DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Sorelle e fratelli, buongiorno. Bentrovati!
Commemoriamo un momento che ha segnato la nostra storia comune, la vostra e la mia. Ricorrono dieci anni dal primo incontro mondiale dei Movimenti Popolari. Quel giorno, a Roma, abbiamo piantato una bandiera: Tierra, techo y trabajo. Terra, tetto e lavoro sono diritti sacri. Che nessuno vi tolga questa convinzione, che nessuno vi rubi questa speranza, che nessuno spenga i sogni.
La vostra missione è trascendente. Se il popolo povero non si rassegna, il popolo si organizza, persevera nella costruzione comunitaria quotidiana e, al tempo stesso, lotta contro le strutture d’ingiustizia sociale. Prima o poi le cose cambieranno in bene. Come potete vedere, nessuna ideologia qui, nessuna. Il popolo.
Voi siete usciti dalla passività e dal pessimismo, non lasciatevi abbattere dal dolore né dalla rassegnazione. Non avete accettato di essere vittime docili, vi siete riconosciuti come soggetto, come protagonisti della Storia. Questo è, forse, il vostro contributo più bello. Non vi lasciate intimorire, andate avanti. Non fate neppure piani campati per aria. Una delle cose che mi piace è che non scrivete documenti ideologici, non passate da conferenza in conferenza, un toccasana, no?, ossia procedete passo dopo passo sulla terra ferma della concretezza, lavorate spalla a spalla, persona con persona. Non vi limitate a protestare — che è giusto protestare — ma realizzate innumerevoli opere, anche se nella più assoluta precarietà di mezzi, a volte senza alcun aiuto dello Stato e altre perseguitati. Vi accompagno nel vostro cammino, continuo a credere, come vi ho detto in Bolivia, che dall’azione comunitaria dei poveri della Terra dipende non solo il vostro futuro, ma anche quello di tutta l’umanità. Da questa azione dipende.
Sì, dai poveri dipendiamo tutti, tutti, anche i ricchi. L’ho detto all’inizio del pontificato, cito me stesso: «Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e attaccando le cause strutturali della iniquità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’iniquità è radice dei mali sociali». So che ciò dà fastidio, ma è la verità.
Un fratello mi ha detto: «Padre, lei parla molto dei poveri e poco della classe media». Può essere vero, e per questo chiedo scusa. Quando il Papa parla, parla per tutti perché la Chiesa è per tutti, ma non può sottrarsi alla centralità dei poveri nel Vangelo. E questo non è comunismo, è Vangelo puro. Non è il Papa, bensì Gesù che li pone al centro nel Vangelo. È un punto fermo della nostra fede e non si può negoziare. Se tu non lo accetti, non sei cristiano.
Un altro fratello mi ha detto: “Non sia tanto duro con i ricchi”. Gesù è stato più duro di me. Pensate a quello che dice dei ricchi: “Guai a voi ricchi!”, e poi ancora giù… “Non sia tanto duro con i ricchi”. Riconosco, chiaro, che gli imprenditori creano posti di lavoro, contribuiscono allo sviluppo economico. È giusto dirlo. L’ho detto ultimamente a Singapore, vedendo il magnifico bosco di grattacieli che testimoniano questo contributo. Tuttavia, i frutti dello sviluppo economico non vengono distribuiti bene. Questa è una realtà evidente, che se non verrà modificata, genererà pericoli sempre più grandi. Se non ci sono politiche, politiche buone, politiche razionali ed eque, che rafforzino la Giustizia Sociale, perché tutti abbiano Terra, Tetto e Lavoro, perché tutti abbiano un salario giusto e i diritti sociali adeguati, se non c’è questo, la logica dello scarto materiale e dello scarto umano si estenderà lasciando al suo passaggio violenza e desolazione. O è l’armonia della giustizia sociale o è la violenza dopo la desolazione.
