che cosa ne abbiamo fatto della radicalità evangelica?
Dovendovi proporre qualche riflessione non proprio vacanziera, vorrei introdurmi con una precisazione riguardante il titolo. Ciò di cui tratterò non ha niente a che vedere con Pannella e i suoi seguaci, con il quale ho in comune soltanto il nome.
Invece, questa domanda mi è ricorsa più volte nel cuore, mentre meditavo sul Vangelo di questa domenica (Mt 10, 28-42); ma per coglierne la radicalità, ovvero il suo rimandarci alla radice, all’essenza del Vangelo, occorre ricostruire il contesto nel quale Matteo l’ha collocato.
Ci troviamo infatti nel capitolo missionario del Vangelo di Matteo. D’altro canto, a differenza di quanto noi pensiamo ancora attualmente, qui Gesù non tratta della mission, o vocazione, dei “suoi corpi speciali”, i missionari appunto. No, Gesù ci vuol dire cosa deve fare la Chiesa in quanto tale, tutta la chiesa, tutti i battezzati. Infatti, il capitolo comincia con la scelta dei Dodici; ma questi Dodici non sono scelti a caso. Sono Dodici perché nel loro numero simbolico rappresentano il Resto d’Israele, quel Resto che, accogliendo la rivelazione di JHWH in Gesù Cristo, darà vita al Popolo della Nuova Alleanza. Quindi i Dodici sono la Chiesa nel suo sorgere, nei suoi inizi, ma sono pur sempre la Chiesa. Né più, né meno, che come l’embrione che è l’inizio di una persona umana.
Pertanto, quanto si dice in questo capitolo missionario riguarda tutta la Chiesa e tutti i battezzati, non semplicemente dei gruppi, o dei movimenti speciali dediti alla missione. Già a questo primissimo livello mi vien da dire: che cosa ne abbiamo fatto della radicalità evangelica? Sì, perché, se il Vangelo insiste su questa semplice verità, perché noi cristiani lungo i secoli ci siamo permessi di dividerci in cristiani missionari e cristiani “normali”?
Chiamati a sé questi Dodici, con il linguaggio del tempo Gesù li manda a fare le stesse cose che fa Lui; ovvero li investe della sua azione liberatrice, perché passino tra gli uomini e con l’aiuto del Vangelo li aiutino a liberarsi da ogni forma di male e di oppressione, che impedisce la realizzazione piena della loro umanità.
Siccome la Liberazione evangelica non ha a che vedere con la magia ed i giochi di prestigio, ma con la Libertà umana e le strutture di peccato che essa genera, ecco che i discepoli di Gesù subiranno la stessa sorte di Gesù. Quindi per i discepoli, quelli veri non quelli nominali dei registri del Battesimo, è normale essere rifiutati e finire in Croce con il Maestro. Il che significa che le folle oceaniche delle processioni del passato, o le migliaia di follower di oggi, non sono di per sé indice di maggiore, o minore, fedeltà al Vangelo.
La maggiore, o minore, qualità evangelica di una persona, di una comunità, o di un movimento, dipende da quanto è capace di rimandare al confronto esistenziale con Gesù e con la sua proposta di vita. Ancora in questi giorni ci siamo sentiti ripetere, che il Regno di Dio funziona come il granello di senape e come il lievito. Per entrambi i casi non è quantità che conta, ma la qualità. Mutatis mutandis è forse giunto il momento di smetterla di piangerci addosso per le chiese vuote e il conseguente andare alla ricerca di strategie di marketing per riempirle. Forse, la persistenza della crisi ci chiede di verificare in modo radicale la qualità evangelica delle nostre comunità cristiane di oggi e di ieri…
Ed eccoci giunti al brano odierno, che può essere compreso solo nella prospettiva della radicalità della Fede. Viceversa potrebbe essere frainteso come un appello al fanatismo, o con un testo per l’addestramento di corpi speciali. Ma come dobbiamo intendere espressioni tipo: radicalità della Fede, radicalismo cristiano ecc…?
Il radicalismo cristiano ha a che vedere con la possibilità di vivere ogni dimensione della propria vita stando “davanti” a Gesù, nella disponibilità sempre cercata e ricostruita di giudicare ed agire a partire dal suo Vangelo, senza preoccuparci con le conseguenze che ciò comporta.
Data la nostra natura umana, questa postura è costantemente minacciata dalla paura, che in vari modi può portarci ad attenuare questo desiderio, o a farci ricercare adattamenti mondani del Vangelo, giustamente per non patire la stessa esclusione del Signore Gesù.
Invece, Gesù ci dice che la paura conseguente alla persecuzione può essere attraversata cristianamente solo affidandosi radicalmente al Padre, come del resto ha fatto Lui. Di nuovo, solo vivendo costantemente al cospetto del Padre non per paura, ma per scelta di Fede, si potranno vivere il Vangelo di Gesù e le conseguenze che esso comporta.
Ma questa in sintesi è la Fede cristiana. Meno di così il cristianesimo diventa una religione tra le altre, come purtroppo costatiamo quotidianamente…
Pe. Marco