Normalmente il termine tecnico usato, per descrivere questo atteggiamento perverso, è la parola greca hybris, che è al contempo arroganza, volontà di potenza e senso di onnipotenza. Nella Bibbia con questo termine si suole indicare la perversione della libertà umana, che perde di vista la sua dimensione creaturale e si mette al posto del Creatore.
A partire da questa distorsione gli altri cessano di essere fratelli, compagni di viaggio su questa Terra, per divenire dei subalterni, degli oggetti soggiogati al capriccio di un loro simile.
La brevissima, quanto efficace parabola elaborata dal profeta, mette bene in luce il dinamismo della hybris. Sia il potente della parabola, che Davide, o qualsiasi altro potente di turno non ha commesso il suo peccato mosso da una situazione di necessità, o per un colpo di testa incontrollato. Tant’è che, fino alla reprimenda del profeta, Davide non mostra alcun tipo di commozione, o pentimento. In realtà la hybris è un peccato da non sottovalutare, esattamente perché distorce la nostra percezione della realtà; ci pone in un rapporto completamente alterato con il reale.
Forse qualcuno potrà essere indotto a pensare che tutto ciò era particolarmente facile in un contesto monarchico come quello davidico. Oltretutto con lui il regno d’Israele raggiunse il massimo della sua espansione, mai più raggiunta in nessun’altra epoca storica. Dunque una condizione di dominio estremamente pericolosa.
In realtà anche per lui c’erano dei limiti, che nel caso erano quelli della Legge. Il re era stato chiesto dal popolo al profeta Samuele, non senza una disputa teologica sull’opportunità di tale scelta. Ciò nonostante, dentro una visione teocratica, il re doveva essere il rappresentante di JHWH; quindi oltre alle solite prerogative politico-militari, deve garantire il diritto “del povero, dell’orfano e della vedova”, ovvero di tutte quelle categorie più fragili, sempre esposte agli abusi dei potenti. Ecco perché solo il profeta Natan può intervenire in nome di JHWH, per contestare a Davide il suo tradimento della Legge e della funzione che gli era stata affidata.
Di fronte a questa situazione, noi che viviamo in una realtà formalmente democratica, perché possiamo scegliere liberamente i nostri oppressori, ecco che possiamo correre il pericolo di leggere questa vicenda come una storia d’altri tempi, oppure collegabile solo ai regimi dove non si può votare liberamente.
Eppure il potere, assieme al demonio che spesso lo ispira, dietro apparenze democratiche, ha saputo trovare nuovi e più sofisticati percorsi per affermarsi, in modo che i potentati di oggi possono contare su meccanismi di oppressione ben più forti e complessi ad un tempo.
Se prendiamo come banale riferimento il potere economico, o il raggio d’azione del re Davide, vediamo che gran parte delle principali multinazionali odierne hanno “una potenza di fuoco” nemmeno paragonabile con la sua; e, se lui ha deciso della vita di una coppia e di poche altre centinaia di persone, i potenti di oggi giocano sulla testa di milioni di poveri contadini e sottoproletari di ogni genere e specie.
Però il dramma, ancor più profondo, è che l’attuale ingiustizia normalmente non viene più esercitata attraverso l’uso della forza militare, o poliziesca. Infatti, questo tipo di violenza entra in gioco solo negli stadi finali, quando gli altri stadi non hanno funzionato, o non sono bastati, come nel caso della dura repressione razziale presente negli Stati Uniti.
Oggi le forme di prevaricazione nei riguardi dei più deboli avvengono dentro un complesso ed articolato sistema, che vede l’azione congiunta dei potentati economico-finanziari, dei loro rappresentanti politici, dei loro onnipotenti mezzi di comunicazione, fino a giungere all’apparato legislativo-giudiziario, solo per citare gli attori principali. L’azione congiunta e multilaterale di queste dimensioni del potere, fa sì che ormai siamo giunti ad accettare come “naturale”, come l’aria che respiriamo, le più grandi ingiustizie che schiacciano gli oppressi di oggi. A tal punto che la politica istituzionale non ne parla neanche più. Ormai tutti i principali partiti dello scenario mondiale non mettono al centro dei loro statuti programmatici questo tipo di problemi. Tutt’al più questa problematica viene sollevata da gruppi politici, o movimenti sociali, decisamente minoritari, culturalmente inquadrati come irrazionali e violenti.
In questo quadro molto più complesso e pertanto molto più spietato, diventa particolarmente difficile esercitare la profezia. Tralasciando, per ovvie ragioni, l’inutile discussione se gli uomini e le donne di oggi siano più o meno coraggiosi del profeta Natan, esiste un’oggettiva difficoltà nel far risuonare e nell’ascoltare la voce dei profeti odierni; esattamente perché questo sistema ha capito perfettamente l’importanza di controllare la Parola, dalla Parola di Dio in senso stretto alle nostre parole umane, terreno fecondo per il fiorire di quella. Soprattutto la moltiplicazione smisurata delle parole, vuote e senza senso, fa sì che la Parola, trascrizione della Verità e della Giustizia, venga letteralmente sepolta e silenziata. E così, anche il miglior ascoltatore fa fatica a riconoscerla.
Tutto ciò rende ancor più urgente l’apparire della Profezia e dei suoi testimoni, che ci aiutino a leggere nella densità e nella complessità del presente le premonizioni del nostro futuro.
Tornando al nostro re Davide ed ai suoi colleghi di ogni tempo, risulta chiaro che, fin tanto che la sua hybris rimane sepolta sotto il suo peccato sessuale, basta un po’ di fedeltà matrimoniale, o al voto di celibato, per coprire le più perverse prevaricazioni.
Pe. Marco