Purtroppo, molto spesso sono proprio i più ricchi a opporsi alla realizzazione della giustizia sociale o all’ecologia integrale per pura avarizia. Mascherano sì questa avarizia con ideologia, ma è la vecchia e nota avarizia. Allora fanno pressione sui Governi perché sostengano cattive politiche che li favoriscano economicamente. Mia nonna ci ripeteva sempre: “State attenti, perché il diavolo entra dalle tasche”. Il diavolo entra dalle tasche, sempre. Una tangente qui, una cosa lì… e ti entra dalle tasche. Mi raccontava un imprenditore a livello internazionale — che sta facendo investimenti in Argentina per estendere la propria attività, che lavora molto bene e c’è un buon accordo — che è andato a presentare a un ministro il nuovo piano di estensione. Il ministro lo ha accolto molto bene e gli ha detto: “Me lo lasci. La chiameranno”. Il giorno dopo lo ha chiamato il segretario del ministro e gli ha detto: “Senta, può passare entro due giorni, così le consegniamo il permesso e tutto il resto”. È passato, gli ha consegnato tutte le carte, con la firma, e quando stava per alzarsi gli ha detto: “E per noi quanto?”. “E per noi quanto?” La tangente, no? Il diavolo entra dalle tasche, non dimenticatelo.
Ho saputo che alcuni degli uomini più ricchi del mondo lo riconoscono. Dicono che il sistema che ha permesso di accumulare fortune alle persone ricche — e permettetemi di aggiungere, a volte ridicole — è immorale e che deve essere modificato. Che ci devono essere più tasse per i miliardari. È giusto così. Prego perché quanti sono economicamente potenti escano dall’isolamento, rifiutino la falsa sicurezza del denaro e si aprano per condividere i beni che hanno una destinazione universale, perché tutti derivano dal Creato. Tutti i beni derivano da lì e tutti i beni hanno una destinazione universale.
È difficile che ciò accada, è difficile, ma a Dio tutto è possibile. Se questa percentuale tanto piccola di miliardari che si accaparra la maggior parte della ricchezza del pianeta avesse il coraggio di condividerla… Ma non come elemosina, no, a condividerla fraternamente, se avesse il coraggio di condividerla… che bello sarebbe per loro e che giusto sarebbe per tutti. Chiedo ai privilegiati di questo mondo di trovare il coraggio di compiere questo passo. Saranno molto più felici. E saremo ancora più fratelli.
Ma tempo fa ho anche detto che “i poveri non possono attendere”. Se i Movimenti Popolari non reclamano, se voi non alzate la voce, se voi non lottate, se voi non risvegliate le coscienze le cose saranno più difficili. Chiedo a voi, anche alle persone della classe media, che devono sacrificarsi sempre più per arrivare a fine mese, chiedo alle persone che devono pagare affitti altissimi, che non possono risparmiare, che forse lasceranno ai propri figli una situazione peggiore di quella che hanno ricevuto: credete che i più ricchi condivideranno ciò che hanno con gli altri, o continueranno ad accumulare insaziabilmente? Una domanda.
Non ho il monopolio dell’interpretazione della realtà sociale: ascolto. Non ho neppure la palla di vetro (non esiste nessuna palla di vetro magica, sono truffe). Sì vedo una cosa che mi preoccupa: che avanza un modo perverso di vedere la realtà, un modo che esalta l’accumulazione di ricchezze come se fosse una virtù. Vi dico: non è una virtù, è un vizio. Le ricchezze sono fatte per essere condivise, per creare, per fraternizzare. Accumulare non è virtuoso, non è virtuoso, distribuire sì lo è. Gesù non accumulava, anzi, moltiplicava e i suoi discepoli distribuivano. Ricordatevi che Gesù ci ha detto: «Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore». C’è come un’attrazione, direi, di “fidanzamento” tra il cuore e le ricchezze. Ma non è il fidanzamento bello con la fidanzata, è il fidanzamento con la suocera. Attenzione.
La competizione cieca per avere sempre più soldi non è una forza creativa, bensì un atteggiamento malato, un cammino verso la perdizione. È una condotta irresponsabile, immorale, irrazionale, distrugge la creazione e divide i popoli. Non smettiamo di denunciarla.
