Sia per l’imponenza e per la densità della Parola di Dio di questi giorni, sia per la natura stessa del Mistero, che celebriamo, distribuito lungo i tre giorni, essenzialmente per questi motivi penso sia più opportuna un’unica riflessione, nel tentativo, dichiarato, di aiutarci reciprocamente “a rimanere”, così come siamo, davanti a questa realtà, che ci sovrasta da tutte le parti.
Innanzitutto, penso sia importante demitizzare questo evento, ovvero non leggerlo con quell’atteggiamento un po’ mitologico, che guarda alla Passione e alla Risurrezione di Gesù prevalentemente come la “tragedia” del Figlio di Dio, che vive, non si sa perché, queste drammatiche vicende e alla fine, per la Sua vittoria, noi veniamo miracolosamente salvati. Questa lettura, seppur carica di una grande devozione nei riguardi di Gesù, ci mantiene dentro una visione mitica della realtà, totalmente in balia di forze divine, estranee alla nostra realtà umana. Oltretutto è bene notare che, questa ed altre, letture del Mistero pasquale sono, sempre e comunque, frutto di letture ed interpretazioni successive ai fatti in sé, agli avvenimenti storici realmente accaduti. Certamente, anche a livello dei fatti storici, abbiamo testimonianze complicate da decifrare.
D’altro canto possiamo contare su alcuni elementi essenziali, che anche le prime riflessioni della Comunità Cristiana non hanno mai negato, anzi…
Allora, se vogliamo muoverci in questa prospettiva, dobbiamo necessariamente partire dall’umanità, dal suo essere radicalmente e pienamente uomo, da parte di Gesù di Nazareth.
Ed ecco allora che in questi tre giorni finali della Sua vita vediamo giungere a maturazione le scelte ed i posizionamenti di tutta una vita. Ma l’elemento destabilizzante è proprio il fatto che queste scelte, che normalmente chiamiamo “Regno di Dio o Vita eterna”, ebbene queste scelte non nascono da riflessioni o decisioni complicate, bensì sono la messa in pratica radicale di due Verità fondamentali: innanzitutto uno solo è il Signore, il Padre, colui dal quale tutti siamo stati generati ed al quale dobbiamo assoluta obbedienza; l’altra Verità, immediatamente conseguente da questa, è che noi siamo tutti radicalmente fratelli; ovvero le nostre infinite differenze non possono e non devono annullare questa Verità fondamentale. La vita di Gesù, pur nella sua densa ricchezza di sfumature, rimane però, sostanzialmente, una dedizione assoluta, per vivere e testimoniare queste due Verità fondamentali.
Esattamente per la lucidità e la determinazione con cui ha perseguito queste due Verità, ha suscitato le ire e le reazioni più impensabili. Tutte le volte che le sue parole ed i suoi gesti chiedevano ai suoi interlocutori di rivedere il loro potere ed i loro privilegi alla luce della sovranità del Padre e della nostra fraternità umana, qualcuno per non mettersi in discussione e convertirsi, ha coltivato sentimenti di odio, vendetta, invidia contro Gesù.
Non penso sia inutile notare che, tra coloro che opposero maggior resistenza a Gesù ed alla fine decisero della Sua vita fisica, ci furono le varie autorità religiose. Anzi, quando qualche autorità o figura religiosa perde di vista che il Regno di Dio è basato su queste due Verità fondamentali, ecco che può trasformarsi nel peggior persecutore di Gesù e dei suoi seguaci, proprio perché, mentre non riconosce “nell’altro” un fratello, può accanirsi su di lui con la presunzione della benedizione divina. Esattamente come è avvenuto nei riguardi di Gesù. Non solo, ma come sottolinea molto bene S. Giovanni, la coerenza e la determinazione di Gesù nel vivere quanto sopra finisce con “lo spingere” il potere religioso a cercare un’alleanza inaudita con il potere politico pagano e fino ad allora tacciato come nemico acerrimo.
