il libro di Giobbe ci dice, che l’unica risposta che noi abbiamo è continuare ad incalzare il Signore, continuare ad interrogarlo, stando soli davanti a Lui. Perché è questa relazione che ci salva, non la risposta che non ci è data.
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Devo confessare, che questa riflessione è nata da un iniziale momento di sconforto, mentre meditavo sulle letture di domenica prossima. Mi dicevo: “Ma come faccio a fare un predica su questi testi?”. E poi…, sarà stato lo Spirito, o sarà stata la disperazione, sta di fatto che mi sono accorto, che certamente non sarà facile imbastire una predica su questa Parola; d’altro canto questa è quella Parola, quella parte della Parola di Dio, con la quale non vogliamo fare i conti.
E allora eccomi qui a condividere ciò che non sempre ricordiamo, quando ci mettiamo davanti al Signore.
Innanzitutto il testo di Giobbe 1,13-21. Testo drammatico, difficilissimo da ascoltare; certamente fonte di tanti ateismi, se letto ed ascoltato con la sensibilità contemporanea. Non vi è dubbio che meriterebbe qualche spiegazione in più, soprattutto a livello linguistico, perché troppa la distanza tra il nostro italiano e l’ebraico. Ma la distanza non è solo linguistica e, se lo è, è perché c’è un abisso tra il credente ebreo e noi, più o meno credenti occidentali del Terzo Millennio.
Per capirci, vorrei partire da uno scambio molto superficiale, avuto recentemente con una signora di origine ebraica. Parlando della Fede dei suoi antenati che lei non pratica più, accennava ad un commento di un suo nonno rabbino, il quale diceva che il midrash è pieno delle lamentele dei vari rabbini, i quali discutono e se la prendono con JHWH un po’ su tutto. Eppure JHWH è JHWH e non si può mettere da parte. Quei sapienti non si sarebbero mai messi a sfidarlo circa la sua esistenza; semplicemente perché non è a nostro uso e consumo, non è come noi lo vorremmo, o come a noi servirebbe, soprattutto nei momenti drammatici della Vita.
JHWH è il Signore, ci dice Giobbe, anche e soprattutto quando il suo agire mi è del tutto incomprensibile. Ma tutto ha a che fare con Lui. Pertanto, m’inquietano non poco i tentativi new age di un certo cristianesimo politicamente corretto, che nel tentativo di “salvare” Dio vorrebbero lasciarlo fuori dalle vicende più drammatiche del nostro vivere. “Lascia perdere Dio! Qui Dio non c’entra. Qui il problema dipende solo dalla nostra libertà” si dice. Sì, ma chi ha creato la Libertà umana? E perché l’ha fatta così e non diversamente? Con molti uomini e donne, forse troppi, si ha l’impressione, che aver dato loro la Libertà è come averli caricati di una responsabilità insopportabile.
In tutto ciò, contrariamente alle ingenue letture devote, Giobbe non china la testa per paura del Signore; né lo butta fuori dalla sua vita perché troppo scomodo. Tanto meno si accontenta di risposte semplicistiche, quanto scandalose, come sono quelle dei suoi tre amici. Quanto male fanno le nostre risposte devote, le nostre frasi fatte, di fronte a situazioni umanamente incomprensibili.
Invece, di fronte a tali situazioni il libro di Giobbe ci dice, che l’unica risposta che noi abbiamo è continuare ad incalzare il Signore, continuare ad interrogarlo, stando soli davanti a Lui. Perché è questa relazione che ci salva, non la risposta che non ci è data.
Il Vangelo di Luca 17,7-10 da parte sua sembra voler rincarare la dose, quanto all’insondabilità dell’agire divino. Anche in questo caso, però, prima di coglierne il valore, dobbiamo liberarci dall’uso demoniaco e perverso, che ne hanno fatto molte autorità ecclesiastiche, per annichilire i loro subalterni. Se si fossero ricordate, che questo Vangelo riguarda soprattutto la loro inutilità, non avrebbero fatto tutto il male che hanno fatto.
In realtà, questo è uno dei testi più antireligiosi della Bibbia, se per religione intendiamo ogni tentativo umano di parlare e di arrivare a Dio con le leggi e con il culto. Ma il cristianesimo non è una religione e quando diventa una religione, non è più cristianesimo. Infatti, la Fede cristiana nasce come risposta di alcuni uomini a colui, Gesù di Nazareth, che si è presentato con la “pretesa” di essere Figlio del Padre. Indubbiamente io posso non accettare, non credere, a questa sua pretesa…
Però, se l’accetto, allora il credere è essenzialmente un confronto continuo con la sua Parola, per capire come devo vivere, qual è la forma di vita autentica, che non dipenderà più da me e dalle mie intuizioni. Il modo di vivere autentico è quello, che ho visto in Gesù di Nazareth e quello cercherò di approfondire, di fronte ad ogni sfida che la Vita mi pone.
Se vivo la Fede cristiana in questa prospettiva, quando sto davanti a Lui posso solo ringraziare, perché mi ha rivelato come vivere in pienezza questa vita.
Qualsiasi sforzo e sacrificio, fatto per pura sottomissione a Dio, nella speranza di essere da Lui benvoluti e beneficiati, ci riporta al carattere sacrificale di tutte le religioni umane; ma questa non è più la risposta fiduciosa alla prassi liberatrice di Gesù di Nazareth, non è più cristianesimo.
Pe. Marco