Tutti noi abbiamo vissuto questa settimana la Giornata dedicata alla lotta contro il femminicidio, ovvero contro la violenza sulle donne. Questa piaga è certamente una delle più terribili che affliggono l’umanità. La mia sensazione è che il fenomeno sia in aumento, perlomeno in Occidente, anche perché, l’emanciparsi del mondo femminile, sta disarticolando i rapporti di forza tra i due sessi e la violenza fisica è come l’ultima spiaggia rimasta ad un maschilismo mai morto. Paradossalmente laddove la donna è meno libera, muore di meno, essendo totalmente soggiogata a livello socio culturale; ma ovviamente questa non può essere la soluzione del problema. Per la vastità e l’universalità del fenomeno mi astengo intenzionalmente dal fare considerazioni di carattere generale. Vorrei invece offrire qualche spunto, a partire dal mio punto di vista estremamente limitato, che è quello di un uomo occidentale.
Come ci ha ben mostrato Gadamer, aver coscienza del proprio punto di vista sulla realtà e delle precomprensioni annesse, è fondamentale per procedere nella ricerca della Verità.
Fatte queste premesse, tenuto conto della libertà conquistata in Occidente nel trattare questa problematica, confesso di provare un certo fastidio dal modo in cui è trattata questa piaga. Ed il fastidio nasce dal fatto che tutto il linguaggio e la riflessione correlata sono strutturati sullo schema: violenza dell’uomo sulla donna. Sì, ma la violenza della donna sull’uomo non esiste? E perché non se ne parla? Confesso che qualche volta ho cercato di sollevare questo problema, ma i risultati sono stati normalmente deludenti. Infatti, anche interlocutrici estremamente duttili ed aperte alla riflessione sono finite nella trappola, secondo la quale parlare della violenza tra i sessi, anziché della sola violenza contro le donne, sarebbe come un attenuare la gravità della seconda, fino a volerne trovare qualche giustificazione.
Orbene, l’uccisione di una donna, come di qualsiasi essere umano, non è mai giustificabile. D’altro canto insistere linguisticamente su questa terminologia, ha come risultato: 1) Che esiste solo la violenza del maschile sul femminile; 2) Io sono un uomo e come me molti milioni, che non ci sentiamo contemplati in questa definizione, perché non abbiamo mai esercitato tale violenza. Pertanto questa definizione è perlomeno fallace, perché, senza volerlo, induce a pensare che l’uomo in quanto tale è violento, mentre la donna in quanto tale è sempre vittima. Orbene, senza impegnarmi in una dissertazione filosofica, penso sia evidente a tutti che questo concetto è palesemente errato e, pertanto, ingiusto.
Ecco allora che forse si rende necessario un ripensamento radicale di questo linguaggio e del pensiero ad esso soggiacente; pena il non far progredire la soluzione del problema.
Ma come si è potuti arrivare a tollerare idee così palesemente false?
Innanzitutto, perché è evidente a tutti che, in termini di violenza fisica, la stragrande maggioranza dei carnefici sono uomini, mentre le vittime sono prevalentemente donne.
E qui, penso, emerga un limite, che abbiamo costatando anche nel primo lockdown, ovvero la concentrazione unica ed esclusiva sulla morte biologica, dimenticando che la Vita va ben oltre il livello fisico-biologico.
Anche nel caso della violenza sessuale, penso si debba parlare di violenza in tutti i suoi aspetti e non solo di violenza fisica. Per esempio, poco o nulla si dice della condizione di migliaia di uomini, finiti sul lastrico o quasi, a seguito di separazioni palesemente ingiuste e smisuratamente favorevoli nei riguardi della donna.
E qui non vorrei assolutamente mettermi a fare i calcoli con il bilancino, per quantificare quando perde di più una parte e quando guadagna di più l’altra. In realtà, queste fugaci annotazioni critiche vogliono essere un richiamo a ripensare l’intera questione da una prospettiva diversa. La mia sensazione è che questo cliché ha dato molta visibilità mediatica al fenomeno, con scarsissimi risultati in termini di relazione uomo-donna. Anzi, a me pare che nel maschio occidentale si stiano sviluppando due atteggiamenti antitetici, ma entrambi pericolosi. Nella maggioranza, che non vorrebbe mai vivere una relazione violenta, sta crescendo un senso di paura, che porta ad una sostanziale sottomissione psicologica nei confronti del femminile. Nella minoranza, meno disposta a mettersi in discussione, sta crescendo il disprezzo nei riguardi del mondo femminile, con tutte le conseguenze del caso. In ogni caso è evidente che in questo modo non andiamo da nessuna parte e la tragedia dei femminicidi può solo perdurare nel tempo.