Un aneddoto della mia famiglia. Tra i cugini di mio padre, ossia i miei cugini di secondo grado, ce n’era uno molto ricco. Non aveva figli. Ma era avaro, avaro, avaro. E accumulava denaro, accumulava e accumulava. Era a tal punto avaro che i figli si prendevano cura della mamma malata un giorno per uno e dovevano darle uno yogurt la mattina e uno il pomeriggio, ma lui le dava mezzo yogurt la mattina per risparmiare quello del pomeriggio. A tal punto arrivava. È morto. Io non sono potuto andare al funerale, ma due o tre giorni dopo ho chiamato una cugina e le ho chiesto: “Com’è andata?”. “È stato tragico”, mi ha detto. “Che è successo?” — “Non riuscivano a chiudere la bara” — “Perché?” — “Perché lui voleva portare tutto con sé”. Ma ha dovuto lasciarlo, c’era poco da fare. È il destino.
Il grido degli esclusi può anche risvegliare le coscienze addormentate di tanti dirigenti politici che sono, in definitiva, quelli che devono far rispettare i diritti economici, sociali e culturali che già sono consacrati dalla Costituzione, dalle leggi, ma non vengono applicati. Diritti riconosciuti da quasi tutti i Paesi, diritti riconosciuti dalle Nazioni Unite, dalla dottrina sociale di tutte le religioni ma che molto spesso non si manifestano nella realtà socio-economica dei popoli. Siamo cristiani, preghiamo affinché Dio ci dia la saggezza e la forza per realizzare la vera giustizia sociale.
La Giustizia Sociale è un’espressione creata dalla Chiesa, è inseparabile dalla compassione. Dio ha tre attributi: vicinanza, misericordia e compassione. Se noi vogliamo fare una cosa di tipo sociale, per esempio, dobbiamo tenere conto di questi tre attributi. La Giustizia Sociale è inseparabile dalla compassione. Ne ho parlato in Indonesia. Sapete che cosa è la compassione? Sicuramente sì. Compassione significa soffrire con l’altro, condividere i suoi sentimenti. È una parola bella. Come sappiamo, infatti, la compassione non consiste nel dare l’elemosina ai fratelli e alle sorelle bisognosi, guardandoli dall’alto in basso, vedendoli dalle proprie sicurezze e privilegi. Compassione significa stare vicini gli uni agli altri. Quando io confesso, perché Dio mi ha dato la grazia di perdonare, in 53 anni di sacerdozio non ho mai negato un’assoluzione. Quando io confesso, chiedo se danno l’elemosina. A chi posso chiederlo? Alla gente adulta. Mi rispondono di sì. “E quando dai l’elemosina, guardi negli occhi la persona a cui la dai? Le tocchi la mano? O le lanci i soldi e fai così?”. Non sanno rispondere. Danno l’elemosina ma non hanno quella compassione che è carnale, che è fraterna, che è profonda.
Sia che condividiamo le stesse sofferenze, sia che ci commuoviamo per la sofferenza degli altri. La vera compassione costruisce l’unità dei popoli e la bellezza del mondo.
Le ideologie disumanizzate promuovono una cultura molto brutta, la “cultura del vincitore” che è un aspetto della “cultura dello scarto”. Alcuni chiamano ciò “meritocrazia”, altri non la nominano ma la praticano. È gente che, concentrata su certi successi mondani, si sente in diritto di disprezzare; disprezzare in modo altezzoso i “perdenti”. È paradossale che molto spesso le grandi fortune hanno poco a che vedere con il merito: sono rendite, sono eredità, sono frutto dello sfruttamento di persone e della spoliazione della natura, sono prodotto della speculazione finanziaria o dell’evasione delle tasse, derivano dalla corruzione o dalla criminalità organizzata. In generale, molte fortune si accumulano così.
