Per la riflessione sulle letture di questa Terza Domenica dell’Avvento ambrosiano, vorrei partire dalla meraviglia di uno dei partecipanti al gruppo biblico parrocchiale, tenutosi ieri sera qui a Dervio. Questo signore, che non conoscevo prima, intervenne entusiasta per le cose da me dette, perché, diceva lui, raramente le ha sentite dire nella sua lunga frequentazione parrocchiale. Eppure non avevo detto niente di straordinario, perlomeno se stiamo rigorosamente sul Vangelo in questione. In realtà avevamo fatto un bellissimo incontro, a partire da alcuni commenti del Pe. Silvano Fausti. Ma la questione decisiva sta certamente nel metodo, nell’approccio al testo biblico, che in noi europei risente di una millenaria tradizione razionalistica e che oggi si pone come un filtro molto forte tra la nostra vita e la prassi di Gesù di Nazareth. Forse sta esattamente qui tutta la difficoltà dell’intellighenzia occidentale, clero in primis, nel comprendere la logica profonda di Papa Francesco.
Per aiutarci a capire, posso dire che, semplificando molto, la riflessione del gruppo si era sostanzialmente fermata sulla domanda del Battista rivolta a Gesù: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro? “. Da lì erano scaturiti una serie d’interventi, che, a partire dalla possibile immagine messianica del Battista, ci portavano a chiederci qual è l’immagine del Cristo e di Dio, che io ho. Sono emerse tante cose belle e profonde, ma sostanzialmente molto teoriche e, soprattutto, estranee alla risposta che diede Gesù. Infatti Lui non si è avventurato in una discussione astratta, quanto inutile, sulle idee messianiche presenti nell’Antico Testamento.
Lui ha risposto indicando una prassi, usa serie di azioni ed un modo di vivere. Ora, se noi andiamo a vedere, queste azioni e questi gesti sono ciò che identificherà, caratterizzerà la venuta del Messia. Infatti, quando i profeti prefigurano il tempo messianico, dicono che sarà caratterizzato da queste azioni liberatrici.
Ecco allora che Gesù, operando tali azioni liberatrici ed indicandole ai suoi interlocutori, sta dicendo: “Siccome vi è stato detto che il Messia avrebbe liberato Israele da queste varie forme di schiavitù ed oppressione, ecco vedete io sto facendo esattamente ciò; quindi io sono il Messia annunciato”.
Da questa constatazione, relativamente semplice, derivano un paio di conseguenze semplicissime, quanto disattese dalla nostra pastorale ordinaria.
La prima è che, se è vero che Gesù identifica la sua azione salvifica con questa prassi liberatrice, è altrettanto vero che esclude inevitabilmente altre caratteristiche, che avrebbe potuto valorizzare come Messia. Tradotto in soldoni significa che, se il Messia fa “queste cose”, è perché il Padre le fa. Di più, questa prassi, queste opzioni, questo stile di vita a servizio della Liberazione dell’uomo dal peccato e dalle sue conseguenze, sono trasparenza del Padre, rivelano chi è il Padre e cosa fa quando agisce nella storia. Ciò e nient’altro.
Allora mi pare che sia di una verità lapalissiana che questa prassi, questo modo di vivere deve essere ciò che caratterizza lo stile di vita di ogni battezzato e di ogni comunità cristiana, se vogliono essere riconosciuti come “quelli di Gesù”, quelli che seguono il Cammino di Gesù di Nazareth.
Ciò significa che, in questa babele culturale e religiosa in cui viviamo, se continuiamo a sprecare intelligenza ed energia in riflessioni belle ed inutile sui possibili volti di Dio, siamo comunque destinati all’estinzione, o alla marginalità, esattamente perché l’uomo comune non vede cosa ciò abbia a che vedere con l’agire di Gesù.
La prassi di liberazione, o le opere di misericordia, che dir si voglia, non sono un optional aggiuntivo alla fede, che ciascuno compie come meglio crede. In realtà esse sono ad un tempo la rivelazione di ciò in cui crediamo e la manifestazione del volto del Padre. Attraverso di esse noi diventiamo strumenti del Padre, per continuare la missione iniziata da Gesù.
Realmente mi pare che la nostra Chiesa occidentale abbia bisogno di una vera e propria “metànoia”, conversione, per poter essere “segno e strumento” del Regno annunciato da Gesù di Nazareth.
Pe. Marco