Mentre meditavo sul Vangelo di domenica prossima (Lc 7,36-50), mi si sono accese alcune “lampadine”, pur rimanendo un testo alquanto intrigante.
Diversamente da quanto fatto finora, ho accompagnato le due figure principali, che ruotano attorno a Gesù: il fariseo, che l’ha invitato, e la donna peccatrice, non necessariamente una prostituta, come invece vorrebbe la nostra concupiscenza…
Lo svolgersi narrativo della vicenda sembra mettere in luce una sottile dicotomia, non immediatamente percepibile. Infatti Luca ci dipinge il fariseo come un uomo formalmente corretto, addirittura ha avuto il coraggio d’invitarlo nella sua casa; in ogni caso ha riservato a Gesù tutte le attenzioni prescritte dalle tradizioni e dal costume del suo popolo. Eppure tutto ciò non sfocia neanche lontanamente in una relazione di amicizia e d’intimità con Gesù.
Viceversa, la donna, che forse ci affascina nella sua esuberanza affettiva, per manifestare la sua riconoscenza ed il suo profondo amore per Gesù, trasgredisce una serie di leggi e di convenzioni, sia culturali, che religiose. Una per tutte: il suo essere donna peccatrice, che tocca un maestro, se da un lato è l’ennesima trasgressione della legge del puro e dell’impuro, dall’altro rende impuro anche il Maestro, impedendogli di partecipare delle liturgie, fin tanto che non si fosse purificato.
Eppure Gesù, non solo tollera la trasgressività di questa donna, ma addirittura la benedice, l’accoglie come significativa e paradigmatica. Ebbene, la paradossalità, l’apparente contraddizione del comportamento di Gesù, mi pare che contrasti scandalosamente con molti secoli di storia della nostra santa Chiesa e, ahimè, con molto del nostro presente.
Per capire meglio questa mia osservazione, è necessario ritornare sulla nostra vicenda. Orbene, questa ci mostra inequivocabilmente l’inadeguatezza di qualsiasi apparto legale e normativo, rispetto al mistero dell’essere umano, che è essenzialmente libertà, fiducia e amore. Come ci ha mostrato meravigliosamente bene S. Paolo nelle lettere ai Galati ed ai Romani, la legge, qualsiasi legge, può tutt’al più indicarci dove sta il Bene, ma non è in grado di darci la forza per compierlo, per fare il Bene.
Per questo motivo Gesù rifugge radicalmente da tutte le possibili tentazioni legaliste e normative.
Di fatto non ci ha lasciato nessuna legge, o norma, se non il Comandamento d’oro, supremo, principe che dir si voglia. Pertanto la Liberazione, o Salvezza, non consiste nell’adempimento di qualsivoglia legge, o decreto, bensì nel conformare la nostra vita e le nostre scelte alla Sua vita ed alle Sue scelte. Questo percorso di Liberazione, se da un lato esige che mettiamo a fuoco i principi e le priorità, che hanno guidato la vita di Gesù, dall’altro ci lascia tutta la libertà possibile nell’incarnare tali principi nella nostra vita personale.
Eppure, nonostante il Nuovo Testamento e parte dell’Antico siano inequivocabili su questi temi, nonostante ciò la Chiesa non ha saputo difendersi dal fascino discreto della legge, che regge tutta la vita mondana. Ma in che cosa consiste questo fascino diabolico?
Consiste nell’illusione che si possa “regolare, dare una regola” alla Libertà. Ovvero, dicendole cosa deve fare e cosa non deve fare, si crea l’illusione di farle fare il Bene; ma il Bene, come anche la Vita, è più grande e non può essere racchiuso neanche nel più perfetto dei sistemi legali.
Pertanto ogni tentativo dell’uomo di regolare il Bene, anche attraverso il più perfetto dei sistemi legali, è destinato al fallimento. Anzi, più il sistema legale è ricco e complesso, più s’illude di essere l’espressione del Bene, la sua traduzione più familiare e quotidiana.
Invece, come ci mostra Gesù nel Vangelo in questione, il legalismo più sofisticato e perfetto può impedirci di fare il Bene, di fare la cosa migliore e più importante.
Se la peccatrice, come spesso facciamo noi, fosse stata pedissequamente soggetta alle Leggi del suo tempo, non avrebbe mai potuto manifestare il suo Amore a Gesù, né tantomeno percepire l’Amore di quel Maestro per lei.
E sì, perché anche Lui ha dovuto metterci la faccia, ha dovuto trasgredire quelle Leggi, per qualcosa di più grande e più profondo: la relazione, l’amicizia, l’Amore per quella donna.
Ovvero, ancora una volta e ben prima di essere stato messo in Croce, Gesù rompe questi schematismi, che creano oppressione e morte, ma tutto ciò non può che attirare su di Lui le reazioni di coloro che, dietro l’esecuzione pedissequa delle leggi e delle tradizioni, si ergevano come uomini giusti,meritevoli dell’apprezzamento popolare.
Queste rapide pennellate potrebbero dare l’idea di una prospettiva fondamentalmente anarchica e libertaria.
In realtà, ciò che mi preme sottolineare è il fatto che Gesù, se da un lato ha ben chiaro i limiti ed i pericoli connessi con le legge, soprattutto quella religiosa, dall’altro scommette radicalmente sulla Libertà umana, provocandola ed attraendola a sé, perché possa dare il meglio di sé donandosi nel servizio all’altro/a. Gesù segue questo percorso, che è certamente il più adeguato per condurci nella via del Bene, ma è anche il più rischioso, come gli recrimina il Grande Inquisitore ne “I fratelli Karamazov”.
Molto probabilmente è per la paura di fare i conti con le altezze e gli abissi della Libertà umana, che anche la Chiesa, ancora oggi, preferisce molto di più la falsa certezza delle leggi e dei decreti canonici, piuttosto che affrontare in “mare aperto” la Libertà di ogni uomo ed ogni donna.
I risultati non sono molto diversi dalla freddezza del banchetto del fariseo, rispetto al fuoco devastante di quella peccatrice.
Pe. Marco