Nessuno, con o senza meriti, ha il diritto di guardare l’altro dall’alto in basso, come se non valesse nulla. Questo atteggiamento altezzoso è il contrario della compassione: gongolarsi nella propria supremazia di fronte a chi sta peggio. Ciò non succede solo ai più ricchi: molta gente cade infatti in questa tentazione del nostro tempo. Guardare da lontano, guardare dall’alto, guardare con indifferenza, guardare con disprezzo, guardare con odio. Così si genera la violenza: così si genera il silenzio dell’indifferenza. Quel silenzio indifferente che autorizza il ruggito dell’odio. Il silenzio di fronte all’ingiustizia, apre la strada alla divisione sociale, e la divisione sociale apre la strada alla violenza verbale, e la violenza verbale apre la strada alla violenza fisica e la violenza fisica alla guerra di tutti contro tutti. È lì che sta la coda del diavolo. Una settimana fa o poco meno, forse, mi hanno fatto vedere un filmato di una repressione. Operai, gente che reclamava i propri diritti in strada e la polizia li caricava con una cosa molto cara: lo spray al peperoncino di prima qualità, perché non avevano diritto a reclamare. Perché erano ribelli, comunisti, no, no, no, e il governo è stato irremovibile e invece di pagare giustizia sociale, ha pagato lo spray al peperoncino, gli conveniva. Tenetelo presente. Tutti dobbiamo rialzare gli altri, tutti dobbiamo farlo.
L’atteggiamento contrario è “lasciare lì buttato” e a volte deridere anche chi è caduto. Poi vengono le scuse: “Sono forse io il custode di mio fratello?”. Credo sia la giustificazione, non la prima, è la seconda giustificazione più antica della Bibbia. “Sono forse io il custode di mio fratello? Non ho tempo, che se ne occupi qualcun altro”. “È colpa sua, non ha guardato dove metteva i piedi, si è messo in un cammino pericoloso, non era abbastanza intelligente, non si è sforzato come me”. Questo atteggiamento non è cristiano, peggio ancora, non è neppure umano; non è l’atteggiamento di un uomo di buona volontà. Noi solleviamo chi è caduto, sempre, sempre! Solamente una volta nella vita, solamente in una situazione si può guardare una persona dall’alto in basso: per aiutarla a rialzarsi. Mai in un’altra situazione, sempre di fronte. Solleviamo chi è caduto sempre, tutti quelli che sono caduti, buoni o cattivi, con o senza meriti. Che nessuno rimanga lì buttato, per favore. Ci sono tante persone buttate in strada, tante. Tanta gente che non ha da mangiare e che sta lì in strada chiedendo qualcosa, che ha perso la casa, che ha perso il lavoro o che semplicemente è gente che non ha avuto la capacità di andare avanti. Può essere gente malata, quello che vuoi, ma sta lì buttata. Guardiamo chi è rimasto buttato lì: che nessuno rimanga buttato lì. E allora, sì, guardare dall’alto in basso, ma per rialzarlo.
Alcuni giorni fa, quando ho visitato la scuola “Irmãs Alma” (a Díli, a Timor Leste), una frase mi è venuta dal cuore: “Senza l’amore tutto questo non si capisce”. Un’opera fa questa gente, un’opera con bambini disabili. Simpaticissimi, perché tutti ballavano, e tutto il resto, ma senza amore non si capisce. Senza amore prevale la condotta di scrollarceli di dosso quanto prima. Un aneddoto così, di osservazione. Voi vedete tanti nani per strada? Ci sono molti nani? Sono scomparsi. Quando io ero più giovane si vedevano, ora non ce ne sono più. Quando vedono che sarà un nano, ai rifiuti. È una politica del “buttare via”, che nessuno venga buttato via, che non facciamo scelta di persone perché uno è più capace dell’altro, perché ha più possibilità, perché è più o meno intelligente. Tutti, tutti, tutti. E questa scuola di “Irmãs Alma” di Timor Leste mi è rimasta molto impressa perché accoglievano i bambini che avevano qualche malformazione mentale o che mostravano problemi fin alla gestazione. E lì mi è venuta questa frase: “Senza amore questo non si capisce”. Eliminare, selezionare l’umanità si capisce senza amore.
