All’inizio di questa riflessione, necessariamente rivolta a questo tema scottante del Sacramento del Matrimonio, vorrei dichiarare subito le mie “precomprensioni” e, conseguentemente, le mie preoccupazioni. Intenzionalmente, io non perderò tempo in idilliache meditazioni sulla bellezza e l’armonia del matrimonio cristiano, ripetendo meccanicamente versetti della Parola. Salvo poi constatare, impotenti, il fracasso di molti, troppi matrimoni celebrati secondo il rito sacramentale.
Cercherò, invece, senza alcuna pretesa esaustività, di addentrarmi nella contraddizione teste citata; e lo farò raccontando un aneddoto capitatomi recentemente.
Essendo stato invitato a proporre una riflessione ad un gruppo di genitori, che si stavano preparando per la Prima Comunione e la Cresima dei loro figli, scelsi come testo di riferimento la versione più estesa del brano di Efesini, propostoci per questa domenica. All’atto della distribuzione del foglio contenente il testo, prima ancora di iniziarne la lettura, una mia amica, proveniente da un percorso ecclesiale significativo, richiamò subito la mia ed altrui attenzione, irritata per la scelta di questo brano di S. Paolo, a suo dire illeggibile al giorno d’oggi, per le famose espressioni: “Le mogli siano sottomesse ai loro mariti… il marito è capo della moglie”. Certamente potremmo dilungarci nel sottolineare il carattere emotivo di questa reazione, oppure potrei raccontarvi come ho cercato di sdrammatizzare la situazione, evidenziando che l’esempio più problematico è quello che interessa gli uomini…
Invece, a me preme qui sottolineare la sostanziale ignoranza di questo brano da parte del cristiano medio, causa vera ed esclusiva del dibattito suddetto. E quando dico ignoranza non intendo nel senso del non aver mai ascoltato questo brano. Anzi, esattamente il contrario. Il brano è “arcistraconosciuto”, pur non avendone colto il senso e, soprattutto, la portata teologica per i discepoli di Gesù. Eppure, dopo le parole di Gesù sul matrimonio, certamente questo testo di S. Paolo è quello decisivo per dire lo specifico cristiano circa il matrimonio.
Quando dico “specifico cristiano”, non intendo assolutamente dire qualcosa che la fede cristiana aggiungerebbe, o sovrapporrebbe al dato umano fondamentale, comune a tutti gli uomini ed a tutte le donne di questa Terra. Lo “specifico cristiano” in questo caso, come per molte altre questioni, significa qualcosa che è già iscritto nel cuore umano, nella natura umana, ma che “l’umanità senza Cristo” fa fatica a cogliere e soprattutto, a vivere. Ma, nel nostro caso, in che cosa consisterebbe questo “specificità”?
Consiste nel fatto che la relazione matrimoniale, ovvero l’amore tra un uomo ed una donna (non ogni tipo di relazione amorosa…), se vissuta ad un certo livello, può essere segno/sacramento (immagine, specchio…) dell’amore tra Cristo e la Chiesa, Cristo e l’Umanità. Le caratteristiche di questo amore tra Cristo e la Chiesa, al di là degli innumerevoli dettagli, sono essenzialmente tre: l’unicità, l’indissolubilità e la fecondità. Non mi dilungo, per ragioni di spazio/tempo, nella spiegazione di queste caratteristiche, che, d’altro canto, penso siano in qualche modo note.
Lo “specifico cristiano” e, dunque, ciò che fonda e alimenta il carattere sacramentale (l’essere segno…) del matrimonio tra un uomo ed una donna è la scelta, intenzionale e dichiarata, di vivere la propria relazione unicamente ispirati da quelle tre caratteristiche.
A questo livello della questione mi pare che, normalmente, subentri un grande malinteso.
Siccome ogni relazione amorosa tra uomo e donna può essere vissuta secondo le caratteristiche citate, ciò non significa, automaticamente, che quelle caratteristiche vengano e, soprattutto, debbano essere vissute in ogni relazione amorosa. Purtroppo, a mio parere, non si tematizza, non si mette sufficientemente a fuoco il carattere libero, intenzionale di questo tipo di matrimonio. In altre parole, nessuno può e tanto meno, deve essere indotto ad abbracciare questa scelta di vita, attraverso dei corti circuiti; né tanto meno si può pensare che la celebrazione del rito religioso realizzi, sic et simpliciter, la possibilità di vivere l’amore matrimoniale in questa forma.
In generale, con il grave pericolo di essere generico, penso che il matrimonio cristiano debba essere pensato solo in una prospettiva vocazionale, profondamente radicata in un cammino comunitario ecclesiale (ma cos’è la Comunità Cristiana?). Ciò significa, per esempio, che molti possono vivere sotto altri aspetti la loro fede cristiana, ma non accedere a questa vocazione del Sacramento del Matrimonio.
Prima di concludere, vorrei accennare a due appendici di questa tematica.
La prima è che, in questo momento storico, per liberare il Sacramento del Matrimonio da indebite pressioni ed interferenze, penso sia bene ricordare che, lo scegliere di vivere il proprio amore allo stesso modo dell’amore Cristo/Chiesa è una possibilità data alle coppie, in vista di una vita più profonda ed autentica. Ma ciò non significa che solo da questa scelta di vita passi la Salvezza eterna. Grazie a Dio, le Sue vie di Salvezza sono infinite.
Altrimenti che ne sarebbe delle moltitudini, già morte e che moriranno, senza aver vissuto il loro amore “come Cristo ama la Chiesa”?
Così come, seconda appendice, dovremo, prima o poi, dirci con chiarezza e senza riserve che, se una coppia, non essendo più segno/sacramento dell’amore tra Cristo e la Chiesa e non potendo ricevere i Sacramenti dell’Eucaristia e della Penitenza, non per questo è meno cristiana di qualunque altro battezzato/a.
Normalmente la vita cristiana è alimentata e sostenuta dalla pratica sacramentale, ma, ancora una volta, non dipende esclusivamente da essa.
Probabilmente, dopo secoli, forse millenni, di impero della Legge, dovremmo umilmente ristudiare S. Paolo, per riscoprire la centralità della Fede e della Libertà nella vita cristiana.
Pe. Marco