Per questa domenica vorrei soffermarmi sulla prima lettura. Questa pagina epica narra gli eventi fondativi del popolo d’Israele. Forse con troppa disinvoltura, noi cristiani li abbiamo accantonati con il pretesto che il Nuovo Testamento supererebbe l’Antico, rendendolo praticamente inutile. In realtà Gesù dice chiaramente d’essere venuto per portare a compimento la Scritture, ricordandoci che anche l’ultimo iota della Legge è gravido di senso.
Vorrei confessarvi subito che, mentre meditavo questi testi, non ho potuto non associare l’esercito egiziano, travolto nel Mar Rosso, e le migliaia di vittime di questo misterioso virus. Forse, per il fatto di esserne così direttamente coinvolti, questa ipotesi potrebbe scandalizzarci. Eppure noi siamo cresciuti credendo, ed ancora continuiamo a credere, che JHWH per liberare Israele dalla schiavitù non si è trattenuto dal lasciar morire i primogeniti d’Egitto, o, come nel caso di questo brano, dal travolgere l’esercito del faraone. Giustamente qualcuno farà notare che questo modo di dire è un antropomorfismo, ovvero un attribuire a Dio sentimenti ed atteggiamenti umani. Così come è altamente plausibile ciò che ci spiegava don Ermanno Dell’Acqua, nell’ormai lontana Terza Media; ovvero questa epopea biblica pare sia stata costruita a partire da fenomeni atmosferici, che Israele lesse come intervento prodigioso di JHWH in suo favore.
Ecco, questo mi pare sia il punto decisivo assolutamente pertinente con la fede biblica. Infatti, mentre a livello linguistico l’uomo biblico ha bisogno di usare un linguaggio, che faccia discendere tutto dal diretto intervento divino; in realtà questa attribuzione divina è un processo a posteriori, ovvero susseguente i fatti realmente accaduti. In altre parole la fede biblica, che è molto più radicata nella Storia della nostra, cerca sempre di capire dov’è il Signore, dentro i vari avvenimenti della Vita; da che parte Lui sta? Come sta agendo?
Ecco allora emergere un tratto divino da noi abbastanza dimenticato; mentre è ancora vivo in chi vive evidenti condizioni d’ingiustizia e oppressione: JHWH, il Signore, si schiera dalla parte delle vittime e degli esclusi, soprattutto quando la loro causa non viene presa in considerazione; quando il loro grido non viene ascoltato. Non voglio riempire questa semplice riflessione di dati. Mi limiterò a citare solo quelli apparsi in occasione della giornata mondiale dell’acqua. Ogni anno muoiono: di diarrea 1,5 milioni bambini morti all’anno; di malaria 1 milione di persone; di schistosomiasi 207 milioni di persone infette nel mondo; di malattie respiratorie 1,8 milioni di bambini. Tutte malattie praticamente assenti dalle nostre società occidentali, perché tranquillamente curabili. Per non parlare delle vittime della fame e dei cambiamenti climatici, pure loro ampiamente suscettibili di salvezza.
Eppure sono decenni che continuiamo ad allargare le braccia, dicendoci l’un l’altro: “Ma noi che cosa possiamo fare? Non è colpa nostra!”. Questa volta non m’impegnerò nella solita interminabile discussione, per mostrare che no, in realtà ci sono tante piccole e grandi scelte, che potrebbero incidere su questo mondo che genera tante vittime. No, oggi sono inquietato da questo strano virus e mi chiedo, se il Signore non stia cercando di scuoterci attraverso di lui, il COVID 19, mettendo in ginocchio questo sistema fondato sul sangue di miliardi di vittime.
