Le letture di questa domenica sono introdotte da questa imponente visione universalistica del Terzo Isaia, il quale, profetizzando al resto d’Israele tornato dall’esilio, “vede” ciò che in quel momento sembra una pazzia: Gerusalemme, città sulla cima del monte, che risplendendo della Gloria di JHWH attira a sé tutte le genti, tutti gli uomini di buona volontà, diremmo oggi. Questi testi di carattere universalistico ci aiutano a capire meglio il senso dell’elezione, della scelta privilegiata d’Israele, da parte di JHWH. Non è una scelta arbitraria e capricciosa.
È, invece, la scelta di un popolo, piccolo e insignificante, in un momento ben particolare della sua storia: la schiavitù in Egitto.
Lì Adonai s’innamora di Israele e ne fa la sua ragione di vita, perché attraverso di lui vuole in realtà parlare, manifestarsi, a tutta l’umanità, per rivelare a tutti gli esseri umani, chi è Lui e da che parte Lui sta, dentro le trame complesse della Storia: Lui sta dalla parte dei poveri e degli oppressi, delle vittime, per riscattarli dalla condizione disumana, contraria al Suo progetto originario.
Ebbene, tutto ciò, in Gesù, ebreo della stirpe di Davide, si compie pienamente. Lui ci rivela chiaramente e inequivocabilmente, che suo Padre è anche nostro, di tutti gli uomini e di tutte le donne, senza alcun altro attributo o distinzione. Lui è Padre di tutti gli esseri umani.
Al tempo stesso Gesù di Nazareth ci rivela le condizioni di possibilità e le conseguenze del nostro essere radicalmente fratelli. Da qui deriva l’importanza e la centralità della fede in Gesù di Nazareth.
Senza voler scartare il contributo di altre esperienze religiose, che ci rivelano dei frammenti di questo progetto divino, in Gesù noi incontriamo la piena rivelazione di questo progetto del Padre. Ecco, allora, che chi ha incontrato Gesù deve necessariamente relativizzare, o abbandonare, ogni altra legge, o tradizione umana, per assumere come unico criterio di giudizio la Parola e, soprattutto, la prassi di Gesù di Nazareth.
In questo senso possiamo dire, senza tema di smentita, che la Gloria, prefigurata dal Terzo Isaia, è definitivamente il Crocifisso, che irradia dal Golgota e illumina ogni uomo, che nasce sulla Terra.
Ecco allora che il funzionario del re (nei sinottici è il figlio di un centurione romano), senza alcun prerequisito, con questa fiducia riposta in Gesù, diventa l’emblema ed il modello per ogni uomo ed ogni donna, che leggerà questo racconto. Il suo riporre la fiducia in Gesù viene proposto alla comunità di Giovanni ed a noi, perché possiamo fare la stessa cosa. Questa è la fede che salva!
E così, ancora una volta, la liturgia c’invita a riflettere ed analizzare la nostra vita, per verificare se e in che misura riponiamo la nostra fiducia in Gesù, nell’affrontare e risolvere le sfide della nostra vita. Se realmente facciamo conto su di Lui e sulla sua Parola, per districarci tra i problemi che l’esistenza ci chiama ad affrontare.
Nel nostro contesto socio-culturale, sempre più tecnologizzato e sempre più secolarizzato, siamo invitati a relegare Gesù là in Cielo, dove sappiamo che dovremo andare, prima o poi.
Ma, fin tanto che saremo qui su questa Terra, pensiamo sia inutile attendersi da Lui le risposte alle nostre molte domande. Ormai, anche noi cristiani, pensiamo che ciascuno deve cercare di cavarsela da solo come meglio può; anzi, meglio ancora se non si pone troppi scrupoli morali, perché altrimenti viene sorpassato e schiacciato dal cinismo di chi ci sta attorno. Quindi si salvi chi può e come può!
La comunità di Giovanni ci dice che non è così. Il Verbo incarnato in Gesù di Nazareth ci dice esattamente il contrario. Lui non è venuto a dirci che lassù in cielo c’è un dio sperduto tra le galassie e che, quindi, possiamo rimanere vagamente speranzosi nei suoi riguardi. Non è così. Anzi è esattamente il contrario.
Quel Mistero, che chiamiamo Dio, è molto più vicino ed interessato alle nostre quotidiane inquietudini, di quanto possiamo immaginarci. Il segreto della vita è saper approfittare della sua presenza liberatrice.
Pe. Marco