E qui credo che stia uno dei nodi cruciali dell’intera questione: la gestione della relazione uomo-donna in termini di potere.
Tenendo come orizzonte di riferimento il nostro mondo occidentale, indubbiamente noi siamo frutto di una cultura millenaria, nella quale il maschile (ovvero l’archetipo maschile e non ogni singolo maschio) si è imposto in termini autoritari sul femminile; probabilmente perché il maschio percepiva il mondo femminile troppo sfuggente e incontrollabile nella sua polivalenza psicologica.
Attualmente, dopo secoli di lotte e di sofferenze, il femminile è riuscito sostanzialmente ad ottenere il riconoscimento giuridico della pari dignità. Il che, però, ha prodotto una disarticolazione di strutture familiari e sociali secolari. Tradotto in soldoni con qualche rischio di semplificazione, ciò significa da parte di molti uomini l’incapacità di gestire un rapporto paritario e non più protetto dalla supremazia giuridica del passato.
Dall’altro lato però, molte donne occidentali tendono ad approfittare di questa parità raggiunta, per far valere le armi del loro potere, meno visibili e fisiche del maschile, ma più psicologiche e simboliche. Il che non significa, però, che siano meno pericolose e letali.
Se mi è permessa una semplice esemplificazione di quanto sto dicendo, da maschio sento che il femminile è perennemente tentato di far valere il suo potere “di vita e di morte”. Infatti, a differenza del maschile, la donna sente nascere in sé la Vita e la cultura occidentale le ha dato anche il diritto di ucciderla, addirittura senza confrontarsi con il maschio. Quindi, simbolicamente le è dato un potere apparentemente assoluto sulla Vita e sulla Morte.
Questo particolare nella nostra cultura tende a permeare tutte le relazioni tra i due archetipi, femminile e maschile. Ovvero, il femminile occidentale fa fatica a cogliere positivamente che vi sia “un altro da sé”, con il quale deve confrontarsi e scontrarsi, per poter accedere alla Verità. Invece la tendenza del femminile è di controllarlo psicologicamente in tutti gli aspetti della vita, oppure, laddove non è possibile, ridurlo allo stato di eterno bamboccione immaturo. Se per caso “l’altro” cerca di sostenere il confronto alla pari, ecco allora che diventa automaticamente il nemico antagonista.
Un altro esempio che potrebbe essere analizzato, ma non lo farò per non estendermi troppo, è quello della seduzione, che in molti casi è diventata una vera e propria “guerra di conquista”, dove tutto vale e tutto è lecito…
Capisco che questi miei ultimi accenni richiederebbero delle precisazioni molto più dettagliate. Mi sono permesso di accennarli solamente, per far intuire che la questione del potere e della violenza è ambivalente, mentre attualmente viene trattata solo quella del maschile sul femminile.
Se è vero ciò, a mio avviso, si rende necessario un ripensamento culturale dell’intera questione, mettendo in discussione radicalmente la tentazione del Potere, insita nel rapporto tra i sessi. In altre parole, la violenza fisica sulle donne potrà realmente essere combattuta, nella misura in cui ogni violenza, anche quella femminile sul maschile, potrà essere messa a tema e combattuta. Ma, come non può essere un uomo a dire ciò che fa male ad una donna, ma lo dovrà ascoltare da lei in totale libertà e disponibilità; analogamente, non potrà mai essere una donna a dire ciò che fa male ad un uomo, ma lo dovrà ascoltare con fiducia da lui, senza rinchiuderlo nell’eterna condizione di bamboccione minorato.
Per finalizzare questo abbozzo di riflessione, mi sembra inequivocabile che, essendo la violenza frutto della relazione tra i due mondi, quello maschile e quello femminile, solo nel confronto, anche dialettico, tra i due poli della relazione, si potrà vincere questa tentazione mortale.
Pe. Marco