Questa lettura mi appare sempre più plausibile, quanto più ascolto l’accavallarsi di questi annunci di investimenti esorbitanti, rivolti soprattutto al mantenimento di questo sistema economico. Infatti, pur nel divampare della pandemia, sentendo le parole di Trump, o di Boris Johnson, pare che loro siano più terrorizzati dal possibile crollo di questo sistema economico, che non dalle proprie vittime del virus. Ma come, quando non eravamo in situazioni così drammatiche, si aveva paura nel cambiare il sistema, perché non si sapeva a cosa saremmo andati incontro. Adesso che il sistema è al tappeto e potrebbe essere rivisto in modo radicale “si deve intervenire il più velocemente ed il più radicalmente possibile per salvarlo”, parole di Mario Draghi. Ma come? Ma allora, quando lo cambieremo? E nel frattempo quelle milioni di vittime sopra citate a che santo potranno rivolgersi, se non a Lui, a JHWH, il Dio degli eserciti? E se Lui le stesse ascoltando nelle forme misteriose che Lui solo conosce? Anzi noi nella Veglia Pasquale ce lo ridiremo, forse senza troppo pensare a ciò che stiamo proclamando: Voglio cantare al Signore, che ha gettato in mare cavallo e cavaliere. Mia forza e mio canto è il Signore (Es 15,1ss).
Purtroppo il nostro linguaggio umano è sempre limitato e, quando tenta di balbettare qualcosa del divino, non può fare altro che ridurlo e impoverirlo pericolosamente. Così mi sento anch’io nello scrivere queste cose. D’altro canto, già l’uomo biblico, pur con questi rischi, ha osato dare un nome agli avvenimenti della Storia. Pertanto anche a noi oggi, in questo momento drammatico, compete questo rischio e questa responsabilità.
Porsi la domanda sui multiformi significati legati a questo strano virus, non vuol dire necessariamente affermare che il Signore ce lo ha mandato. Perlomeno io non penso questo. Dopo di che questo essere misterioso fenomeno sta facendo esplodere ed implodere quasi tutte le nostre sicurezze. Le parole di Papa Francesco, lanciate da una piazza S. Pietro troppo piccola per l’immenso popolo che l’affollava, sono inequivocabili: “La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di ‘imballare’ e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente ‘salvatrici’, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità. Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri ‘ego’ sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”.
Eppure, come sempre è accaduto lungo la storia dell’umanità, come accadeva nei campi di sterminio nazisti, anche in queste situazioni estreme, questa “appartenenza come fratelli” stenta ad imporsi inequivocabilmente. Certamente noi possiamo già fare la conta dei molti martiri che hanno dato la vita per i fratelli, durante la pandemia. Ma molti, troppi tra di noi, fino ai nostri leader politici, che non sono altro che lo specchio della nostra società, ebbene troppi ancora indugiano sui soliti adagi individualistici: si salvi chi può, o chi pensa per sé pensa per tre.
Eppure è proprio questo “Io” narcisistico che ha favorito la diffusione esponenziale del virus. Così come è demoniaco il pensare al futuro, alla ricostruzione, alla ripresa, in una prospettiva nazionale individualista. Certo, questo è quanto abbiamo saputo fare finora, nell’illusione che chi arrivava prima, o meglio, si accaparrava la parte migliore. Invece ora, se vogliamo, o meglio se dobbiamo andare insieme, questa logica non funziona più; non ci può più aiutare; dunque non serve più. Certamente avevamo già avuto molti segnali in questo senso; ma ora l’annuncio è assordante: o partiamo da quell’appartenenza come fratelli, oppure accumuleremo tragedie su tragedie.
La logica della fraternità ci obbliga a garantire a tutte le sorelle ed a tutti i fratelli ciò che è essenziale per vivere come figli dell’unico Padre. E questo principio è assoluto e non ammette eccezioni. Pertanto, tutti gli strumenti e tutte le risorse devono essere investiti in questo senso; né più, né meno, come oggi stiamo investendo l’impossibile per salvare i nostri fratelli contaminati. Tutte le fughe in avanti in termini di diritti dell’io, o peggio ancora di conclamati privilegi acquisiti in qualsivoglia forma, ebbene tutto ciò deve essere drasticamente penalizzato e sanzionato; altrimenti la fraternità rimarrà l’eterna chimera, utile solo per dare lustro a qualche predicatore.
La globalizzazione, che finora aveva offerto alla nostra voracità occidentale risorse e mercati apparentemente inesauribili, ora paradossalmente ci rende terribilmente prossimi ad ogni sorella e ad ogni fratello rimasto indietro; dove “l’ogni” va inteso in senso etimologico e letterale, senza alcun altra specificazione.
Forse, purtroppo, il nostro cuore duro aveva bisogno di questo virus per rendersene conto.