Se si elimina l’amore come categoria teologica, categoria etica, economica e politica, perdiamo l’orientamento. Nella matematica avara della convenienza, dell’individualismo e dell’accumulazione non c’è posto per questo. Con il velo nero del disamore cadiamo sempre in una qualche forma di “darwinismo sociale”. Sapete che cosa è? Il “darwinismo sociale”? È la legge del più forte che giustifica prima l’indifferenza, poi la crudeltà e infine lo sterminio, e questo viene sempre dal Maligno.
La giustizia sociale, anche l’ecologia integrale, si capisce solo a partire dall’amore. Il diritto naturale alla dignità che meritano tutte le persone, il mandato che hanno tutte le società di garantire la soddisfazione delle necessità primarie, l’obbligo universale di preservare la natura per quanti verranno dopo di noi, nulla di tutto ciò nasce da un’ideologia né da una tabellina, ma dall’amore. Non dimentichiamoci che “senza l’amore siamo nulla”.
Tutti abbiamo la missione di rendere concreto questo amore nella nostra vita quotidiana, nei nostri rapporti familiari, nell’azione specifica di ogni spazio comunitario, nelle micro e nelle macro-relazioni, abbiamo diritto a fare tutto ciò. In diverse occasioni ho constatato come a partire dal piccolo e dalle periferie, nasce quella grande speranza del cuore che ci incoraggia a sollevare lo sguardo verso l’alto, verso orizzonti più vasti che ci danno la forza per intraprendere progetti di grande respiro che abbraccino più persone. Che la luce di ogni esperienza comunitaria concreta si irradi affinché l’umanità intera possa attraversare le gole oscure e riprendere il cammino concreto.
Riprendere il cammino, riprendere il cammino è generare una società diversa, ma non a partire dalle logiche rifondazionali che, in ultima analisi, finiscono con il riprodurre la cultura dello scarto, in questo caso dello scarto culturale. Guardiamo con gratitudine alla storia che ci ha preceduti, guardiamo con gratitudine a quella storia. Sono le nostre fondamenta. Che nessuno ci rubi la memoria storica e il senso di appartenenza a un popolo, anche la memoria storica delle cose selvagge, brutali. Noi argentini, che abbiamo solo circa 600.000 aborigeni su 46 milioni di abitanti, ricordiamoci di Roca che tagliò la testa a tutti gli aborigeni: una cosa vergognosa. Memoria storica totale.
Pochi giorni fa ho messo in guardia gli abitanti di Timor da certi coccodrilli — perché ci sono dei coccodrilli speciali che vengono dall’Australia e si dice che abbiano il morso più forte di tutti quelli che mordono —, ed è strano, quando vanno in spiaggia camminano come i canguri. Saltano appoggiandosi sulla coda. Allora, li ho avvertiti: fate attenzione ai coccodrilli che vogliono cambiare la vostra cultura, mordere la vostra storia, farvi dimenticare ciò che siete. Il colonialismo materiale e il colonialismo ideologico e culturale vanno sempre insieme, divorando la ricchezza materiale e immateriale dei popoli. Penso ad alcune esperienze del mio Paese dove il colonialismo si chiama “litio” e si sfrutta tanta gente.
I valori universali crescono invece dalle radici di ogni popolo, dalla sua bellezza che offre una nuova faccia al poliedro meraviglioso della famiglia umana e della casa comune. Ci sono interessi che sono globali, ma non universali. Ricordiamocene: globali ma non universali. Ossia, cercano di uniformare e sottomettere tutto. Fate attenzione a questo, perché i coccodrilli arrivano mimetizzati; fate attenzione, ma non abbiate paura.
