Per questa settimana non vi offro riflessioni mie, ma con le parole di Papa Francesco vorrei
meditare con voi alcuni temi profondamente evangelici, ma un po’ edulcorati dalla tradizione
cristiana di questi ultimi secoli. Sono stralci dell’Incontro all’Arena di Verona di sabato scorso.
Certamente utile sarebbe meditare il testo integrale.
Pe. Marco
“La domanda è su quale tipo di leadership può portare avanti questo compito che tu hai espresso
così profondamente. La cultura fortemente marcata dall’individualismo – non da una comunità –
rischia sempre di far sparire la dimensione della comunità: dove c’è individualismo forte, sparisce
la comunità. E questo, se noi passiamo ai termini politici e demografici, forse è la radice delle
dittature. Così va. Spariscono la dimensione della comunità, la dimensione dei legami vitali che ci
sostengono e ci fanno avanzare. E inevitabilmente produce delle conseguenze anche sul modo in
cui si intende l’autorità. Chi ricopre un ruolo di responsabilità in un’istituzione politica, oppure in
un’impresa o in una realtà di impegno sociale, rischia di sentirsi investito del compito di salvare gli
altri come se fosse un eroe. E questo fa tanto male, questo avvelena l’autorità. E questa è una delle
cause della solitudine che tante persone in posizione di responsabilità confessano di sperimentare,
come pure una delle ragioni per cui siamo testimoni di un crescente disimpegno.
Se l’idea che abbiamo del leader è quella di un solitario, al di sopra di tutti gli altri, chiamato a
decidere e agire per conto loro e in loro favore, allora stiamo facendo nostra una visione
impoverita e impoverente, che finisce per prosciugare le energie creative di chi è leader e per
rendere sterile l’insieme della comunità e della società…
È questa è una visione ben lontana da quella espressa dal detto bantu: “Io sono perché noi
siamo”. La saggezza di questo detto sta nel fatto che l’accento è posto sul vincolo tra i membri di
una comunità: “Noi siamo, io sono”. Nessuno esiste senza gli altri, nessuno può fare tutto da solo.
Allora l’autorità di cui abbiamo bisogno è quella che innanzi tutto è in grado di riconoscere i propri
punti di forza e i propri limiti, e quindi di capire a chi rivolgersi per avere aiuto e collaborazione.
L’autorità è essenzialmente collaborativa; altrimenti sarà autoritarismo e tante malattie che ne
nascono…
E una grande sfida oggi è risvegliare nei giovani la passione per la partecipazione. C’è una parolina
che dimentichiamo quando diciamo: “faccio io”, “andrò io”… La parolina qual è? Insieme. Questa
forza dell’insieme, la partecipazione è questo. Bisogna investire sui giovani, sulla loro formazione,
per trasmettere il messaggio che la strada per il futuro non può passare solo attraverso l’impegno
di un singolo, per quanto animato delle migliori intenzioni e con la preparazione necessaria… E vi
farei io una domanda: in un popolo, il lavoro dell’insieme è la somma del lavoro di ognuno?
Soltanto quello? No, è di più! È di più. Uno più uno fa tre: questo è il miracolo di lavorare
insieme…
È proprio il Vangelo che ci dice di metterci dalla parte dei piccoli, dalla parte dei deboli, dalla parte
dei dimenticati. Il Vangelo ci dice questo. E Gesù, con il gesto della lavanda dei piedi che sovverte le
gerarchie convenzionali, ci dice lo stesso. È sempre Lui che chiama i piccoli e gli esclusi e li pone al
centro, li invita a stare in mezzo agli altri, li presenta a tutti come testimoni di un cambiamento
necessario e possibile. Con le sue azioni Gesù rompe convenzioni e pregiudizi, rende visibili le
persone che la società del suo tempo nascondeva o disprezzava… Non nascondere le limitazioni.
Gesù non le nascondeva. E Gesù lo fa senza volersi sostituire a loro, senza strumentalizzarle, senza
privarle della loro voce, della loro storia, dei loro vissuti.
