Il Tempio profanato, ma quale?
A margine di Bar 3,24-38; 2Tm 2,19-22; Mt 21,10-17
Le letture di questa domenica vogliono aiutarci a celebrare la Festa della Dedicazione della nostra Cattedrale, il Duomo di Milano, ad un tempo sede della cattedra episcopale e centro di unità dell’intera Chiesa milanese.
Ovviamente, per non correre il rischio di essere confusa con la teologia del Tempio, tanto importante nell’Antico Testamento, le letture si muovono dentro la chiara prospettiva di farci passare dalla contemplazione del tempio fisico, fatto di pietre, al tempio spirituale, che è, ad un tempo, l’intimo della nostra coscienza e l’intero Popolo di Dio, che abita in questa Diocesi.
Detto ciò, non possiamo non essere attratti dalla felice scelta del Vangelo di oggi, che ci butta dentro la complessa e singolare posizione di Gesù, maestro in Israele, verso il Tempio di Gerusalemme, centro di tutta la religiosità post esilica.
Certamente, per valorizzare pienamente gli atteggiamenti di Gesù, dovremmo soffermarci più a lungo su che cos’era il Tempio per il giudeo dell’epoca. Non potendolo fare, basterebbe osservare l’importanza che ancora oggi, hanno le pietre del “Muro del pianto” a Gerusalemme, vestigia del Tempio distrutto dai Romani.
Ebbene, dentro questo quadro, religioso e culturale ad un tempo, i Vangeli, soprattutto i Sinottici più preoccupati di narrarci la “vita di Gesù”, ci dicono chiaramente che Gesù ha annunciato il Vangelo “fuori dal Tempio”, se non addirittura “lontano dal Tempio”; tanto che i Sinottici ci parlano, con certezza, di un solo e definitivo viaggio di Gesù a Gerusalemme. Ovvero, pur senza rifiutare il Tempio in quanto tale, certamente la Buona Novella di Gesù non ha come base e fondamento la teologia del tempio; né fa del Tempio di Gerusalemme un punto di riferimento fondamentale. Gesù annuncia e vive la Buona Novella laddove la gente vive, lavora, soffre, festeggia e quant’altro.
Già a questo primo livello c’è da chiedersi cosa ne abbiamo fatto noi cristiani del Vangelo? Perché, attraverso innumerevoli percorsi e contorsioni storiche, qui nel cuore della cristianità, il cuore e il centro della vita cristiana è identificato con l’apparato cultuale legato alla celebrazione dei Sacramenti?
Mi permetto di ribadire questa domanda, per evitare inutili e sterili fraintendimenti. Non sto mettendo in discussione il senso del Culto e dei Sacramenti, bensì il ruolo e l’importanza ad essi attribuiti dentro l’economia della Salvezza. Cercando di chiarire meglio, a costo di qualche semplificazione, chiedo a me ed a voi lettori: alla fin fine la Salvezza ci è data per la moltiplicazione delle celebrazioni cultuali, magari perfettamente curate, o per la “sequela Christi”, la sequela di Gesù, ovvero quella tensione mistica di “dire e fare” ciò che il Maestro ha detto e fatto?
Mi pare sia chiaro che, nella seconda opzione, l’apparato cultuale conserva tutta la sua importanza, ma rimane subordinato a qualcosa d’altro, che è la Vita cristiana, la vita vissuta nella forma, nelle modalità, in cui il Cristo l’ha intesa e vissuta.
Ecco allora che, a partire da questi elementi, possiamo capire la violenza, con cui Gesù si scaglia contro queste bancarelle ed i loro annessi.
Purtroppo non posso trattenermi dal confessare la mia profonda tristezza nell’immaginare come, nella maggior parte delle prediche di questa domenica, la preoccupazione principale sarà come “anestetizzare”, rendere politicamente corretto, questo gesto di Gesù. E così opereremo l’ennesima “castrazione” del Vangelo.
A me pare invece importante salvaguardare, valorizzare questa violenza, questa rabbia, questa delusione di Gesù, perché questi sentimenti sono tipici di chi ha fatto una scelta totalizzante, di chi ha posto nell’obbedienza al Padre tutto il senso della Sua vita. Per questo amore, totalizzante e appassionato, Gesù non può rimanere inerme e spettatore di fronte all’abuso ed alla strumentalizzazione, che viene fatta nei riguardi di questa Casa. Ovvero, questa violenza non è uno scatto d’ira incontenibile, bensì il segno e la misura di un Amore autentico.
Che cosa sarebbe la Chiesa ed il mondo se noi, suoi discepoli, fossimo mossi dallo stesso amore e dalla stessa passione per la Casa del Padre!
Dico questo, non nel solito senso pietistico, d’invitare a fare la visita quotidiana al SS. Sacramento. Certo anche quella serve, piuttosto che passare le ore pomeridiane ad assistere la spazzatura proposta dalle nostre televisioni. In realtà la questione è ben più profonda e rimette alla domanda radicale sul senso e la qualità delle nostre celebrazioni, Messa in primis. Ovviamente non ripeterò quanto detto in altre riflessioni precedenti. Qui mi permetto solo di evidenziare una grande deriva del culto cristiano, molto evidente nelle celebrazioni pentecostali, cattoliche e non, ma alla fine soggiacente alla gran parte delle nostre celebrazioni. Questa deriva la descriverei come una fuga dalla realtà, nella quale il tempio fisico serve a creare quello iato, quella rottura, con il mondo, arrivista e spietato, in cui siamo immersi, per rifugiarci in questo “spazio divino”, dove scaricare tutte le nostre angosce e frustrazioni. Salvo poi ritornare in quel mondo, in quella realtà, come schiavi obbedienti e disciplinati, ma sempre più frustrati ed angosciati. Non a caso nelle nuove sette neo-pentecostali è sempre prevista la celebrazione settimanale del “descarrego”, letteralmente “dello scarico” di tutte le angosce e frustrazioni della vita; guarda a caso con tanto di tabellario per ogni tipo “cura” effettuata.
Ma, non senza qualche ipocrisia, le nostre celebrazioni non devono forse essere molto belle e curate esteticamente, ovvero un perfetto momento di relax, ma assolutamente lontane dalle contraddizioni del nostro vivere quotidiano; fino al punto che il sacerdote deve si commentare accuratamente il Vangelo, ma guardarsi bene dal tradurlo, con esempi e situazioni, nell’oggi che viviamo. Chiaramente questo processo di castrazione della Parola ha la sua, apparente, giustificazione teologica, ovvero “per non creare conflitti e divisioni nella comunità”.
È sì, proprio come le prime Comunità cristiane, che non conoscevano conflitti, né tensioni!
O forse noi non conosciamo com’erano le prime Comunità cristiane…
d. Marco