, o in qualche intenso Ritiro spirituale. Essendo un’esperienza esistenziale, può nascere e maturare semplicemente dal vivere la Vita. Forse ciò che può accrescere o diminuire l’intensità di questa esperienza è l’intensità e la serietà con cui viviamo la vita, che ci è stata data.
Spetta a Lui raggiungerci con la Sua Misericordia, laddove siamo più fragili e peccatori. Ancora una volta questa “espropriazione da noi stessi”, questo non essere signori e padroni di questo percorso, è una delle maggiori sfide al nostro “sogno onnipotente”, tipicamente occidentale; ma, ancora una volta, Paolo ci ricorda “quando sono debole, è allora che sono forte”.
Per concludere è bene ricordarci che, la prova del nove se stiamo vivendo come peccatori perdonati, sono l’amore spassionato per ogni Giustizia e la Misericordia con la quale trattiamo i nostri fratelli. Che è ben altra cosa della tolleranza moderna…
d. Marco