Come avete scritto nel documento di un vostro tavolo di lavoro, per porre fine ad ogni forma di
guerra e di violenza bisogna stare a fianco dei piccoli, rispettare la loro dignità, ascoltarli e fare in
modo che la loro voce possa farsi sentire senza essere filtrata. Sempre vicino ai piccoli, perché la
loro voce si faccia sentire. Incontrare i piccoli e condividere il loro dolore. E prendere posizione al
loro fianco contro le violenze di cui sono vittime, uscendo da questa cultura dell’indifferenza che si
giustifica tanto…
I piccoli: i piccoli soffrono. E soffrono per colpa del maltempo? No, per colpa nostra. Siamo noi i
responsabili. “No, Padre, io no, perché io sono…”. Tutti siamo responsabili, tutti siamo responsabili
di tutti. Ma oggi credo che il “premio Nobel” che possiamo dare a tanti, a tanti di noi, sia il “premio
Nobel” di Ponzio Pilato, perché siamo maestri nel lavarcene le mani…
Grazie! Mi è piaciuto… soprattutto mi è piaciuto quel tuo “però”. Grazie! Sto guardando quel
cartello: “Smilitarizziamo mente e territori”. Stiamo parlando di pace, ma voi sapete che le azioni
che in alcuni Paesi sono più redditizie sono quelle delle fabbriche delle armi? È brutto questo, è
brutto. E così non possiamo smilitarizzare, perché è un affare molto grande. Voi guardate l’elenco
dei Paesi che fabbricano le armi, e vedete un po’ che bell’affare è quello. Preparare per la morte.
Che cosa brutta! E tuo “però” sta indicando con il dito questa situazione di contraddizione…
La pace va curata. Se noi non curiamo la pace ci sarà la guerra, piccole guerre, grandi guerre. La
pace va curata, e oggi nel mondo c’è questo peccato grave: non curare la pace! Il mondo è in corsa,
occorrerebbe a volte saper rallentare la corsa e non lasciarci travolgere dalle attività e fare spazio
dentro di noi all’azione di Dio, all’azione dei fratelli, all’azione della società che cerca il bene
comune…
Il primo passo da fare per vivere in modo sano tensioni e conflitti è riconoscere che fanno parte
della nostra vita, sono fisiologici, quando non travalicano la soglia della violenza. Quindi non
averne paura: benvenuti, per risolverli. Non averne paura. Non temere se ci sono idee diverse che si
confrontano e forse si scontrano. In queste situazioni siamo chiamati a un esercizio diverso.
Lasciarci interpellare dal conflitto, lasciarci provocare dalle tensioni, per metterci in ricerca: come
risolvere, come andare alla ricerca dell’armonia. Questo è un lavoro che noi non siamo abituati a
fare: eppure è la ricchezza, è la ricchezza sociale, questo, sia della famiglia sia della società.
Ci sono dei conflitti? Andiamo, parliamo dei conflitti, confrontiamoci per risolverli. Per favore, non
avere paura dei conflitti, siano conflitti famigliari, siano sociali. Ed è chiaro che se io non ho paura
del conflitto, sono portato a fare il dialogo. E il dialogo ci aiuta a risolvere i conflitti, sempre. Ma il
dialogo non è arrivare all’uguaglianza, no, perché ognuno ha la propria idea; ma ci fa condividere
la pluralità. Il peccato dei regimi politici che sono finiti nelle dittature è che non ammettono la
pluralità; e la pluralità è nella società più grande come in famiglia: la nuora con la suocera – bella
cosa da risolvere, no? –, ma quel conflitto familiare va risolto come va risolto un conflitto mondiale.
Dobbiamo imparare a vivere con i conflitti… E i conflitti ti fanno progredire. Una società senza
conflitto è una società morta; una società dove si nascondono i conflitti è una società suicida; una
società dove si prendono i conflitti per mano e si dialoga è una società di futuro.”
Papa Francesco