Forse a qualcuno questo titolo potrà sembrare il solito slogan ad effetto, oppure, per i più malevoli potrà sembrare la solita pretesa arrogante di chi vuole avere sempre l’ultima parola sulla realtà. In realtà è solo un modo semplice, per invitarci a prendere coscienza di quanto le mutate circostanze socio-culturali provochino anche il mondo missionario.
Come ben sappiamo il mese di ottobre è il mese cosiddetto missionario. Probabilmente la maggioranza di noi ha in mente, non senza una certa nostalgia, le mitiche iniziative per raccogliere fondi a sostegno dei nostri missionari. In fondo questa è l’immagine classica, che noi associamo al Gruppo Missionario. Questa idea nasceva da un’illusione, che la Chiesa ha coltivato per secoli: noi abitiamo nelle terre cristiane e dobbiamo mandare missionari in giro per il mondo per convertire i popoli pagani. Ecco allora che le parrocchie d’origine dovevano sostenerli con la preghiera e con il supporto economico. Oltretutto, per decenni ci siamo illusi che gli aiuti economici dati ai missionari servissero per diminuire l’ingiusto divario economico, che separa Nord e Sud del mondo.
Fermo restando la bontà del gesto di chi dona gratuitamente e per amore, ciò nonostante è ormai chiaro per tutti che, più che mandare questi aiuti che piovono dal cielo e fanno più danni che guadagni, è importante cambiare i nostri stili di vita e le nostre strutture economiche, che ne sono il necessario supporto. Dall’altro lato, la secolarizzazione galoppante ha rivelato in modo impietoso che la fede, che pretendevamo portare nel mondo, in realtà era più un insieme di tradizioni e di devozioni. Ma, al cadere di queste sotto i colpi impietosi della modernità, scopriamo ogni giorno che non c’è un vero rapporto personale con Gesù di Nazareth. In altre parole il cattolico occidentale, con tutti i suoi sogni di grandezza e di superiorità, si ritrova nudo e disorientato, incapace di affrontare le più elementari e fondamentali domande di senso.
E così, nel breve volgere di qualche decennio, ci siamo ritrovati a dover rievangelizzare le nostre terre e per far ciò abbiamo bisogno anche dell’apporto di missionari stranieri.
Non solo; il nostro ingiusto sistema economico ha finito con il tirarsi la zappa sui piedi, attraendo milioni di persone da quei continenti, che la nostra economia capitalista continua a sfruttare in modo impietoso. E così, volenti o nolenti, la missione a tutti gli effetti è qui in mezzo a noi, nelle stesse vie in cui noi viviamo.
A partire da questi scenari fugacemente accennati, chi è seriamente preoccupato con l’annuncio del Vangelo non può non porsi la domanda di fondo: come presentare oggi la questione missionaria? Qual è il volto attuale della missione per noi europei? Penso che queste domande riguardino innanzitutto i Gruppi missionari, o chi per essi, perché, promuovendo le iniziative opportune, possano a loro volta educare e contaminare le nostre disorientate comunità cristiane.
Probabilmente oggi il primo compito della Pastorale missionaria è quello di farci incontrare il Sud del nostro Pianeta non più attraverso foto e racconti di missionari partiti per terre mitiche e lontane; bensì attraverso l’incontro con in resto del mondo, che molto spesso abita nella nostra via, o nel nostro condominio. Forse queste genti “straniere” non saranno così buone e semplici come le immaginavamo. Di certo però sono Gesù, che ci viene incontro in carne ed ossa, e ci chiede ancora una volta di servirlo nelle loro povertà.
Forse il contatto diretto e personale con loro farà crescere nelle nostre comunità cristiane quella santa indignazione nei riguardi di questo sistema diabolico, che spinge milioni di persone verso migrazioni drammatiche e senza futuro. Forse la cristiana con-passione, verso chi ha sofferto e soffre incredibili privazioni in cerca di una vita migliore, ci spingerà a lottare con loro per cambiare le strutture ingiuste dell’economia e della politica mondiale; perché la Terra possa diventare il Regno di Dio ad ogni latitudine ed ad ogni longitudine.
Alla luce della mia esperienza missionaria, ritengo che questo aggiornamento della pastorale missionaria, a lungo andare, obbligherà anche i missionari “ad gentes” a rivedere radicalmente le loro prospettive pastorali. Soprattutto quell’inguaribile paternalismo di chi, inconsapevolmente, continua a determinare a suon di dollari e di euro i tempi e gli ambiti della Liberazione degli oppressi. Dopo secoli, nei quali abbiamo constatato la fragilità di tale prospettiva, forse capiranno che l’unica vera Liberazione dei popoli può nascere solo dal di dentro degli stessi. Ogni popolo deve fare la fatica di riconoscere e combattere in loco le forme dell’ingiustizia, che lo opprime. Il missionario, che viene da lontano, può solo mettersi a fianco ed al servizio di questa sacra autodeterminazione di ogni popolo.
E così, un po’ tutti, scopriremo che questo è il principale aiuto di cui hanno bisogno a casa loro…
Pe Marco