Carissimi amici è per me una grande gioia poter corrispondere a questa proposta di riflettere su questa intuizione, bellissima e rivoluzionaria, di Papa Francesco: “La realtà può essere veramente conosciuta, se guardata dalle periferie e non dal “centro”. In realtà questa prospettiva sociologica e teologica non è tipica di Papa Francesco. Infatti la Teologia della Liberazione, da circa quarant’anni, viene sostenendo questa necessità. Detto ciò, la sua portata diventa rivoluzionaria, quando il Papa la assume e la propone come dottrina ufficiale per tutta la Chiesa Cattolica. Già a partire da queste prime battute mi chiedo, quanto questa nuova prospettiva sta rivoluzionando il nostro modo di essere Chiesa; e lo dico intenzionalmente ad un pubblico che risiede in Italia. Ovvero, durante la mia recente permanenza in Diocesi, pur tra tante contraddizione della Chiesa ufficiale, perlomeno da parte del Popolo di Dio ho visto molto entusiasmo e desiderio nel seguire le proposte di Papa Francesco. Però, forse, si rimane ancora molto nell’ammirazione entusiasta per i suoi gesti simbolici; manca una riflessione ed una assimilazione più attenta e profonda di questa ed altre intuizioni, che ci obbligano a ritornare al Vangelo “sine glossa”.
Entrando più nel merito della questione, vorrei far notare che, il titolo di questo articolo, preso in prestito da una frase del Papa, dice molto di più che il semplice “andare verso le periferie”, che è l’altra intuizione papale ben più conosciuta. Certamente per guardare la realtà a partire dalle periferie, è necessario un andare, un frequentare le periferie. E questa attitudine, nel bene e nel male, la Chiesa l’ha sempre avuta, anche in quest’epoca di individualismo e consumismo sfrenato. D’altro canto, però, a ben vedere, questo atteggiamento, se si limita a portare aiuti, fare l’elemosina o impiantare grandi progetti di assistenza, è un tratto caratteristico, non solo delle istituzione ecclesiali, ma anche dei più grandi magnati della storia. Ovvero il semplice “andare verso le periferie per fare la carità” può anche essere un’attitudine umana, ma non è ancora uno stile specificamente evangelico.
Dov’è lo specifico evangelico, ovvero in che cosa consiste la differenza tra i discepoli di Gesù e il resto dell’umanità? Nell’assumere e vivere queste parole di Gesù: “Io ti benedico Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose a coloro che si ritengono sapienti e intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” Mt. 11,25; “Beati voi poveri, perché vostro è il Regno di Dio” Lc. 6,20. Certamente lo spazio ristretto di questo articolo non permette di esplicitare al meglio questi versetti. Vorrei, però, cercare di collegarli con le parole del Papa. Ovvero, i poveri, gli ultimi, gli esclusi, i marginalizzati o come li vogliate chiamare, per Gesù non possono essere solo “oggetto” della nostra carità. Essi sono ben più che questo. I poveri, per usare un termine sintetico e onnicomprensivo, possono “soggetti” portatori di una sapienza e di una visione della realtà, che stando nei “centri”, del potere, dell’economia e della società in genere, non si può avere.
In questo senso, i concetti di “centro” e “periferia” hanno anche dei connotati geografici; ovvero i centri di potere e decisionali normalmente sono concentrati in certe aree del pianeta, piuttosto che in certe parti delle nostre città. D’altro canto occorre stare molto attenti a non ridurre tutta questa problematica ad una mera questione geografica. I concetti di “centro” e “periferia” sono molto più complessi e articolati e coinvolgono vari fattori, non semplicemente quelli geografici ed economici. Solo per fare degli esempi, quando durante la quarta Teologia aiutavo la domenica a fare l’Oratorio nella parrocchia di San Babila a Milano, i nostri ragazzi erano prevalentemente i figli dei portinai filippini o extracomunitari in genere; ed eravamo in un dei “centri” del pianeta. Al contrario, invece, se qualcuno ricorda una delle prime lettere, che scrissi da Dom Pedro, dopo pochi mesi di lavoro missionario, una delle cose, che più mi sorpresero, fu il constatare che le assemblee delle Messe domenicali nella Chiesa Matrice erano composte prevalentemente da persone della classe media; a tal punto che scrivevo “pare che qui non esistano i poveri”; e mi trovavo in una parrocchia dell’interno povero, dello Stato più povero del Brasile, dove gli indici di sviluppo umano molto spesso sono molto più vicini a quelli africani, che non a quelli del sud dello stesso Brasile.
Pertanto, intenzionalmente, io non vi parlerò di esperienze di condivisione e solidarietà con gli esclusi e di come queste hanno cambiato la mia vita. In fin dei conti sarebbero solo delle notizie in più, da aggiungere al bagaglio delle vostre conoscenze. Ciò che più mi preme è invitarvi a prendere sul serio questa intuizione evangelica, che il Papa ha riportato in auge, per provare a viverla. Infatti, nella misura in cui noi cristiani guardassimo e giudicassimo la realtà a partire dalle periferie degli esclusi da questo sistema, Gesù sarà ben più visibile e tangibile da parte dell’intera umanità; ovvero l’evangelizzazione non sarà solo oggetto di prediche o grandi progetti pastorali.
Don Marco Bassani