In questa giornata, dedicata alla Sacra Famiglia, il titolo di questa meditazione era abbastanza scontato. D’altro canto, per chi ha un minimo di conoscenza dei Vangeli dovrebbe sorgere spontanea una domanda fondamentale: ma chi è la famiglia di Gesù? Da chi è composta? E che cosa la contraddistingue?
E sì, perché, sempre a coloro che hanno una certa frequentazione dei Vangeli, non dovrebbero risuonare estranee certe domande di Gesù: “Chi è mia madre? E chi sono i miei fratelli”; oltretutto, se ben ricordate, Lui non ha neanche la delicatezza di aggiungere il solito avverbio “veramente”, per attenuare la durezza della domanda, posta proprio davanti a Maria ed ai suoi cugini. Mi pare che queste domande, che Gesù porrà qualche anno dopo, durante il Suo ministero pubblico, ci diano le coordinate per capire come realmente Gesù affrontò la questione familiare ed, in ultima analisi, per capire in profondità il brano evangelico di questa domenica.
Al di là del solito irenismo di una certa predicazione clericale, o della Pastorale familiare più tradizionale, non v’è dubbio che questo testo ci mostra il primo “strappo”, col quale Gesù obbliga Maria e Giuseppe a correggere le loro prospettive. Infatti, nella rigida struttura patriarcale del suo tempo, benché il dodicesimo anno segnasse l’ingresso dell’adolescente nel mondo degli adulti, ciò nonostante manteneva il ragazzo in una rigida dipendenza/obbedienza dal padre; pertanto la scelta di fermarsi autonomamente nel Tempio era già qualcosa di inconcepibile. Ma la questione è ancora più grave, se teniamo conto del tipo di risposta di Gesù, che, da un lato contesta la rigida struttura familiare ebraica, dall’altro obbliga Giuseppe e Maria a rivedere questa tradizione alla luce della stessa Parola di Dio (Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?). In altre parole Gesù, pur con un gesto imprevisto e sconcertante, non rifiuta il ruolo e l’importanza di Maria e di Giuseppe, ovvero della famiglia di sangue, bensì le attribuisce il suo giusto valore. Giusto valore che per l’ebreo era molto più evidente, che non per noi oggi. Infatti per Gesù la famiglia di sangue non è la dimensione prioritaria e più importante; per Lui “Chi fa la volontà del Padre, è per Lui fratello, sorella e madre”.
Qual è allora il ruolo che deve avere la famiglia di sangue nella prospettiva indicataci da Gesù? È quel ruolo che già conosciamo, ovvero quello di generare nuove vite umane in un contesto di amore, specchio e riflesso dell’amore trinitario. Certamente questo è il ruolo ed il senso specifico e insostituibile del nucleo famigliare. Dopo di che la famiglia è chiamata ad essere il primo spazio di socialità, dove ciascuno di noi ha appreso a riconoscere “l’altro”, gli altri, come uguali a noi nella dignità, ma diversi da noi in tutto. A questo livello subentra lo specifico cristiano, rivelatoci da Gesù. Ovvero la famiglia cristiana è quella che consapevolmente, quindi non solo per necessità di convivenza sociale, educa i suoi figli a vivere questa dinamica del riconoscimento/accoglienza dell’altro uguale/diverso da me, non soltanto dentro il nucleo famigliare, bensì con tutti coloro che fanno la volontà del Padre. Il nucleo familiare, quindi, ha questa funzione pedagogica, d’iniziazione a questa altra famiglia, ben più grande e variegata…
A questo punto potrebbe darsi che qualcuno non veda molto dove stia lo specifico cristiano; mentre qualcun altro potrebbe ritenere questa definizione troppo ampia e generica. A me pare, però, che queste incertezze vengano superate, se inseriamo in questo discorso il tema della comunità dei discepoli di Gesù. Chiaramente questa tematica rimanda ad approfondimenti, che vanno ben al di là di questa semplice riflessione. In forma sintetica potremmo dire che questa è il riferimento fondamentale per Gesù. Infatti Gesù, pur riconoscendo e valorizzando l’istituto famigliare, ciò nonostante non ha predicato il Vangelo a delle famiglie (come avrebbe fatto la Chiesa moderna), non ha impostato la sua missione convocando delle famiglie “per bene”, perché lo seguissero, lo aiutassero e continuassero la Sua missione. Gesù ha chiamato persone singole, o quando qualcuno gli ha chiesto di diventare discepolo, lo ha fatto personalmente, non come famiglia.
Detto ciò, però, a coloro che lo seguono impone, in modo categorico, di riconoscersi figli dell’unico Padre e di vivere come fratelli. Anzi questa duplice tensione è per Gesù la “conditio sine qua non” per dirsi suoi discepoli. Se volete, questa è la prima obbedienza alla volontà del Padre.
Come spero di aver evidenziato in queste fugaci riflessioni, la famiglia fondamentale per Gesù è quella che nasce dall’ascolto obbediente della Parola di Dio. Ciò significa che la Comunità dei discepoli, dei credenti, non è semplicemente un ‘appendice di quella fede cristiana, che vivo soprattutto dentro la mia famiglia di sangue. In realtà la Comunità dei discepoli è l’ambiente vitale, in cui nasce la famiglia cristiana, ma, anche e soprattutto, ne è il suo compimento, la meta ultima, alla quale deve educare una famiglia fondata sul Vangelo. Alla luce di queste riflessioni, mi pare che sia evidente come la famiglia nucleare contemporanea sia molto distante da una visione evangelica della famiglia. Ma anche buona parte della Pastorale della chiesa occidentale, fondata sull’asse fondamentale della famiglia di sangue, mi sembra molto contaminata dalla cultura ambiente, in cui viviamo qui in occidente. Certamente il recuperare il ruolo ed il peso che nel Vangelo ha “la famiglia di coloro che fanno la volontà del Padre”, ridarebbe alla Chiesa quel volto più evangelico e più missionario.
Pe. Marcos