Ho voluto soffermarmi, seppur brevemente, su queste cause politiche, religiose e psicologiche della morte di Gesù, perché sono le cause storico-concrete della Sua Croce. Certamente il confronto drammatico tra l’assoluta bontà di Gesù e la violenza della Croce rivela “un di più” di Male e di Bene coinvolto in questa vicenda, ma che sfugge alla nostra comprensione umana. Detto ciò, però, questo “di più” non deve farci perdere di vista le condizioni religiose, psicologiche, politiche, economiche ecc… nelle quali si giocherà sempre la partita tra il Vangelo ed il Mondo, per dirla con S. Giovanni.
Anche perché non penso si superfluo ricordare che Gesù non ha scelto stoicamente di morire in croce. Egli ha accettato sì liberamente questa possibilità, quindi in un certo senso “ha scelto” di morire in Croce; ma l’ha fatto perché, in quella determinata congiuntura, era l’unica possibilità che aveva di essere fedele a tutto ciò che aveva fatto e predicato. Fuggire da quella morte per paura, o cercando un esito meno drammatico, voleva dire tradire la missione di una vita. Voleva dire cercare una salvezza propria, anziché attenderla radicalmente dal Padre, al quale si era sempre e costantemente affidato.
Al tempo stesso, però, approfondire queste radici storiche della Sua morte sacrificale ci aiuterebbe immensamente nell’aver coscienza delle condizioni reali in cui si dà sempre la relazione tra il Vangelo ed il Mondo, tra il Bene ed il Male. Ovvero, per chi vuol prendere sul serio il Vangelo, queste sono le condizioni e queste sono le conseguenze: quelle che abbiamo visto realizzarsi in Gesù. In altre parole, se vogliamo realmente fare il bene, sino in fondo, non “a tempo perso”, o nelle situazioni che scegliamo noi, ecco che ciò che è capitato a Gesù, capiterà anche a noi. “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”.
Purtroppo, invece, pur essendoci ancora molti cristiani perseguitati nel mondo, il cristiano comune d’occidente vede il martirio e la persecuzione, o come frutto di fanatismo da parte dei perseguitati, oppure lo considera come possibilità estrema, eroica dell’essere discepoli di Gesù. Queste deviazioni ed altre più sottili nascono da una lettura astorica delle vicende, che ricordiamo in questi giorni.
Non solo, ma la stessa Risurrezione relegata drammaticamente nel mondo dei misteri e dei miracoli, è in realtà la radicalizzazione di quanto detto finora. Infatti il Padre, resuscitando Gesù dà il suo sigillo definitivo a tutta la Sua opera. Risuscitando Gesù il Padre “approva” tutto quanto Gesù ha detto e come si è relazionato con Lui. Ciò fa sì, però, che tutte le situazioni ed i conflitti, che Gesù ha incontrato, o ha sollevato, erano perfettamente legittimi ed andavano affrontati, come Lui li ha affrontati. In altre parole non possiamo vivere in altro modo, se non come Gesù ha vissuto.
A questo riguardo, però, contro alcune deviazioni carismatico-pentecostali, è bene ricordare che la Risurrezione di Gesù non toglie una virgola a tutte le difficoltà e resistenze al vivere oggi il Vangelo, qui sulla Terra. Ovvero la Risurrezione di Gesù non toglie la Croce dalla nostra vita di fede. La Risurrezione ci dà semplicemente la certezza dell’esito della nostra vita, se l’avremo vissuta nella fedeltà a Gesù.
Ma esattamente qui si cela il grande Mistero per ogni credente in Gesù di Nazareth: portare sempre, “negli occhi e nel cuore” il Cristo Risorto, per non fare sconti sul Vangelo, per non adattarlo alle nostre esigenze, o peggio ai nostri egoismi, soprattutto quando, incarnando il Vangelo dentro le contraddizioni della vita, ci sembra di lavorare solo in perdita…
… seppur con fatica, contempliamo allora il Risorto!
Pe. Marcos