La vigliaccheria porta molti politici a cambiare le loro convinzioni per le loro convenienze. Quando ti ungono la mano, no? Quanto ti tocca? Li hanno fatti passare per il tritacarne dei mass media, delle reti sociali, hanno avuto paura e hanno vacillato. Allora hanno adottato atteggiamenti servili di fronte a quanti erano economicamente potenti come in quella scena nel libro di Daniele in cui “i satrapi, i prefetti, i governatori, i consiglieri, i tesorieri, i giureconsulti, i magistrati” si prostrarono per rendere culto a una statua d’oro per salvarsi dalla fornace. Rinnegare gli ideali nobili e generosi per servire il dio denaro o il potere è una grande apostasia. Non avviene solo con i dirigenti politici ma anche con attori sociali, sindacali, con artisti e intellettuali… e anche con i sacerdoti. Si dice che le sottane abbiano tasche enormi. E succede questo.
Entrare nelle grazie di quanti detengono il potere reale porta vantaggi, aiuta a scalare, questo verbo non lo dimenticate, la piramide burocratica del potere formale. Che cosa? A scalare questa piramide burocratica del potere formale, ma è un tradimento. Quelli che scalano, scalano, scalano arrivano in cima — credo di averlo già detto. Quando arrivano in cima, quando stanno in cima, che cosa mostrano? Me l’ha insegnato mia nonna. Stanno in cima e l’unica cosa che mostrano è il sedere. È questa l’essenza della corruzione. Ciò a volte accade apertamente, con discorsi disumani che si trasformano in politiche ingiuste attraverso l’azione; altre volte, occultamente, con discorsi edulcorati che a loro volta si trasformano in politiche ingiuste attraverso l’omissione. Per scoprire di che pasta è fatto un dirigente — non dimentichiamocene —, e quando parlo di dirigente intendo nel senso generico del termine, anche un sacerdote, un vescovo. Di che pasta è fatto un dirigente? Non bisogna ascoltare tanto quello che lui dice: bisogna vedere quello che fa. La realtà è sempre superiore all’idea. Non dimenticatevi di questo principio: la realtà è superiore all’idea. Tu puoi dare buone idee e parlare, ma qual è la tua realtà? Qual è?
Voi dovete aiutare i politici affinché non si consegnino ai coccodrilli, affinché non si inginocchino di fronte alla statua d’oro per paura della fornace. Dovete essere custodi della Giustizia Sociale. Dovete stare lì per ricordare loro al servizio di chi stanno. Dovete stare lì come la vedova del Vangelo, che insiste, insiste, facendo perdere la pazienza perché facciano giustizia. È una tattica che ci ha insegnato Gesù. Sicuramente troverete altre tattiche, ma sempre all’interno della non-violenza, per favore lavorate sempre per la pace. La guerra è un crimine.
E ora vorrei soffermarmi — manca poco —, vorrei soffermarmi su due temi finali che rendono comune il compito tra la Chiesa e i Movimenti Popolari. Sono temi che mi preoccupano molto.
Primo: il narcotraffico, la prostituzione infantile, la tratta di persone, la violenza brutale nei quartieri e tutte le forme di criminalità organizzata crescono, stanno crescendo. Sto pensando a una donna argentina coraggiosa, la Peressutti, che è stata messa in carcere perché ha denunciato tutte queste cose. Stanno crescendo, crescono sulla terra arata dalla miseria e dall’esclusione che, in definitiva, sono le condizioni che le rendono possibili. Crescono quando non c’è integrazione socio-urbana e si lasciano emarginati i quartieri dei poveri, senza acqua, fogne, luce, riscaldamento, marciapiedi, parchi, centri comunitari, club e parrocchie. Non c’è nulla di tutto ciò. Crescono quando nelle zone rurali non c’è un’adeguata distribuzione della terra, un ordinamento territoriale equilibrato, un sostegno costante all’agricoltura familiare e il rispetto per la famiglia rurale che finisce col sottomettersi a poteri criminali. Bisogna attaccare le cause strutturali, ma nel frattempo dobbiamo affrontare questo. Le due cose allo stesso tempo.
