In occasione della Festa della natività di S. Giovanni Battista mi sono ritrovato a meditare distesamente il primo capitolo del libro del profeta Geremia; certamente il capitolo della Bibbia decisivo per la mia vocazione. Così come il profeta redasse questo capitolo in età ormai avanzata, anch’io ho dovuto necessariamente rileggere queste parole alla luce di questi ventinove anni di ministero, più gli altri che mi separano dal primo incontro con questo brano. Devo dire che originariamente non sono stato interpellato dal v 17, citato nel titolo di questa riflessione. Invece oggi, come già da qualche anno a questa parte, ho dovuto irresistibilmente soffermarmi su questo v 17.
Sinceramente non mi sono mai confrontato con nessuno sul senso comune di queste poche parole, né ho avuto modo di commentarle in modo particolare. Eppure sono certamente tra “le parole terribili”, che qua e là appaiono nel testo biblico. Forse è per questo loro essere semplici e inequivocabili ad un tempo, che le lasciamo normalmente da parte, le teniamo sigillate nelle pagine del testo biblico.
In ogni caso la loro comprensione, perlomeno approssimativa, necessita di una collocazione all’interno di questo cap. 1 e più in generale nell’intera vicenda esistenziale del profeta Geremia. Al riguardo mi permetto di rimandare al bellissimo testo: C. M. Martini, Una voce profetica nella città, ed. Piemme. Rileggendo l’intero cap. 1 appare evidente come per Geremia il rapporto con la Parola di JHWH va ben oltre il rapporto soggetto-oggetto, che normalmente abbiamo di fronte ad un qualsiasi testo. Anche per le caratteristiche della Parola di Dio, che è sempre proclamata ed accolta, prima di essere codificata e scritta, ebbene, per questa caratteristica fondamentale, Geremia non sa esattamente quando è avvenuto il suo incontro con la Parola.
Lui “è nato nella Parola”, nel senso che il suo venire alla luce, il suo venire al mondo, non è stato qualcosa che lui abbia deciso e determinato. Questo fatto, fin troppo ovvio per noi, è invece la Parola fondamentale che interpella il Profeta. Da qui il riferimento al seno materno.
A partire da questa semplicità e da questa ineluttabilità ad un tempo, possiamo rileggere tutta l’esistenza del Profeta, fino ai passaggi inquietanti di Ger 15,10-21; 17,14-18; 20,7-18, per citare solo i testi più emblematici. Innanzitutto va detto che sarebbe un grave errore scartare queste versetti per la terminologia usata nel descrivere i suoi nemici. Infatti, coloro che lo fanno soffrire e l’hanno perseguitato non sono i referenti principali del suo sfogo. L’interlocutore primario e pressoché esclusivo è il Signore, JHWH, che da un lato l’ha attratto e sedotto irresistibilmente con la sua Parola, ma che poi non si manifesta, non parla più, quando Geremia deve sopportare le conseguenze di quella Parola annunciata.
Ed ecco che, dopo anni di ministero profetico (ma esiste ancora il ministero profetico nella nostra Chiesa?), ebbene, forse addirittura sul finire della sua vita, il profeta arriva alla sintesi di questo versetto 1,17: “Tu, poi, cingiti i fianchi, alzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti alla loro vista, altrimenti ti farò temere davanti a loro.”. Il Profeta riceve un ordine, ovvero una parola categorica, perché ne va della Salvezza del popolo. Ma ciò che deve annunciare e testimoniare è esattamente l’infedeltà del popolo nei riguardi della Parola, causa decisiva della sua rovina.
Infatti “i regni dal settentrione”, che si abbatteranno su Israele, non sono semplicemente il frutto di trame politiche internazionali. In realtà essi sono il frutto del progressivo allontanarsi del Popolo dalla Parola di JHWH, per affidarsi ai più ovvi, ma instabili calcoli umani. Esattamente perché il Popolo non si è affidato esclusivamente alla Parola, ma ha preferito seguire le logiche mondane nel risolvere i suoi problemi, che lo stesso Popolo deve ricevere la dura sentenza di JHWH, attraverso la parola di Geremia. E Geremia trema, perché già vede le conseguenze su di sé di quella dura Parola. Come se non bastasse, ecco la seconda parte del comandamento di JHWH “non spaventarti alla loro vista, altrimenti ti farò temere davanti a loro”; in altre parole per Geremia non c’è scampo, non c’è via d’uscita.
Dobbiamo però stare attenti nel cogliere il senso profondo di queste parole. Questa paura promessa non è qualcosa che JHWH manda posteriormente come un castigo. Questa paura è parte integrante della relazione tra Geremia e JHWH: o Geremia si affida totalmente alla sua Parola, non curante delle conseguenze di questa postura, oppure qualsiasi altro atteggiamento lo ributterebbe dentro la volubilità e l’inaffidabilità delle relazioni umane. Questo oscillare del Profeta tra l’ascolto della Parola, senza però riuscire ad affidarsi radicalmente di essa, ebbene questo tentennare può solo generare in lui ansia e paura, come dentro una spirale mortale.
Mi sono dilungato su questo semplicissimo versetto, non solo perché interpella profondamente la mia vita attuale. Mi sembra invece che abbia molto da dire alla nostra vicenda ecclesiale attuale. Infatti, a parte qualche rara voce fuori dal coro, Bianchi docet, normalmente il nostro linguaggio ecclesiale, sia gerarchico che laicale, cerca di essere il più possibile accondiscendente e soft, caldo e rassicurante, volutamente lontano da ogni decisiva chiarezza. Dentro una circolarità mortale tra l’attesa emotiva del Popolo cristiano e l’inconsistenza dei pastori si genera un sentire comune nel quale la semplice chiarezza della Parola viene tacciata di moralismo, o attribuita al caratteraccio del predicatore. Così facendo si tende sempre a dar voce a quelle parti della Parola dal generico carattere consolatorio.
Esse sono certamente valide in sé, essendo parti della Parola di Dio, ma il loro uso malizioso e strumentale, per non sentire il giudizio della Parola “qui ed ora”, fa sì che tutti noi rimaniamo orfani della Parola di fronte alle tempeste della Vita. Infatti abbiamo inesorabilmente la sensazione che la Parola non abbia più niente da dire alla Vita del terzo millennio. Ma il “non parlare della Parola”, se mi è concesso questo linguaggio tautologico, non dipende dalla Parola, bensì dalle nostre manipolazioni strumentali. Se la oscuriamo, perché ci fa paura la sua asprezza liberatrice, Lui, il Signore, non ha più voce, secondo la terribile profezia di Am 8,11-12.
Anche questo passaggio della pandemia avrebbe tante cose da dirci al riguardo.
Che la testimonianza di questi due grandi profeti: Geremia ed il Battista ci aiutino a lasciarci attraversare a trasportare solo dalla Parola di Dio, nonostante i travagli ai quali ci espone.
Pe. Marco