Anche il Battista, come noi, non sa esattamente quando e come il Messia verrà. Però lui lo desidera; per questo motivo lo attende. Non solo: fa di quell’attesa la ragione della sua vita. E allora mette in gioco anche le condizioni normali del vivere quotidiano.
Dopo aver meditato, come mio solito, le letture della domenica all’inizio della settimana, mi sono ritrovato a cogliere dei nessi interessanti, tra il Vangelo di questa domenica e i brani del profeta Ezechiele, proposti nelle Messe feriali. Per questo motivo proverò a condividere con voi queste relazioni interessanti.
Avendo poco spazio a disposizione, partirò da alcuni versetti di Ezechiele al limite del sarcastico Ez 3,4-7: “Figlio dell’uomo, va’, recati dagli Israeliti e riferisci loro le mie parole, poiché io non ti mando a un popolo dal linguaggio astruso e di lingua barbara, ma agli Israeliti: non a grandi popoli dal linguaggio astruso e di lingua barbara, dei quali tu non comprendi le parole: se a loro ti avessi inviato, ti avrebbero ascoltato; ma gli Israeliti non vogliono ascoltar te, perché non vogliono ascoltar me: tutti gli Israeliti sono di dura cervice e di cuore ostinato”.
Queste frasi, che il profeta ripete più volte in questi primi capitoli, acquistano maggior rilievo, se teniamo conto del contesto, nel quale le ha pronunciate: durante l’esilio di Israele a Babilonia. Ovvero, nonostante questa condizione estrema e disperata, il profeta non desiste dal dire al popolo la Verità riguardo le cause di questo esilio. Addirittura, nel versetto di cui sopra sembra dire: tutti capiscono, anche chi non ne avrebbe la capacità, tranne voi, il popolo eletto. Il motivo di tale incomprensione è uno solo: qui non si tratta di capire, bensì di fidarsi della mia Parola ed ubbidire ad essa; ma se manca questa umiltà, ogni altro tentativo per liberarvi è vano.
Ebbene, su questa falsariga penso vada letto il brano del Vangelo, che verrà proclamato domenica prossima: Mt 3,1-12.
Innanzitutto, per coglierne tutta la densità, occorre superare quella riduzione, che vorrebbe limitare il Battista al ruolo “dell’urlatore”, che annuncia il magico arrivo del Messia. Infatti, di lui generalmente si sottolinea il rimando al Messia, che è Gesù.
Certamente questo aspetto è vero; ma non deve oscurare, o relativizzare, l’altro aspetto altrettanto importante: il suo modo di attendere il Messia. Eh sì; il suo attendere, il suo essere totalmente proteso, il fare della sua vita un’attesa di Colui, che tutti aspettavano, ebbene questo atteggiamento radicale e totalizzante ad un tempo è, a mio avviso, l’aspetto forse più interessante del Battista. Certamente è la dimensione che lo avvicina di più a noi e lo sottrae ad una visione molto mitica (portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico…).
La condizioni estreme in cui lui scegliere di vivere, per accogliere Colui che doveva venire, pur senza sapere né come, né quando, sarebbe arrivato, ebbene questa attitudine fa grande il Battista. Probabilmente molti di voi con me avranno pensato all’opera, ma soprattutto alla vita, di Simone Weil, la donna che ha fatto della sua vita un’Attenzione, un’Attesa, pur senza essere mai giunta alla Fede in Gesù.
Tornando al Battista, le sue condizioni di vita estreme non sono da assimilare a certo masochismo penitenziale, che tanto male ha fatto alla spiritualità cattolica. Anzi, tutt’altro. Questo radicalismo, che non è da copiare nelle scelte concrete, è certamente da assumere nelle sue motivazioni fondamentali, se vogliamo anche oggi incontrare il Signore Gesù.
Anche il Battista, come noi, non sa esattamente quando e come il Messia verrà. Però lui lo desidera; per questo motivo lo attende. Non solo: fa di quell’attesa la ragione della sua vita. E allora mette in gioco anche le condizioni normali del vivere quotidiano.
Ebbene, anche noi oggi in questo ennesimo Natale, se realmente desideriamo incontrare Gesù, dobbiamo mettere in discussione il tram-tram della nostra quotidianità. Non perché questo abbia chissà che di sbagliato, o peccaminoso; no! Semplicemente e radicalmente perché desideriamo incontrare Gesù più profondamente. Non spetta a noi sapere, se e come ci verrà incontro. Però spetta a noi metterci in gioco per attenderlo.
Sta di fatto che, se non mettiamo in discussione la concretezza della nostra vita con i suoi ritmi e le sue priorità, questo è il segno inequivocabile, che per noi il Natale è essenzialmente un evento un po’ più emozionante degli altri, ma non il re-incontrarsi con Gesù di Nazareth; né più né meno, come quei farisei e quei sadducei accorsi per conoscere l’idolo del momento, ma ben lungi dall’immaginare una messa in discussione della propria vita.
Anche loro, come noi forse, erano già a posto con Dio…
Pe. Marco