So che non siete poliziotti, so che non potete affrontare direttamente le bande criminali come fanno tanti bravi poliziotti, ma vi chiedo, per favore, di affrontarle indirettamente: il lavoro di base che realizzate voi e tante persone della Chiesa è molto spesso l’ultima barriera di contenimento. Continuate a combattere l’economia criminale con l’economia popolare. Non so se sia lecito parlare di “economia popolare”. Credo di sì. E se è una cosa che nessuno capisce, mettetela in atto affinché la capiscano. Non cedete, per favore. So che chiedo una cosa difficile ma è davvero necessario. Nessuna persona, soprattutto nessun bambino, può essere una merce di consumo in mano ai trafficanti della morte, gli stessi che poi sbiancano il loro denaro insanguinato e cenano con signori rispettabili nei migliori ristoranti. E quando parlo dei bambini, parlo anche degli anziani. Ossia, la cultura umana di un popolo si vede da come si prende cura dei suoi bambini e di come si prende cura dei suoi anziani. Se manda i suoi anziani al “deposito geriatrico” o li lascia morire di dolore da soli, quel popolo non ha una cultura umana. Se non accoglie i bambini, se non se ne prende cura, se non li fa crescere, quel popolo non ha futuro. Non vi dimenticate di questo: la cultura, i bambini e gli anziani, prendetevi cura dei bambini e degli anziani. Una volta ho letto, non ricordo dove, una dichiarazione dei diritti dei bambini e una dichiarazione degli anziani, inseriti nella Costituzione di un Paese. Dopo sono venuti altri e li hanno tolti, come a dire: “Il nostro Paese, costituzionalmente, non si preoccupa dei bambini e degli anziani”. Un messaggio bello pesante.
Voglio anche parlarvi di altre situazioni distruttive che si infiltrano nei settori più poveri ma che riguardano tutte le classi sociali: le scommesse online e l’uso improprio delle reti. Mi mette tanta tristezza vedere che alcune partite di calcio e le stelle dello sport promuovono piattaforme di scommesse. Questo non è un gioco, è una dipendenza. È mettere la mano nelle tasche della gente, soprattutto dei lavoratori e dei poveri. Mi hanno raccontato che in una città che conosco bene il fenomeno si è diffuso e le signore pensionate vanno a prendere la pensione e poi vanno subito a giocare. È una cosa tremenda. E questo distrugge intere famiglie. State attenti e fate attenzione agli altri. Raccontate a tutti quello che avete raccontato a me, e parlate delle malattie mentali, della disperazione e dei suicidi che avvengono in ogni casa quando con il cellulare c’è una sala da giochi.
È una delle cose negative che porta la tecnologia che, d’altra parte, fa tanto bene. La tecnologia fa bene, ma porta anche queste cose. Bisogna trovare un equilibrio qui, non può essere lasciato alla logica del profitto. Agli imprenditori della tecnologia informatica, delle piattaforme digitali, delle reti sociali, dell’intelligenza artificiale, chiedo: mettete da parte l’arroganza di credere di stare al di sopra della legge. Siate rispettosi dei Paesi nei quali operate e siate anche responsabili di ciò che accade nelle piattaforme che controllate.
Voi avete l’obbligo di evitare la propagazione dell’odio — è una delle missioni dell’operatore sociale — la propagazione dell’odio, della violenza, delle fake news — le fake news che governano tanto — della polarizzazione estrema e del razzismo. Avete anche l’obbligo di evitare che le reti vengano usate per disseminare la ludopatia, la pornografia infantile o agevolare la criminalità organizzata. Non potete saccheggiare a vostro esclusivo beneficio i dati che forniscono i cittadini o che creano gli enti pubblici, senza restituire qualcosa ai popoli. Per favore, non credetevi superiori a nessuno, e un piccolo consiglio: pagate le tasse. È molto importante. Non mi ricordo di avere mai sentito: “Mi accuso di non pagare le tasse”. Piuttosto, sono maestri nel fare imbrogli. Quante volte in un ristorante o in un supermercato vai a pagare e ti dicono: “Vuole la ricevuta o no?”.
Ogni fortuna è il prodotto del lavoro di molte persone e di molte generazioni, è il prodotto di investimenti pubblici in conoscenze scientifiche e dello sviluppo statale delle infrastrutture. Tutte le “meraviglie” che oggi abbiamo sono in parte frutto dell’ingegno imprenditoriale, ma anche della più umile madre di famiglia che ha cresciuto i figli dei suoi operai. Per questo, oltre che necessario, è giusto che vengano distribuiti i frutti di tanta fatica intergenerazionale e collettiva tra tutti i membri della società. Questa è compassione, perché non si spiega senza amore, ma è anche pura giustizia.
Per concludere, care sorelle, cari fratelli: tutti siamo cambiati in questi anni, alcuni sono più maturi, altri siamo più vecchi. Vi confesso, una cosa a cui penso molto, ultimamente, forse per l’età. Come vorrei che le nuove generazioni trovassero un mondo migliore di quello che abbiamo ricevuto noi! Forse invece potrei dirvi che i nostri posteri ne riceveranno uno peggiore: non è pessimismo, un mondo insanguinato da guerre, violenza, ferito da una crescente disuguaglianza, devastato dalla spoliazione della natura, alienato da stili disumanizzati, di comunicazione, completamente disinformato da forme interessate di gestione dell’informazione, senza paradigmi politici, sociali ed economici che segnino il cammino, con poche utopie ed enormi minacce. Se non siete d’accordo, discutetene e correggetemi. È questo quello che sento.
In un simile contesto, d’altra parte mi dà speranza vedere che voi sostenete le bandiere di “terra, tetto e lavoro” (tierra, techo y trabajo). Le tre “t”. Vi ringrazio per questo. Anche di fronte a tutta questa massa di pessimismo, credo ancora nel lievito, che ha più forza. Se voi sarete lievito, le cose cambieranno. So anche che avete cambiato la composizione del comitato dell’Incontro, che avete passato il testimone ad altri dirigenti più giovani. Anche questo mi piace. Per favore, non cadete nel vizio dell’accumulazione. Non cadete nell’errore di accaparrare spazi e aggrapparvi a essi. Promuovete sempre processi, processi che si rinnovino continuamente. Creatori di processi. Il tempo non tradisce mai quando siamo consapevoli che il cammino non inizia né finisce con noi. Come diceva quella vecchia: “Né con me né senza di me”.
Il nostro cammino continua sognando e lavorando insieme affinché i lavoratori abbiano diritti, tutte le famiglie un tetto, tutti i contadini una terra, tutti i bambini un’educazione, tutti i giovani un futuro, tutti gli anziani una buona pensione, tutte le donne parità di diritti, tutti i popoli sovranità, tutti gli indigeni un territorio, tutti i migranti accoglienza, tutte le etnie rispetto, tutti i credi libertà, tutte le regioni pace, tutti gli ecosistemi tutela. È un cammino permanente, ci saranno progressi e regressi, ci saranno errori e successi, ma non abbiate dubbi: è il cammino giusto. E se un giorno vi state annoiando e volete confrontarvi, confrontatevi con il sorriso di un neonato, di un bambino o con il sorriso furbetto di un vecchietto o una vecchietta: sarà questa la vostra pietra di paragone.
Vi parlo dal cuore: prego per voi, prego insieme a voi, e chiedo al Padre Nostro di proteggervi e di benedirvi, di colmarvi del Suo amore e di guidarvi nel vostro cammino, concedendovi generosamente quella forza che ci sostiene, quella forza che è la speranza. La speranza non delude, è la virtù più debole, è la più debole ma non delude. Quella speranza che non delude. Non stanchiamoci di dire: nessuna persona senza dignità! Nessuna persona senza speranza!
E, per favore, pregate per me. Anch’io ne ho bisogno. Sono peccatore. E se qualcuno di voi non può pregare, lo rispetto, almeno mi mandi energia positiva, per favore. Grazie.
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L’Osservatore Romano, Edizione Quotidiana, Anno CLXIV n. 215, 24 settembre 2024.